Andrea Carraro
Ieri e oggi nel libro di Sandra Petrignani

I fantasmi di Roma

Uno dei libri più belli della stagione è "Addio a Roma". Un po' romanzo, un po' inchiesta, un po' reportage: un ritratto impietoso di una metropoli che ha perso spazi culturali per dare spazio solo alle proprie ombre

Addio a Roma di Sandra Petrignani (Neri Pozza) è fra i più interessanti libri che siano usciti di recente e credo che sia una delle migliori prove della scrittrice romana. L’autrice fonde in questo libro varie anime del suo talento di scrittura: quella narrativa, naturalmente, ma anche quella biografica, quella saggistica, quella del giornalismo d’inchiesta. Il risultato è un’opera ibrida, o se si preferisce un’opera “di confine”, che si attaglia perfettamente alla materia del racconto: la Roma culturale e artistica degli anni 50, 60, 70 con i suoi numerosi protagonisti. Dal racconto emergono, di quel tumultuoso e vitale ventennio, le correnti artistiche e le ideologie, le passioni, le utopie collettive, le contrapposizioni formali e politiche anche dure, le amicizie e le inimicizie.

La Petrignani dimostra di essere una eccellente ritrattista: si vedano i fulgidi ritratti di scrittori: Pasolini, Moravia-Morante, Calvino, Parise, Gadda, Arbasino ecc.,  di artisti come Giorgio De Chirico, Guttuso, Schifano ecc., di registi (Fellini, Soldati, Bertolucci ecc.), di grandi intellettuali (Chiaromonte, Silone cc.),  e ancora poeti, animatrici di salotti letterari,  cantanti, attori grandi e meno grandi, galleristi, sceneggiatori, giornalisti, produttori cinematografici, critici… L’autrice attinge con spirito onnivoro dalle fonti più diverse: libri, memorie, lettere, testimonianze. La città di Roma non è solo uno sfondo, una cornice più o meno vivida nella quale far muovere tutti questi personaggi presi dal vero. È piuttosto un luogo in cui si rivelano più drammaticamente le contraddizioni-contrapposizioni di un’epoca, proprio in quanto capitale, crocevia di destini ed esperienze sia dei residenti sia degli artisti di passaggio  (che spesso hanno contribuito perfino più degli stanziali a coglierne degli aspetti inediti e profondi).

Le figure sono tantissime, dicevo, delle più diverse discipline, eppure sempre a fuoco, ciascuna con qualche carattere particolare e unico che resta impresso, ciascuna interagente con l’insieme per adesione o per rigetto. Nel racconto lo spazio dell’invenzione viene ricoperto da Ninetta, la ragazza trasteverina (non è un caso che si chiami proprio come il Ninetto pasoliniano), che funge da raccordo e da catalizzatore, trascinando il racconto di qua e di là fra gallerie e salotti e librerie, fra trattorie e case private, portatrice di tanta creaturale meraviglia e di un sogno inconfessabile nel cassetto: quello di diventare scrittrice, poetessa, e cioè di interpretare una parte attiva in quell’universo affascinante e mutevole che l’ha accolta e cresciuta. La Storia con la esse maiuscola nel racconto della Petrignani, proprio come la città di Roma, non è una componente statica e didascalica ma invece abbraccia e nutre la narrazione: possono essere gli echi macabri di una tragedia lontana  (la tragedia di Marcinelle) o la morte di un grande scrittore schivo come Corrado Alvaro, la nascita di un importante settimanale come L’espresso o la creazione di una celebre macchina da scrivere portatile, la lettera 22 della Olivetti, può essere la crisi della Baia dei Porci o l’assassinio di Kennedy, l’elezione di Paolo VI o il clima incandescente del governo Tambroni ecc. La Storia, insomma, entra nell’affresco dalla porta principale e interagisce col destino dei protagonisti.

E veniamo allo stile, ch’è composito, come si è visto, e tuttavia votato alla chiarezza e alla precisione, come in questo emblematico passaggio (che vede in scena in un salotto elegante una impacciata Ninetta) nel quale si può notare l’uso sorvegliato delle metafore e delle similitudini: “Si piegò verso il tappeto per aiutare Venanzia che stava assorbendo il vino caduto con uno straccio, e finalmente sentì l’attenzione capricciosa distogliersi e volgersi altrove come un fiume che, bloccato da uno scoglio, si apre e si richiude intorno all’ostacolo riprendendo gioiosamente il corso”. Siamo lontanissimi sia da certa prosa a effetto, imprecisa e mirabolante, che troviamo in tanti  romanzi di oggi, sia dalle insidie dal  “poeticismo”. La Petrignani non vuole choccare o sedurre il lettore ma prenderlo per mano e accompagnarlo in un percorso di conoscenza che a momenti può anche commuovere o divertire per ciò che è, senza bisogno di “pomparlo” o “drogarlo” con additivi e anabolizzanti.

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