Gianni Cerasuolo
Viaggio a Pozzuoli/1

Terra dell’incertezza

Il bradisismo, l'attività vulcanica costante, l'edilizia selvaggia: che cosa vuol dire vivere in un luogo instabile? A Pozzuoli la scienza deve inseguire la natura: alle volte studiare e prevedere non basta. Solo chi vive in questo enigma ci fa l'abitudine

A Pozzuoli la terra trema e si gonfia come un soufflé. La paura è tornata. Il fenomeno millenario che si chiama bradisismo, cioè il movimento lento del suolo, continua a scombussolare le viscere dei Campi Flegrei, l’area vulcanica che lambisce a occidente Napoli e che contiene zone densamente urbanizzate come Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida sul mare; Quarto nell’entroterra. Ma anche agglomerati urbani come Bagnoli, Fuorigrotta e Soccavo che fanno parte del Comune partenopeo. Nei Campi Flegrei ci sono circa 600 mila persone. Mentre si calcola che nel Napoletano siano circa 3 milioni i cittadini che vivono a distanza di 20 km da bocche vulcaniche.

La caldera dei Campi Flegrei (flegreo deriva dal greco antico, significa bruciare, ardere) è una sorta di supervulcano che preoccupa da sempre gli scienziati. Forse più del Vesuvio e dell’isola di Ischia. È una terra che bolle e fuma nella Solfatara, il vulcano sulla collina di Pozzuoli, scenario di film lontani e recenti, l’Inferno come credette Totò in 47 morto che parla. Un luogo meta di visitatori e turisti fino al settembre 2017, quando la morte terribile di una famiglia veneta, finita in una voragine e asfissiata dai gas, causò la chiusura del luogo.

A marzo di quest’anno a Pozzuoli ci sono stati 339 piccoli terremoti. Ad aprile 255 scosse: in media 8 al giorno. Il bollettino settimanale del 3 maggio dell’Osservatorio Vesuviano dice che nella settimana tra il 25 aprile e il primo di maggio si sono registrati 54 terremoti di bassa energia. Tutta questa attività sismica non rappresenta una novità. Le microscosse sono state sempre segnalate dagli strumenti da quando la rete di sorveglianza è stata potenziata. La terra brontola in superficie, a poche centinaia di metri o a 2/3 chilometri di profondità: questa cosa fa sentire di più la botta, malgrado si tratti di terremoti di bassa intensità. A fine marzo una scossa ha raggiunto i 3.6 di magnitudo, uno scuotimento considerato tra i più violenti, un valore che non si registrava dal 1984. Un’altra scossa, in piena notte, è arrivata a 2.7. È un dondolare continuo ma senza che qualcuno canti la ninna nanna. Si susseguono sciami infiniti di scossette, uno sbatacchiamento che non conosce notte o giorno, che mette a dura prova la stabilità degli edifici e spaventa. «Sto pensando di affittare una casa altrove» mormora qualcuno con tristezza.

L’epicentro delle scosse è solitamente localizzato in un’area ben definita, cioè quella attorno alla Solfatara: Pozzuoli alta (spesso anche il golfo), Pisciarelli, Agnano. Ma poi attraverso i social e il passaparola, i media locali e la lettura dei comunicati dell’Osservatorio si apprende che i palazzi hanno vibrato anche un poco più lontano: nei quartieri napoletani di Soccavo, Pianura, Fuorigrotta, Bagnoli. Posti dove le case sono cresciute come funghi dagli anni Cinquanta in poi (a Fuorigrotta, peraltro, sono concentrate tante cose: dal Politecnico e altre sedi dell’Università degli studi al Centro di produzione Rai, dalla Mostra d’Oltremare allo stadio Maradona, dall’ospedale San Paolo alla sede dell’Osservatorio Vesuviano).

