Il suicidio cultura araba
Il rogo di Timbuctu
Gli integralisti islamici in fuga da Timbuctu hanno dato alle fiamme il patrimonio di settecentomila manoscritti medioevali sulla quale si fondava la memoria e l’’identità degli arabi stessi. Ma solo l’Occidente ha protestato
La cultura, la storia e la memoria non piacciono all’islamismo radicale. Abbiamo visto tutti le immagini inaudite (ossia di un’inaudita violenza e un’inaudita idiozia) delle esplosioni con le quali i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan, in Afghanistan. Ora ci tocca rivivere quello sconcerto di fronte al rogo della Biblioteca di Timbuctu. Ancora una volta, gli islamici ritengono che distruggere i simboli equivalga a distruggere una memoria condivisa: come quei bambini che di fronte a qualcosa che li impaurisce si limitano a chiudere gli occhi: sparita l’immagine, sparita la paura…
Ovviamente non è così. Ma l’ignoranza e la violenta arroganza degli arabi radicali stavolta colpisce se stessa. Perché la Biblioteca di Timbuctu, consta in una collezione di circa 700.000 manoscritti arabo-islamici medievali africani, ossia il fondamento stesso (culturale e religioso) della comunità araba mondiale. Infatti Timbuctu, con il suo ruolo di snodo dei traffici tra arabi e popolazioni berbere, ha finito per accumulare segnali e testimonianze di un universo totalmente autonomo e alternativo a quello occidentale. E allora questa volta i terroristi che abbandonando la città hanno dato alle fiamme i manoscritti trecenteschi hanno tagliato testa e gambe a se stessi. Se questi individui abbiano la capacità di capire il proprio gesto è lecito dubitarne, ma certo stupisce che nel mondo arabo nel suo complesso (fatto indubitabilmente anche di persone moderate) non una voce si levi contro questa costante barbarie della conoscenza e dell’identità che loro, tutti gli arabi, dovrebbero invece condividere e tutelare.
Proprio il rogo di Timbuctu invece appare come un gesto insensato che decreta il fallimento della “rivoluzione” araba così come il terrorismo qaedista la intende. Mentre il silenzio delle autorità e delle masse che stanno continuando ad animare con il sangue e con la repressione le cosiddette “primavere arabe” sta a dirci quando poco il rispetto del pensiero (anche il proprio) sia al centro di quelle forze e di quelle culture. Ecco perché continuiamo ad aspettare le vibranti proteste di Ahmadinejad, Hamas, Morsi e i Fratelli musulmani del mondo.