Alessandro Boschi
Visioni contromano

Dormire (al cinema)

Ennio Flaiano teorizzava il diritto e il piacere dello spettatore di addormentarsi in sala. Ma qui si parla di gente che dorme nelle pellicole. E dei letti che li ospitano: da Totò a Capannelle a Johnny Depp, dentro c'è tutto un mondo...

Alla Mole Antonelliana di Torino, dentro al Museo del cinema,  c’è una bellissima sala chiamata Aula del Tempio adibita alla proiezione di tre filmati, uno dedicato al cinema muto torinese e due, di montaggio, realizzati da Gianni Amelio con le scene di ballo più significative di alcuni film italiani.  “Curiosamente” manca I ragazzi di Bandiera gialla di Mariano Laurenti (speriamo si capisca che è una battuta, come vedete ci sono anche le virgolette).  E tutto questo bendidio si può ammirare standosene sdraiati su delle comodissime poltrone dotate di altoparlanti, in modo tale che l’ascolto risulta indirizzato solo alle vostre orecchie e non disturba chi intorno a voi continua a visitare le altre sezioni, magari ammirando l’imponente scenografia uscita dal set di Cabiria.

Tutto questo per dire che anche di fronte alla crème de la crème ci si può addormentare come davanti a un … (riempite voi lo spazio) qualsiasi. È indubbio che letto e cinema, e queste poltrone sono addirittura meglio del letto, hanno un legame molto stretto che va al di là del guardare un film standosene distesi sotto le coperte, magari per guardarsi un film horror. Il letto, comunque ci si ponga, da dentro o sopra o solo ammirandolo sul grande schermo, fa comunque parte a pieno titolo dalla storia del cinema. Un po’ di esempi. Il primo che ci viene in mente, e supponiamo non solo a noi, è quello ondulatorio di Regan alias Linda Blair ne L’esorcista, compagno questo sì di incubi e paure condivise da più di una generazione. Poco meglio va a Johnny Depp nel primo Nightmare – Dal profondo della notte, quando in uno degli incubi che costituiscono il tessuto connettivo di tutta l’estenuante serie viene letteralmente inghiottito dal suo giaciglio per poi essere eruttato sotto forma di carne macinata, molto sottile.

Quando ci sono avvenimenti così cruenti conviene allora trascorrere La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia, come suggerisce Lina Wertmüller con uno dei suoi titoli più lunghi e meno riusciti, Candice Bergen a parte. Meno inquietante ma di fatto pericolosissimo quello usato da Stanlio ed Ollio in una celebre comica: i due dormono in mezzo ai binari, tra le longherine della ferrovia. E quando il treno arriva non fanno altro che spostarsi di mezzo metro per poi riaccomodarsi, senza neanche aprire gli occhi.  Avete avuto modo di vederlo? Be’,  se c’è un trucco è fatto davvero bene. Molto ma molto più noioso, come giaciglio e come film, è quello sul quale riposa Il paziente inglese di Anthony Minghella, estenuante polpettone pluripremiato, è ovvio, agli Oscar. Fosse dipeso da noi avremmo preferito fare la fine di Valerio Mastandrea nel pur modesto Barbara di Angelo Orlando: tutto il film legato alla spalliera del letto senza che a nessuno passi per la testa di slegarlo. Operazione che non avrebbe comunque potuto aiutare il povero Javier Bardem, malato e triste in Mare dentro di  Alejandro Amenábar. Anche lui sempre allettato, ma per ben altri motivi. Costretta a letto e difficile da sollevare anche Darlene Cates, madre di Johnny Depp e Leonardo di Caprio in Buon compleanno Mr Grape di Lasse Hallstrӧm. La poveretta, obesa senza trucchi, verrà alla fine cremata con letto, casa e tutto il resto in un falò catartico e indimenticabile. Questo è anche uno dei pochi casi in cui un attore, in questo caso Di Caprio, viene candidato all’Oscar per il ruolo di un minorato e non lo vince.

Poi ci sono i letti che non sono letti, come l’utilitaria utilizzata dal barbone in Pacco, doppiopacco e contropaccotto di Nanni Loy, oppure la treggia usata da Trinità nella saga campione di incassi e d’ascolti interpretata da Terence Hill e Bud Spencer. Letti che servono invece da esercizio scolastico per futuri “spaventatori” sono quelli dove riposano le sagome dei bambini in Monsters & Co, del quale stiamo aspettando con impazienza il seguito, ovvero il prequel. Le grida dei bambini come fonte di energia: We scare because we care, tanto per intenderci. Oppure il letto come nascondiglio. Sotto quello di Capannelle, alias Carlo Pisacane (“il quale magari come aspetto si presenta malamente ma dietro alla quale fronte si annidia l’intelligenza della volpe”), si nasconde il bottino nell’Audace colpo dei soliti ignoti, ancora di Nanni Loy. Restando nei paraggi della commedia all’italiana segnaliamo quello condiviso da Memmo Carotenuto e Renato Salvatori in Poveri ma belli di Dino Risi. Se poi ci avviciniamo alla zona capolavori non possiamo non ricordare il letto del protagonista del desichiano  Umberto D. Carlo Battisti, che viene usato da una coppietta per squallide pratiche amorose, il famoso “gaio cesto d’amore che amor non è mai”, come cantava un altro Battisti, Lucio. Come pure la morte che morte non è mai, vedi nonna del Pomata costretta a recitare la parte della defunta per salvare il nipote dai creditori in Febbre da cavallo di Steno.

Un letto molto cinematografico, infine, potrebbe essere quello a forma di incudine del brigante Procuste, che aveva la divertente abitudine di farci distendere sopra le sue vittime. Le quali, a seconda della dimensione, venivano poi adattate alla misura del letto stesso, o allungate o accorciate. Senza effetti speciali. Potrebbe essere l’idea per un soggetto. Il regista? Quello giusto purtroppo non c’è più. Come chi è? Ovvio, Raffaello Matarazzo.

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