Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Irrido dunque sono

Dopo l'uccisione di Samuel Paty, la Francia si interroga sui limiti (eventuali) e sul significato delle caricature. La storica Annie Duprat, partendo dall'Ottocento, spiega come la satira sia destinata a un'identità condivisa: la globalizzazione dell'immaginario ne ha cambiato i connotati

L’assassinio di Samuel Paty, l’insegnante decapitato da un giovane terrorista islamista perché, durante un corso di educazione civica e morale, aveva fatto vedere ai suoi allievi quindicenni alcune delle vignette su Maometto di Charlie Hebdo, ha gettato la Francia nell’orrore. Inoltre, questo drammatico evento ha messo il Paese di fronte un dilemma. In uno Stato che ha affidato alla scuola – laica, gratuita e obbligatoria – il compito di trasmettere i propri valori civili e morali con corsi obbligatori dalle elementari al liceo, è giusto mostrare immagini che possono risultare blasfeme e offensive a menti non ancora dotate di sufficiente spirito critico?

Più in generale, ci si chiede se la difesa del principio di libertà di pensiero e di espressione possa passare anche attraverso una caricatura, sebbene, proprio in difesa di questo principio, dodici persone abbiano perso la vita nell’attentato al giornale Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 e Samuel Paty sia stato ucciso.

Nello smarrimento e nel dolore seguiti alla morte del professore, insignito della Legione d’onore alla memoria e commemorato da Macron in una cerimonia ufficiale alla Sorbona, una luce è arrivata proprio da un’insegnante, Annie Duprat, storica dell’Università CY Cergy Paris, che ha ricostruito la storia della caricatura in Francia per il sito indipendente The Conversation https://theconversation.com/pourquoi-lart-de-la-caricature-est-il-sacre-pour-les-francais-148566.

Manifestazioni in Francia in memoria di Samuel Paty

La caricatura ha sempre sottolineato gli eventi più importanti della storia del Paese, seguendo le sorti della libertà di stampa, fino alla nascita di internet. Soprattutto ne ha testimoniato la crescita democratica, tanto che – secondo Annie Duprat – il secolo d’oro della caricatura è stato l’Ottocento, «il secolo del trionfo della borghesia ma anche delle rivoluzioni e della lotta di classe». La popolarità di alcune vignette è stata tale che il loro titolo è entrato nel linguaggio comune, come nel caso di Ils en ont parlé (Ne hanno parlato), per dire che una conversazione si è trasformata in una rissa, riferito al celeberrimo disegno di Caran-d’Aches sull’affaire Dreyfus, pubblicato sul Figaro nel 1898.

 «Pourquoi l’art de la caricature est-il sacré pour les Français?», questo il titolo dell’articolo, ripreso da molti quotidiani francesi, si apre con l’immagine della famosa caricatura del cittadino repubblicano – Jacques Bonhomme, per dire l’uomo della strada – che si pulisce il sedere con una “breve” papale destinata ai fedeli. Siamo nel 1791, leggiamo nella didascalia, e questa è una risposta anonima alla bolla “Caritas” nella quale Pio VI condanna la  Costituzione civile del clero, l’atto  approvato il 12 luglio 1790 dall’Assemblea nazionale costituente per modificare i rapporti tra  Stato francese e Chiesa. L’immagine – spiega la storica – usa il registro del “mondo alla rovescia” per l’inversione dei valori, lo sguardo rivolto allo spettatore e il sorriso complice, la scatologia messa insieme ad un documento religioso della massima importanza.

 E qui Annie Duprat va subito al dunque. Parlando delle caricature anticlericali, scrive: «La caricatura antireligiosa, anche se ironica e disimpegnata, non è mai innocente per i credenti». Quando si parla di caricature – sottolinea – non dobbiamo mai dimenticare un elemento essenziale: il patto di lettura fra la caricatura – e a volte il caricaturista – e lo spettatore. Un’immagine – spiega – non è che un insieme di segni, destinati a produrre un senso nello sguardo e nello spirito di colui che guarda. L’oggetto non è nulla senza lo sguardo dello spettatore. Lo stesso documento può produrre una serie infinita di significati e questo ne rende l’uso pedagogico estremamente delicato. Il patto di lettura si basa su una cultura e una comprensione comuni alle due parti. Jacques Bonhomme rappresenta la trasgressione più assoluta, sia per la situazione triviale che per ciò che dice, ma la sua comicità scatologica, da fiera di paese, fa ridere proprio perché si riferisce ad un registro condiviso, anche se, chi guarda, non identifica immediatamente la scena e i suoi protagonisti.

 La stessa condivisione è alla base delle caricature anticlericali pubblicate nel pieno della battaglia politica per la laicizzazione dello Stato. I giornali di inizio novecento sono pieni di preti rappresentati come corvi o maiali, intenti a palpeggiare matrone e bambini, in situazioni a dir poco scabrose. Del resto, spiega la storica, i personaggi zoomorfi o ibridi, le scene del “mondo alla rovescia”, i mostri medioevali e del rinascimento sono il substrato della caricatura, sia essa politica, sociale o di costume, e della sua funzione catartica.

Oggi questa cultura comune su cui si basa il patto di lettura è in grande pericolo. L’irruzione di internet ha cambiato la situazione perché permette a tutti di vedere ciò che si pubblica in tutto il mondo, provocando così un vero e proprio scontro di culture. I disegni di Charlie Hebdo ne sono un esempio.

In Francia – conclude Duprat – si tratta dunque di rifondare un substrato culturale condiviso per preservare lo spirito di fronda e il senso critico che sono la ricchezza di una società democratica, al di là delle differenze di origine e delle convinzioni religiose di coloro che la compongono.

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