Un’edilizia furiosa e imprudente, spesso abusiva, tollerata e incentivata dalla politica, indifferente al fatto di gettare le fondamenta dentro un vulcano, è proliferata – oltre che attorno al Vesuvio – anche sulla costa e nell’entroterra del golfo di Pozzuoli, un arco marino spettacolare che va dalla punta di Posillipo, o meglio, da Nisida a Capo Miseno. Un’area sui cui sorgevano un tempo le industrie che alimentavano l’economia “buona” napoletana: l’Italsider, la Cementir, la Sofer, la Pirelli, l’Olivetti. L’Italsider, la vecchia Ilva, la grande acciaieria di Napoli, chiusa ad inizio degli anni Novanta, smontata e regalata pezzo dopo pezzo a cinesi e indiani, è ancora lì, uno spettro ingombrante che attende ancora la conclusione della bonifica dei suoli avvelenati. Una vicenda che si trascina da decenni tra annunci di iniziative politiche subito abortite e inutili, beffardi riti giudiziari.

La terra ha ricominciato a lievitare, sospinta da masse magmatiche e da gas, da molti anni. Nella crisi degli anni Ottanta la superficie si era sollevata di circa 178 centimetri. Poi dal 1985 al 2006 il suolo si è abbassato di circa 94 centimetri. Gli ultimi dati dicono che dal 2006 alle ultime settimane dell’aprile scorso la terra si è rialzata (sotto il Rione Terra, l’antica rocca) di ben 94,5 centimetri, vale a dire di 5 millimetri in più sui dati degli anni Ottanta. Il valore medio di sollevamento nell’area di massima deformazione dal dicembre 2021 è di circa 13 millimetri al mese, mentre tra luglio e settembre dello scorso anno era di 10 millimetri al mese. 

Così il pensiero corre anche verso eventi estremi: un’eruzione, ad esempio. Ma va subito detto: questa è un’ipotesi lontana dalla realtà dei fenomeni di questi mesi. Gli scienziati concordano e invitano alla prudenza: un evento del genere non è previsto, rassicurano in coro. «Sa dove abito?», mi dice il professore Giuseppe Luongo, famoso vulcanologo, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, uno che conosce bene i fenomeni della zona flegrea avendo affrontato già le crisi degli anni Settanta e Ottanta: «Abito a Lucrino nella zona dove sorse il Monte Nuovo: non ho paura ma sono attento». Ed Eleonora Puntillo, autorevole ed apprezzata giornalista, una donna che ha raccontato terremoti, esodi e grandi speculazioni sulle pagine dell’Unità e di altri giornali, ironizza non poco: «Se qui spunta un vulcano, devono preoccuparsi anche a Londra e a Parigi…».

Se si chiede in giro, qualcuno risponde anche così: «Proprio mo’! Non bastano una pandemia e una guerra?».  Altri ti dicono di avere una «moderata preoccupazione». E molti, meno impensieriti e più fatalisti, continuano a ripetere: «Viviamo da sempre con il bradisismo. Non possiamo farci niente. Vedrete, non accadrà nulla di grave». È un po’ la filosofia del «Dddio ce penza», come mi suggerisce un amico, una mentalità che ha procurato pure tanti guasti e danni, che espone anche alle bizze della natura. «La gente teme più la guerra che i terremoti» azzardano infine i più vecchi.

Poi ad ogni scossa i pensieri tornano cupi.

Il livello di allerta è di colore giallo, il secondo dei quattro: verde, giallo, arancione, rosso. Tutta l’area flegrea è supersorvegliata da droni, satelliti, sensori posti in fondo al mare.

Un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016 (governo Renzi) divise i Campi Flegrei in Zona Rossa (dentro ci sono 7 Comuni: Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, una parte di Marano, Giugliano e anche Napoli con i quartieri “periferici”, vale a dire Bagnoli, Fuorigrotta, Soccavo, Chiaiano e Pianura ma anche con alcune zone centrali o famose come San Ferdinando, Posillipo, Vomero ed Arenella); e in Zona Gialla (ancora Napoli con altri quartieri e i Comuni di Villaricca, Calvizzano, Casavatore, Melito, l’altra parte di Marano, Mugnano).  I piani di emergenza hanno predisposto aree di accoglienza in varie parti d’Italia e stabiliti dei gemellaggi con piccole e grandi città del Nord: i puteolani in Lombardia, la gente di Bacoli in Umbria e nelle Marche, quella di Monte di Procida in Abruzzo e Molise. Sono state fatte delle esercitazioni in caso di eventi estremi nei paesi interessati. Ogni settimana l’Osservatorio fotografa la situazione e pubblica sul sito i bollettini che misurano la “febbre”, registrano le scosse, analizzano i vapori.

