Marco Scotti
Dopo il taglio record ai tassi d'interesse

Draghi, mani di forbice

Non basta la buona volontà del presidente della Bce a far ripartire la crescita in Europa. Occorerebbe battere i pugni sul tavolo a Bruxelles per ottenere regole più eque sul debito. E consentire alla Banca europea di stampare moneta. Breve guida ai come e ai perché della crisi economica

Ora che Mario Draghi ha tagliato di un ulteriore 0,25% i tassi d’interesse, portandoli allo 0,5%, record storico, molti si interrogano: ma questi tassi che cosa sono? E perché il fatto che siano alti (o bassi) dovrebbe in qualche modo essere d’aiuto per la nostra economia? E lo spread, di cui non si parla più, ha davvero un potere così grande? E, infine, come mai mentre in Usa e Giappone si stampa moneta a perdifiato, in Europa questo non avviene? Proviamo a rispondere a tutte queste domande.

I tassi Bce

Con la decisione di Mario Draghi di dare un’ulteriore sforbiciata ai tassi d’interesse (ovvero il costo che le banche devono sostenere per acquistare denaro), la speranza è che gli istituti riprendano a concedere credito a imprese e famiglie e, soprattutto, che lo facciano con un costo minore per i beneficiari. Il meccanismo è semplice: la banca prende denaro a un tasso dello 0,50% e lo offre ai propri clienti facendo pagare il costo sostenuto più un interesse, variabile, che rappresenta il vero guadagno per l’istituto di credito. Minore è il costo del denaro e minore dovrebbe essere, almeno teoricamente, l’interesse su mutui e linee di credito per aziende. In realtà, finora abbiamo visto che il vero problema delle banche italiane non è tanto sugli interessi applicati (che sono comunque significativamente più alti che in altri paesi dell’area euro) quanto sulla concessione del credito stesso, che avviene sempre più con il contagocce. Questo a causa sia di una prudenza storica delle banche italiane sia per le famose sofferenze (i crediti non più esigibili che vanno registrati come perdite in bilancio). Un circolo vizioso da cui non sembra si possa uscire con questo semplice intervento.

Lo spread

Lo spread, che per mesi ha sostituito il meteo nelle chiacchiere da bar, è in realtà un indicatore piuttosto aleatorio. Spiace dover dare ragione a Renato Brunetta, ma fu lui l’unico a parlare – quando ancora il disastroso Governo Berlusconi era in carica – di dittatura dello spread, termine che ebbe grande fortuna nei mesi successivi. Lo spread, infatti, inteso come differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi è valido solo per i mercati secondari, quelli cioè dove vengono acquistati e venduti buoni del tesoro ma in cui non rientrano gli stati sovrani. L’Italia, più che dello spread, deve preoccuparsi di mantenere tassi di interesse piuttosto bassi per tutti i propri prodotti di finanziamento. Il problema (e qui sì che lo spread torna d’attualità) è che il tasso d’interesse dei buoni poliennali dello stato è sceso vertiginosamente nell’ultimo periodo, ampiamente sotto quota 4% per quanto riguarda i btp decennali. Ma, al contempo, la Germania sta finanziando il proprio debito con tassi che, in alcuni casi, sono negativi. E quindi, la competitività che abbiamo progressivamente perduto rispetto a Berlino diventa ogni giorno maggiore, proprio per la facilità con cui il paese di Frau Merkel può permettersi di ottenere denaro. L’Italia, a giudicare dai tassi d’interesse, non è a rischio, ma la Germania è un porto talmente sicuro che si preferisce parcheggiare i propri risparmi per 10 anni in cambio di una cedola da 1,3% all’anno, piuttosto che correre anche il benché minimo pericolo. E finché la classe politica italiana (e questo governo non lo farà di certo) non sarà in grado di battere i pugni sul tavolo di Bruxelles, chiedendo regole quantomeno simili sul debito o, meglio ancora, chiedendo la costituzione di eurobond con tassi eguali per tutti i paesi dell’euro, siamo costretti a notare che la situazione rimarrà uguale.

Perché la Bce non stampa moneta?

In Giappone un fiume di denaro è stato messo in circolazione; negli Stati Uniti, la Fed ha garantito acquisti di bond statunitensi per circa 85 miliardi di dollari al mese. Cifre enormi che fanno sembrare il nostro vecchio continente la piccola fiammiferaia del mondo Occidentale. In realtà, la Bce per statuto non può stampare moneta liberamente, ma può arginare i processi inflattivi e deflattivi attraverso politiche di contenimento del costo del denaro. Ecco, proprio quello che sta succedendo adesso. Ma mentre a Tokyo e Washington si creano momenti di euforia, supportando la crescita con denaro frusciante, in Europa si continua a perseguire la strada del rigore e dei conti in ordine, dimenticando che – proprio come ha ricordato l’Ocse prima e il Fmi poi – è nei momenti di recessione che bisognerebbe cercare di dare linfa all’economia, evitando l’incremento della tassazione diretta e indiretta. Non pensiamo che la soluzione americana e giapponese possa essere la panacea a tutti i mali, ma è certo che l’introduzione di maggiore liquidità potrebbe essere un toccasana per banche, imprese e famiglie. E sarebbe una spinta che, insieme ai tassi bassi (ma magari non così bassi come lo sono ora) consentirebbe al nostro continente di ripartire una volta per tutte. E nella sua interezza, non soltanto per quelle zone che vedono nelle altrui crisi un’opportunità di ulteriore crescita. Fischiano le orecchie, signora Merkel?

Facebooktwitterlinkedin