A proposito della vicenda Rcs-Fiat-Della Valle
Capitalismo de’ noantri
Il mondo della finanza italiano non è più un “salotto buono”, anzi almeno da un ventennio l'atmosfera che vi regna risuona del motto tutto italiano “aumma aumma”. Lo dimostrano i retroscena dell'acquisto, da parte della famiglia Agnelli, delle nuove quote della casa editrice. Misteriosa appare dunque l'ostinazione con la quale il patron di Hogan, Tod's e Fiorentina tenta di farne parte
Comunque la si voglia guardare, la vicenda di Rcs è un gran pasticcio. Ma ha anche uno scopo terapeutico: mostra agli italiani come si è ridotto il capitalismo “de’ noantri” e prova, sbattendo in faccia la cruda realtà, a costringere la classe dirigente ad assumersi le sue responsabilità. Nella vicenda di Rcs, infatti, rientra a pieno titolo un ventennio buono di finanza italiana che, partendo da Mediobanca e dai cocci rimasti dopo l’uscita di scena di Cuccia e Maranghi, dimostra ancora una volta come certa Italia sia sempre quel posto in cui “aumma aumma” è la parola migliore per descriverla. Ma che cosa è successo? Facciamo un passo indietro.
Da qualche anno Rcs, la casa editrice che pubblica – tra gli altri – il Corriere della Sera, versa in cattive acque. Da una parte, a causa della crisi dell’editoria in genere, che si è abbattuta indistintamente su tutte le testate cartacee portando la tiratura a contrarsi di almeno il 50%; dall’altra, per l’acquisizione di Recoletos, una casa editrice spagnola comprata nel 2007 per 1,1 miliardi di euro. Un investimento sbagliato che ha prodotto, negli anni, un rosso nel bilancio di Rcs di circa 870 milioni.
A questo punto, preso atto della drammatica situazione, il management chiede agli azionisti di aderire a un aumento di capitale per circa 400 milioni di euro, tramite il quale verranno emesse 21 milioni di nuove azioni. Quasi tutti si dicono pronti ad aderire, salvo Diego Della Valle e Giuseppe Rotelli, che morirà pochi giorni dopo. Fin qui la storia è arcinota, ma va sottolineato come negli anni passati Diego Della Valle abbia inutilmente cercato di aumentare il proprio pacchetto azionario dentro Rcs, venendo però puntualmente respinto dagli aderenti al patto di sindacato.
Nei giorni scorsi, però, succede qualcosa: Fiat annuncia di avere acquistato sul mercato un ulteriore 10%, salendo fino a quota 20,1% e divenendo di fatto il primo azionista della casa editrice. Un fulmine a ciel sereno, che viene benedetto da Marchionne che definisce “strategica” la partecipazione in Rcs. Ma si levano i primi mugugni, manco a dirlo da Della Valle. Il quale, dopo aver dichiarato pubblicamente che la libertà di stampa è in pericolo – gli Agnelli possiedono anche La Stampa – chiede l’intervento di Giorgio Napolitano, il quale si sfila abbastanza rapidamente dalla vicenda.
Rimane l’asta per l’inoptato, ovvero per quella quota di aumento di capitale che non è stata sottoscritta. Potrebbe accaparrarselo Della Valle, che salirebbe così al 23% sopravanzando la quota torinese, ma non lo fa. Potrebbero farlo in molti, ma nessuno se la sente. Il 15% viene interamente collocato, anche se ancora non si conosce chi sia il compratore. Rimangono però alcuni punti oscuri: intanto, perché mai Fiat (e non la cassaforte della famiglia Agnelli) ha dovuto acquistare nuove quote in Rcs? Come mai proprio ora che la liquidità al Lingotto scarseggia dopo l’acquisto di un’ulteriore fetta di Chrysler?
La realtà è che la Fiat ha ormai da tempo necessità di una nuova “bocca da fuoco” mediatica che ne protegga le strategie industriali: il trasferimento verso Detroit sta avvenendo rapidamente e gli investimenti in Italia, al di là delle dichiarazioni di Marchionne, continuano a latitare. Fiat ha – o meglio avrebbe – un enorme debito di riconoscenza con il nostro Paese che, di fatto, le impedirebbe di comportarsi come se fosse una qualsiasi azienda privata. Ma nessuno, né dell’attuale né dei precedenti governi, è stato in grado di inchiodare Marchionne e l’azienda da lui gestita alle loro responsabilità.
E Della Valle? Esce ancora una volta sconfitto, eterno Don Chisciotte di un capitalismo che lo respinge continuamente. Ci prova in ogni modo l’imprenditore marchigiano, ma ogni volta che sembra lì lì per raggiungere il suo obiettivo di contare nel mondo della finanza, ecco che immediatamente viene ricacciato in basso. Eppure, ci permettiamo di far notare timidamente, questo capitalismo non sembra essere un posto in cui voler entrare a tutti i costi, specie per un imprenditore capace di creare un marchio riconosciuto in tutto il mondo e dal quale continua a ottenere, ogni anno, guadagni importanti. L’ostinazione con cui Della Valle prova a mettere un piede nella porta del “salotto buono” sarebbe quasi commovente, se non fosse che dentro questo salotto l’aria si è fatta, e non certo da ieri, ormai irrespirabile.