Ma si invoca più trasparenza dalle istituzioni. Ci si chiede: la gente è informata correttamente? Sa dove andare e, soprattutto, sa come muoversi in caso di allarme? E poi: sono stati fatti controlli agli edifici?

Eleonora Puntillo, che a Pozzuoli ha casa, descrive meglio l’atmosfera: «Sono millenni che fa così. Siamo in attesa che possa succedere qualcosa ma fiduciosi anche che non accada nulla. Vedo in giro tranquillità. I puteolani non strillano più. Ricordo molti anni fa quando vedevo le donne che uscivano dalle abitazioni, dai palazzi urlando quasi a voler spaventare il vulcano. Non se ne parla ma si prendono pure iniziative, come dire, distensive, senza protagonismi e senza echi di stampa. Ad esempio, una messa su dalla Protezione Civile regionale e da quella locale: hanno piazzato in giro dei cartelli in cui c’è una sorta di “narrazione” del bradisismo per spiegare, attraverso anche immagini antiche, i mutamenti del paesaggio e dei luoghi. Poi ci sono quelli che vanno nelle scuole a spiegare i fenomeni naturali ai giovani anche per evitare il caos che si verificò qualche anno fa quando la terra tremò, i ragazzi si attaccarono al cellulare, chiedendo aiuto ai familiari: successe un inferno per una piccola scossa». Eleonora indica tanti esempi positivi di comunicazione: l’associazione “Lux in Fabula” che ha scannerizzato su Youtube centinaia di libri, articoli di giornale e altro che parlano del bradisismo flegreo sul portale Città Vulcano.  E Claudio Correale, animatore e numero 1 dell’associazione, denuncia che «da anni vogliamo fare un Museo del bradisismo on line ma l’amministrazione comunale non ci dà l’ok».

Mario Tozzi, noto volto televisivo (Geo& Geo, Sapiens, tra i tanti programmi), geologo e divulgatore scientifico, ha dedicato qualche puntata delle sue trasmissioni ai Campi Flegrei. Tozzi evidenzia due cose: da un lato, la rete di controllo della zona; dall’altra, l’urgenza di mettere mano a piani che favoriscano il decongestionamento dell’area. «Io sono tranquillo. Quella è una delle zone più monitorate del mondo: se la situazione dovesse precipitare, i segnali premonitori sarebbero rilevati per tempo. I Campi Flegrei sono il nostro supervulcano. Ma lì è stata costruita ogni cosa, dalle case nella bocca della Solfatara agli ospedali. In quell’area ci hanno fatto persino un ippodromo. L’unico cratere intatto sono gli Astroni (la riserva di caccia dei re e degli stessi Savoia ndr). C’è l’urgenza di varare dei piani ventennali, trentennali per favorire l’esodo verso zone più tranquille, fuori dal rischio. Anche con incentivi statali, con aiuti a chi è costretto a spostarsi. L’area flegrea dovrebbe diventare un Parco per attività scientifiche, culturali e turistiche». 

Insomma, bisognerebbe mettere mano ad una Nuova Pozzuoli e ripensare ad una diversa politica del territorio. Basterebbe anche un progetto serio e articolato di convivenza con bradisismo e terremoti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha assegnato ai Campi Flegrei 60 milioni di euro (con 8 Comuni interessati). Basteranno appena per fare poche cose.

Muoversi fuori dall’emergenza e prevenire: sono verbi che l’Italia non sa coniugare. Quale politico si assume la responsabilità di cominciare a ragionare seriamente su una diversa distribuzione della popolazione, prendendo spunto, ad esempio, dal Giappone che questi problemi li ha affrontati? E chi investe sul futuro del Sud? Piuttosto, si ha idea di quanto costi un esodo forzato di centinaia di migliaia di persone?

