Andrea Carraro
Esercizi critici da Conrad a La Porta

Scrittori a tu per tu

Tra i migliori critici letterari della sua generazione, Andrea Caterini ha il pregio di entrare in empatia con l’autore che di volta in volta prende in esame, sintonizzandosi con l'opera in tutti i suoi momenti. Come dimostra ancora nel suo nuovo libro “Patna”

Qualcuno potrebbe subito obiettare che parlando di Patna, ultimo libro di Andrea Caterini (Gaffi), chi scrive si trovi in un pericoloso conflitto di interessi, poiché uno dei capitoli del libro riguarda proprio lui. Beh, è così e allora cercheremo di evitare di includere quel saggio nella nostra riflessione.

Crediamo che Andrea Caterini sia uno dei migliori critici letterari della sua generazione – lo suggerisce anche Giorgio Ficara nel risvolto – per molti motivi che proveremo a spiegare senza risparmiare anche qualche marginale riserva che renda l’analisi il più possibile obiettiva. Quello che ci piace e ci convince in Caterini è la sua “empatia” con l’autore che di volta in volta prende in esame, che non vuol dire supina adesione, beninteso. Vuol dire piuttosto “entrare in sintonia” con la sua opera in tutti i suoi momenti (messi fra loro in relazione), scovandone le motivazioni profonde, ponendosi in una condizione di raccoglimento e di ascolto ma anche di “parità”: da scrittore a scrittore diresti.

Insomma, Caterini non è mai il professorino con la penna rossa e parla quasi soltanto di ciò che lo interessa davvero, dei libri e degli autori che lo hanno segnato e che testimoniano una frattura interiore, o, come scrive nella introduzione al volume: «Il critico dovrebbe sempre sapere che dietro ogni opera che sia davvero tale persiste il perpetuarsi di una contraddizione, la sopravvivenza di un desiderio duplice che è quello di esporsi completamente alla vita e al contempo quello di scomparire». Da qui passa anche il suo interesse non solo per le opere compiute, ma anche per «gli scartafacci segreti di un autore, i suoi diari, i suoi appunti, i suoi epistolari, insomma la sua vita intima e nuda».

gaffi_prova serigrafiaI classici che illuminano questa via impervia quanto ricca e nutriente sono, fra gli altri, Dostoevskij, Conrad, Gide, Camus, Simone Weil: scrittori o filosofi che hanno saputo osservare l’uomo nella sua “nudità”, come Lord Jim che fugge dalla nave in avaria abbandonando l’equipaggio al suo destino, vivendo il resto della sua vita con il lancinante senso di colpa di quel gesto codardo. La “verità” sta tutta nella scoperta di quel proprio sé pusillanime che lo trasporta nei domini del dubbio e – scrive Caterini – a uno “stato di grazia”, la grazia di Adamo ed Eva prima del peccato originale. Una condizione che certo si può inquadrare anche al di fuori della dimensione cristiana, nel Jim conradiano ma pure nell’“irreparabile innocenza” dell’assurdo svelata da Camus nel “mito di Sisifo”, l’eroe condannato a ripetere all’infinito la sua condanna di trasportare il masso in cima al monte che per la forza di gravità ritorna regolarmente a valle, inflittagli dagli Dèi, e arrivare a trovarci perfino un surrogato di felicità, uno scopo vitale.

Oppure nella “tensione di verità” di Dostoevskij quando in alcune sue opere racconta dell’esperienza – da lui realmente vissuta – del reclusorio, della cattività. Oppure ancora vivendo la morale come senso di colpa come Gide ne L’immoralista. E finanche nella raggelante e paradossale consapevolezza di Pierre Drieu La Rochelle del Racconto segreto, scritto un anno prima del suicidio, nel quale troviamo la frase: «Salvarsi dalla morte è morire», cioè, come spiega Caterini, «salvarsi dalla morte non equivale a non morire, questo Drieu ha compreso – ed è andato ancora più a fondo: morire è salvarsi dalla paura della morte, ovvero salvarci da tutto ciò che ce la fa immaginare come buio niente».

