Vincenzo Faccioli Pintozzi
La visita del Pontefice a Lampedusa

Fratello migrante

Ha scelto la lettura di Caino e Abele papa Francesco per la messa di penitenza celebrata nell'isola “dimenticata da tutti”, dedicata alle vittime senza nome che affollano i suoi fondali. Per ricordarci che «abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna». E il fulcro del messaggio cattolico risuona nelle parole-chiave: accoglienza, testimonianza, amore, comprensione, empatia...

Tutto è rivoluzione. Dalla scelta di far pregare una piazza in silenzio al calice di legno, dalle dimissioni “suggerite con forza” dei vertici dello Ior all’appartamento – anzi, l’Appartamento – snobbato per una camera d’albergo di medio livello. Papa Francesco ha conquistato i cuori e persino le penne di coloro che – fino a sei mesi fa – erano pronti a dare per morta e sepolta la Chiesa cattolica e tutto il suo apparato. Un apparato che non aveva lustro, in effetti. E che andava riformato quasi per forza, pena la trasformazione della prima religione mondiale in una Ong (nel caso migliore) o in una lobby dai fini oscuri (in quello peggiore). Eppure la rivoluzione di Lampedusa il pontefice l’ha suggellata con tre parole, pronunciate alla fine di tutto e aggiunte di gran corsa nel testo finale della sua omelia: «Grazie, don Stefano».

Il ringraziamento è per il combattivo parroco di un’isola dimenticata da tutti, meta e troppo spesso cimitero della nuova immigrazione di massa proveniente dal Nord Africa. Il Papa l’ha voluto ringraziare dopo una messa “di penitenza”, celebrata con i paramenti del lutto e dedicata alle vittime senza nome che affollano i fondali del centro del Mediterraneo. Non ha voluto autorità, ha ringraziato il suo vescovo per le parole, ma ha strappato il protocollo (una volta di più, e non se ne vede la fine…) per dire grazie a chi l’ha invitato. È in questo che si annida la forza del pastore. La capacità di veicolare su un livello umano quelli che diventano i gesti di un pontificato: un Papa che ringrazia un parroco per averlo spronato a fare di più. Il Servo dei servi di Dio che rinuncia alle sue maiuscole per tornare al rapporto con gli uomini di buona volontà.

papa_francesco_a_lampedusaLe parole pronunciate dal Papa «quasi dalla fine del mondo» è inutile ripeterle, perché le avrete ascoltate tutti. A volerle guardare da vicino, poi, sono le stesse parole che la Chiesa ripete da duemila anni, sono il fulcro del messaggio cattolico: accoglienza, testimonianza, amore, comprensione, empatia. Parole eterne che rimangono nelle orecchie, commuovono qualche occhio languido, spingono le vecchiette davanti alle telecamere per poter dire «è un Santo, un vero Santo». E che però poi si spengono là dove dovrebbe iniziare il loro frutto: nelle teste, nei cuori e a volte (perché no) nei portafogli.

Come Benedetto ha avuto il grande merito di rispondere tono su tono all’assalto “cerebrale” del relativismo imperante, Francesco ha il dono di accendere la luce là dove l’oscurità sembra più buia. E ricorda a tutti noi che l’appello rivolto a Dio all’uomo inquieto – «Dov’è tuo fratello?» – è pressante oggi più che mai. «Chi – ci chiede il Papa, e vale davvero la pena di citarlo – è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?”. Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto».

La coscienza del cristiano e la rivoluzione di papa Francesco viaggiano su quelli che sono binari di una via retta. Nella Lumen Fidei, l’enciclica “a quattro mani” iniziata da Benedetto e conclusa da Francesco, il Papa sprona l’umanità a vivere alla luce della fede, che non deve divenire un faro da accendere quando la ragione non ce la fa più. Con il suo viaggio pastorale a Lampedusa ha voluto fare penitenza per quanti, e con questo comprende tutti noi, hanno spento la luce della fede anche davanti alle sofferenze dei propri fratelli.

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