Anna Camaiti Hostert
La lezione del Napoltano bis /2

Basta con l’Italia del “Sorpasso”

Neghittosi, indisciplinati, allergici alle regole a partire da quelle più elementari della convivenza civile, incapaci di rispettare il bene comune e di puntare sulle nostre eccellenze. Così ci vedono all'estero, e purtroppo spesso a ragione. Occorre riscoprire “il senso paese”...

I turisti stranieri, soprattutto quelli anglosassoni, amano tutto dell’Italia: il patrimonio artistico-culturale, il cibo, la moda, l’artigianato, lo stile di vita. Ma c’è una cosa che non riescono a capire e sulla quale amaramente sorridono: il fatto che siamo incapaci di far funzionare un paese con tutte queste eccellenze. E ci prendono in giro. Nell’inferno delle loro barzellette sono gli italiani quelli incaricati dell’organizzazione. Ci ritengono incapaci di obbedire a qualsiasi regola. Così nell’immaginario dei loro stereotipi che sono sì riduttivi, ma contengono pur sempre qualche verità, mentre i tedeschi, completamente privi di qualunque capacità critica obbediscono a qualsiasi ordine venga impartito loro, gli italiani al comando «fai questo» rispondono «ma perché’ proprio io?».

Neghittosi, indisciplinati e allergici alle regole a partire da quelle più elementari della convivenza civile. Manchiamo di senso di civismo, o come dicono gli anglosassoni con una sola parola, di civicness e a giudicare da come si comportano nella vita quotidiana nei loro paesi forse un po’ di ragione ce l’hanno. In poche parole non abbiamo quello che è il loro senso paese, un’identità nazionale non nazionalistica, un senso della collettività che abbia a cuore il bene comune, un’educazione civica che coniuga il rispetto dell’altro con quello di se stessi. Così ci fanno notare che quando si trovano a passare su un marciapiede dove un gruppo di gente è assembrata a discutere, è necessario chiedere permesso e quasi si riceve un’occhiata di rimprovero per averli disturbati; per non parlare delle regole comunemente disattese del traffico italiano che vedono come un incubo, un vero caos: notano di frequente motorini passare con il semaforo rosso, nessuno rispettare una fila e i pedoni minacciati sulle strisce pedonali da macchine che sfrecciano molto spesso senza fermarsi.

E poi puntano il dito sulla sporcizia nelle strade piene di escrementi di cani e di carte gettate in terra a pochi metri da un cestino della spazzatura. Ancora, sono colpiti dagli atti di vandalismo commessi da ragazzi che subito dopo che è stata rifatta la facciata di un palazzo sentono il bisogno di comunicare al mondo il loro amore per la ragazza o il ragazzo di turno che probabilmente dopo qualche mese non sarà neanche più lo stesso/a, mentre il muro imbrattato rimane e danneggia l’immagine dell’edificio appena ripulito. Come poi se a qualcuno potessero importare veramente delle loro preferenze amorose. Infine notano la mancanza di rispetto della comunità da parte di gente che non preoccupandosi della quiete pubblica tiene sui terrazzi cani che abbaiano giornate intere, la musica ad alto volume e getta dalle finestre tutto quello che gli capita. E notano anche che agli italiani non interessa neanche l’apparenza esterna delle proprie abitazioni tutti e solo concentrati sul microcosmo interno a esse. Tanto chi se ne frega cosa pensano gli altri e da cosa possono essere disturbati… E soprattutto perché preoccuparsi dell’estetica di un bene comune? Lasciamo che sia lo Stato o l’amministrazione condominiale a occuparsene. Come se queste entità non fossero formate dallo stesso insieme dei singoli. Quello che importa è “l’utile particulare”.

E che dire delle amministrazioni pubbliche dove all’inefficienza e alla maleducazione di funzionari che scaricano sulla gente le loro frustrazioni si aggiunge l’incompetenza e la cattiva informazione? Sguardo corto, ci dicono gli anglosassoni, che non è proiettato verso il futuro e verso il benessere di una democrazia basata sul rispetto reciproco. E difatti all’estero non capiscono come i cittadini italiani siano così restii a pagare le tasse, un dovere civico che serve a far crescere e prosperare il paese, permettendo il mantenimento dei servizi di cui tutti beneficiamo. Soprattutto gli americani non comprendono come questo dovere civico non sia rispettato e non solo perché il temutissimo Irs (Internal Revenue Service), quello responsabile dell’arresto di Al Capone, è uno spauracchio con il quale non si scherza, ma soprattutto perché è qualcosa che non contemplano per definizione. Fa parte del dovere dei cittadini di una democrazia che se mutilata e frodata, non riuscirà mai a prosperare mettendo in pericolo i fondamentali diritti acquisiti. E con essi anche quello alla cultura che è l’espressione più alta di una democrazia e che all’Italia con la sua ricchezza artistica e culturale, patrimonio del mondo, nuoce in modo particolare.