Dopo averci mostrato nella lunga e bella introduzione (dove raggiunge il livello più alto nella sintesi fra stile e interpretazione) come quei grandi abbiano raggiunto e svelato quello stato di catartica consapevolezza che si diceva, Caterini si cala come un palombaro nell’analisi profonda di alcuni scrittori della contemporaneità che hanno per lui incarnato nelle loro opere quella medesima tensione, nella sezione principale e più corposa del libro sobriamente intitolata Ritratti di letteratura contemporanea: da Andrea Di Consoli a William Tanner Vollmann, da Paolo Sortino ai poeti Stefano Simoncelli, Claudio Damiani e Paolo Febbraro, da Aurelio Picca a Emanuele Trevi a Rocco Carbone, dal francese Philippe Forest ai critici Arnaldo Colasanti e Franco Cordelli.

L’ultima parte del libro, Diario di bordo, analizza in modo più sintetico alcune opere recenti, di saggistica, poesia e narrativa che il critico si è trovato a recensire sulla stampa nella sua veste di critico militante. In quest’ultima sezione non è sempre totale la sintonia (empatia) con l’autore. Per esempio quando ragiona su un libro recente di Filippo La Porta (Meno letteratura per favore) Caterini distingue fra una componente “eretica” e una “organizzativa/informativa (comunicativa)” della critica laportiana, affermando di essere interessato più alla prima che alla seconda (chissà perché la comunicatività in Italia è sempre guardata con sospetto?!). Oppure quando “stronca”, sia pure in modo costruttivo, la critica di Antonio Tricomi, o per meglio dire la “critica dell’impegno”: «Dico che se l’impegno è ancora inteso, in letteratura, come servizio sociale, si deve pure accettare che alla letteratura si dia ancora un significato banalmente utilitaristico». La critica nella quale il saggista romano si riconosce appieno è quella di Raffaele Manica («si ha come l’impressione che [in Manica] il senso della “militanza” prenda un significato più profondo (…) da pettegolezzo e rincorsa ai vari “casi” quotidiani, si fa invece ricerca, la quale crea una frattura con le sclerosi che immobilizzano il presente….»), oppure quella di Massimo Raffaeli e, almeno parzialmente, di Giglioli ecc.

In generale, senza più distinguere fra le varie parti del libro, potremmo dire che il Caterini che preferiamo e amiamo (di gran lunga prevalente) – in questo libro come pure nel precedente, sempre stampato da Gaffi, Il principe è morto cantando – è quello più asciutto e concreto e misurato che sa tenere a freno il demone dell’enfasi poeticistica e mistico-spiritualistica. Qualche esempio, solo per capirsi: «la stessa letteratura si incendiava nel porpora dell’insensatezza», «l’ho sempre conosciuta così, nei suoi luoghi incalpestati, negli aspromonti del nostri sogni…» (a proposito di Forest), «la stessa letteratura è di per sé un gesto spirituale lì dove tenta di aggiungere vita alla vita pure complicandola e rendendola nuda e muta e senza più risposte» (a proposito di Colasanti). Ma sono piccole ombre che non compromettono l’eccellente quadro d’insieme. Davvero efficaci ed esemplari del suo modo di fare critica ci sono parsi i medaglioni sui poeti Damiani e Simoncelli o sul narratore-poeta Di Consoli (forse il migliore in assoluto, nel quale leggiamo un passo davvero illuminante per comprendere la poetica dello scrittore lucano: «La pietà è una forma (o la forma primigenia) di conoscenza, poiché prevede una rinuncia totale del sé…»), Vollmann e Sortino o anche sul polivalente Franco Cordelli (di cui il critico romano ha anche da poco curato una importante ristampa di un suo vecchio libro di saggi letterari presso il medesimo editore, Partenze eroiche) dove si crea una felice osmosi fra la scrittura e argomentazione critica oltre a quell’empatia con l’autore che si diceva all’inizio.

Facebooktwitterlinkedin