Nicola Fano
25 aprile: libertà e Liberazione

Facciamo festa?

Il senso della storia è lontano, perduto, affogato nel caos sregolato del fondamentalismo liberista, del dominio del profitto individuale. Eppure il senso della Festa di oggi è - al contrario - inclusione e partecipazione sociale. Bisognerebbe guardare indietro per andare avanti

Il venticinque aprile del 1945 mio padre sfilò a Roma con i partigiani: aveva ventuno anni ed era stato portaordini partigiano tra Roma e i comandi nascosti sul litorale a Nord della città. Suo padre, fino alla Liberazione di Roma, giugno dell’anno prima, era stato tra i dirigenti del Cnl romano: nel suo studio di avvocato avevano sistemato la radio da dove la Resistenza trasmetteva direttive in tutto il Paese occupato. Il 25 aprile, per me, ha anche un valore molto privato. Ho cinquantaquattro anni: il lettore giudicherà se sono vecchio o no. Di mio padre ho già dato i riferimenti anagrafici. Mio nonno, di cui porto il nome, era nato nell’Ottocento. Lo dico per dire che si fa presto, nel 2013, ad affondare le radici due secoli indietro: è il senso della storia. Ciascuno dovrebbe sentire su di sé il senso della propria. Non solo il 25 aprile.

Ma oggi, Festa della Liberazione, nel giorno in cui probabilmente un quarantaseienne scioglierà la riserva per diventare “giovane” premier di un’Italia allo sbando, abbiamo un’occasione perfetta per riflettere. Cominciamo dall’inizio. Si chiama “Festa della Liberazione”: liberazione dal nazismo e dal fascismo, due regimi gemelli che – stando a tutte le testimonianze storiche – hanno umiliato l’Italia e gli italiani tra il 1938 e il 1945 (di suo, Mussolini, aveva fatto già molti orrori sociali fin dal 1919). Ma la verità è che non siamo “liberati” da un bel niente. Diceva Michele Serra qualche giorno fa che in un paesino della Lombardia ogni anno si festeggia, in un locale della Lega, il compleanno di Hitler. E nessuno ha alcunché da ridire. Ma basta girare case e mercati per vedere che sono pieni di busti di Mussolini in esposizione o in vendita. Un modo – spesso lucroso – per titillare i nostalgici di tutte le età. Ho sentito con le mie orecchie, poco tempo fa, una giovane militante fascista – in senso stretto, lei almeno così si proclama – sostenere con sprezzo che il fascismo esiste ancora solo perché esiste l’antifascismo. Olè!

Sui muri di Roma, ogni anno il 25 aprile, compare un graffito molto significativo: “A questa festa nessuno mi ha invitato”. Non è vero: alla nostra festa sono tutti invitati (mio padre e mio nonno hanno combattuto per questo), basta che ciascuno lo voglia. La “fratellanza” e il “revisionismo”, nel nome dei quali negli ultimi due, tre decenni sono state compiute le peggiori nefandezze storiche, vanno a senso unico: bisogna che io dica che i fascisti, i repubblichini, gli ex gerarchi di Salò, quelli che hanno mandato a morte i loro concittadini italiani facendo i delatori con i nazisti, bisogna che io dica che tutti questi sono “miei fratelli”. Ma nessuno chiede loro di sentirsi mio fratello; nessuno chiede loro di rispettare la mia storia. E quando (per esempio) quel poveraccio di ex fascista di Fini s’è permesso il lusso di criticare le leggi razziali e dirsi fratello dei suoi ex-avversari, lo hanno sommerso di urla: traditore! Si può mutuare la straordinaria battuta di Corrado Guzzanti (“Casa delle Libertà: nel senso che ognuno fa come cazzo gli pare!”) dicendo che il liberalismo di questa gente consiste in questo: “Ognuno è libero di fare come dico io!”.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: niente più regole (le regole sono indispensabili alla convivenza), niente più vincoli morali o – peggio – etici. Dicono che le ideologie sono morte, che destra e sinistra non esistono più: è vero. Nel senso che sono state uccise tutte: ideologie, destra e sinistra. Ormai siamo in un grande mare di fango dove tutto si confonde, dove ciascuno è libero di svicolare qualunque responsabilità rispetto a sé e ai propri simili. A Berlusconi che ha aggiunto promesse a promesse solo per non doverle mai mantenere nessuno rimprovera le menzogne. A Bersani che ha scoperto la necessità di cambiare l’Italia solo dopo aver perso le elezioni nessuno rimprovera l’incoerenza. A Beppe Grillo che ha sparato su qualunque possibilità di trasformare il Paese solo per guadagnare un altro pugno di inserzioni in più sul suo blog, nessuno rimprovera il disinteresse per il Paese. Ciascuno è libero di sfruttare la situazione a esclusivo proprio vantaggio: è questa la “libertà” che si festeggia oggi?

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