RIFIUTI:NAPOLI SEMPRE PIU' SPORCA, 2200 TONNELLATE IN STRADADa noi invece l’hanno sempre fatta da padroni le “raccomandazioni” e i privilegi, immagine di un paese piccolo e mediocre in cui la cultura non trova lo spazio per espandersi e respirare e dove i talenti non vengono alimentati e incoraggiati. Quelli veri vanno all’estero e ci rimangono, perché se è vero che nemo propheta in patria è anche vero che adesso questa sembra essere diventata la regola anche per chi cerca semplicemente di esprimersi. Come nel passato oggi bisogna emigrare. Una vera dittatura dell’ignoranza. E questo nasce proprio dal fatto che a essere lese sono proprio le piccole ed elementari regole della convivenza civile. Fin dalle scuole elementari dovrebbero essere insegnati quei principi che costituiscono il corpo centrale di una materia di insegnamento che una volta si chiamava educazione civica e che oggi si chiama costituzione e cittadinanza, ma che, vista la riduzione delle ore di insegnamento delle materie letterarie, non ha ormai quasi più quasi diritto di cittadinanza nelle aule scolastiche. Ma invece è da lì che bisogna ricominciare mostrando già ai bambini e ai ragazzi come l’assenza di questa sensibilità non sia da ganzi ma invece da coatti, da ignoranti. Bisogna estirpare la mentalità dei “furbetti” che tanto ha danneggiato il nostro paese costringendo i migliori ad andarsene e i mediocri a prevalere, perché dove c’è un furbo che se ne approfitta c’è anche sempre un cretino e a nessuno dovrebbe toccare in sorte di interpretarne la parte. Specie in una democrazia basata sul merito.

In un film storico di Dino Risi del 1962, Il sorpasso (tradotto non casualmente in inglese con il titolo The easy life), una delle commedie all’italiana più belle mai fatte, Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant impersonano due giovani uomini alle soglie del miracolo economico di un’Italia in piena rinascita agli albori degli anni Sessanta. I due, Bruno (Gassman) e Roberto (Trintignant), sono il ritratto dell’Italia di allora: il primo – sbruffone, superficiale che si prende gioco di qualsiasi regola di convivenza civile – è il simbolo di come il paese ha vissuto il boom economico di quegli anni; il secondo – timido, sensibile, introverso, titubante nell’infrangere delle convenzioni sociali – è invece emblema di valori morali solidi e duraturi, forse ancora più legati alla terra e alla cultura contadina che a quelli dell’inurbamento selvaggio e appunto senza regole. Film amaro che si conclude con la morte di Roberto quasi a rappresentare la scomparsa di certi valori di un passato che seppure andava superato è tuttavia quello che ci ha reso grandi e che ci ha reso “paese” di eccellenze nel mondo. Un passato ucciso per far posto agli arrampicatori sociali, a una giungla di interessi maturati sulla pelle di tutti quelli che sono rimasti a guardare – la maggioranza – senza potere fare niente.

Muore dunque un paese che ha sperato e sognato un cambiamento che in realtà non c’è mai stato per l’incapacità di coniugare la ricchezza di una tradizione millenaria con l’innovazione attraverso regole e criteri di competizione di mercato che tenessero conto della necessità di forme di giustizia sociale. Privilegi e trasgressione delle più elementari regole della democrazia invece l’hanno fatta da padrone fino a oggi. Frutto di questa mentalità è ed è stata la classe politica che è passata indenne dalla prima alla seconda Repubblica in un immobilismo totale. Le cosiddette nuove forze politiche affacciatesi all’orizzonte si sono macchiate degli stessi crimini di quelle vecchie e quello che è apparso nuovo nella sigla e nel simbolo del nuovo partito è risultato essere invece il frutto di una Italietta vecchia, litigiosa e provinciale incapace di amarsi davvero e di proteggere il suo grande patrimonio culturale. Altro che grandi statisti di impronta americana!

E a poco serve celebrare formalmente gli anniversari di un’unità che più che un’unificazione è stata un’annessione. Non a caso Dorso, Gobetti Gramsci hanno parlato di “questione meridionale”, una questione di squilibri che ha fatto sì che le popolazioni meridionali amassero più i loro re Borboni che li tenevano nella miseria e nell’ignoranza solo perché erano nati nella loro terra, parlavano il loro dialetto e in fondo li capivano, piuttosto che invece i piemontesi che consideravano stranieri e che hanno commesso nel Sud stragi che in alcuni casi hanno fatto impallidire il “cuore di tenebra” dell’avventura coloniale di re Leopoldo del Belgio in Congo. Da questo squilibrio è nato uno Stato inefficiente e disorganizzato, insieme al banditismo meridionale che è divenuto poi criminalità organizzata e che adesso ha anche una divisione regionale: camorra, mafia ‘ndrangheta e altre.

La sinistra italiana che oggi si sta dissolvendo come neve al sole sotto i colpi delle divisioni e della corruzione aveva sposato questa causa assieme a quella della giustizia sociale prima di ridursi a ciò che è diventata adesso. E in passato aveva denunciato disfunzioni e storture che hanno determinato quello sviluppo impari cercando dai banchi dell’opposizione di correggere l’assoluta sfiducia del paese, da nord a sud, nelle istituzioni. La nascita e il trionfo prima della Lega e di Berlusconi e poi del Movimento 5 stelle sono una diretta conseguenza del fallimento di questo obiettivo. Ma se si torna indietro nel tempo è facile notare che l’Italia non ha mai avuto dalla sua unificazione a oggi una classe dirigente che ha pensato agli interessi del paese, preoccupandosi solo dei propri. Non ha mai avuto una regina Elisabetta! La sua storia è iniziata con lo scandalo della Banca romana e si è protratta fino ai nostri giorni con le ruberie quotidiane dei politici di turno. Con grande danno nei confronti della nascita di una vera democrazia e nei confronti di quei tanti onesti cittadini che quotidianamente compiono il loro dovere, pagano le tasse e si sentono traditi non solo nelle aspirazioni e nei sogni che hanno coltivato e coltivano, ma soprattutto nell’espressione di una volontà i politici da loro eletti non rappresentano. E infine, a danno dei tanti talenti che il nostro paese a dispetto di tutto ciò ancora possiede.

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