Non resta che affidarsi alla scienza, alla ricerca. Come per il Covid. Vanno evitati catastrofisti e ciarlatani. Anche se, a volte, tra scienziati e ricercatori non c’è unanimità sulle analisi dei fenomeni e sulle strategie. La comunità scientifica evita di far rumore su una materia delicata e, a volte, incomprensibile. Teme di diffondere psicosi o di usare qualche parola di troppo. Delle scosse e del bradisismo dei Campi Flegrei, fateci caso, non si parla sui media. C’è traccia soltanto sulla informazione locale.

D’atra parte, il caso-l’Aquila scotta ancora: Commissione Grandi Rischi e Protezione Civile furono messi sotto accusa dall’opinione pubblica ma soprattutto dalla magistratura abruzzese per non aver “previsto” o meglio, per aver sottovalutato segnali premonitori del tragico terremoto del 6 aprile 2009. Sette fra tecnici e scienziati, e tra di essi personaggi di spicco come Franco Barberi ed Enzo Boschi, furono accusati e processati dalla Procura del capoluogo abruzzese per omicidio colposo plurimo e lesioni. In sostanza si rimproverava agli scienziati e agli esperti di aver fatto una frettolosa riunione pochi giorni prima di quel maledetto sisma. In prima istanza ci furono pesanti condanne. Si parlò di un processo simile a quello subito da Galileo Galilei dal Sant’Uffizio, di un verdetto perverso e ridicolo. Poi la Corte d’Appello dell’Aquila e la Cassazione cancellarono le condanne. Questo accadeva soltanto sette anni fa.

L’ultima eruzione nei Campi Flegrei avvenne nel 1538: quella del Monte Nuovo. A leggere le cronache del tempo vengono i brividi. L’evento venne preceduto già sessant’anni prima da una robusta attività sismica, dall’intensificarsi delle emissioni gassose, dall’emergere di terreni e rocce prima sommersi dal mare, da un sollevamento del fondale marino che portò in superficie i pesci, da centinaia e centinaia di scosse che colpirono anche Napoli. Poi la fuoriuscita del piccolo monte (è alto 133 metri) nella zona chiamata Tripergole, verso Lucrino, Arco Felice a pochi passi dal mare: un’apocalisse. Più recentemente avremmo letto Malaparte e di quel vulcano, poco distante dal Monte Nuovo, che sembrava un mostro orrendo con la testa di cane: «Il Vesuvio gridava orribilmente nelle tenebre rosse di quella spaventosa notte, e un pianto disperato si levava dall’infelice città». Era il 1944 e il colonnello Jack era entrato da qualche mese a Napoli.

Pozzuoli si spopolò già nel 1970 e negli anni tra il 1982 e il 1984. Il suolo si sollevò fino a 3,5 metri. Poi per circa vent’anni la situazione divenne più tranquilla, anzi il suolo prese ad abbassarsi, “subsidenza” la chiamano gli studiosi. Dal 2006, come abbiamo visto, è tornata a sollevarsi.

Nel 1970 venne sgomberato il Rione Terra con l’intervento di carabinieri e polizia: si disse che le abitazioni, molte in rovina, fossero a rischio di crolli. Ci furono terremoti di bassa intensità e un sollevamento di circa 70 centimetri. Così si decise per l’azione di forza che disperse nelle campagne dell’entroterra tra Caserta e Napoli una comunità che era fatta soprattutto di pescatori, manovali, lavoratori saltuari. Successivamente, dopo il tragico terremoto dell’Irpinia, ricominciò la risalita e si ripeterono piccoli ma frequenti eventi sismici. Fino al 4 ottobre 1983 quando ci fu una scossa di magnitudo 4 seguita qualche giorno dopo da un copioso sciame sismico (229 scosse in poche ore). L’anno successivo i terremoti si moltiplicarono fino al dicembre quando la terra si diede una bella scrollata di 3.8 il giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre. Anche allora, come nel ’70, molti puteolani preferirono abbandonare la città. Tanti altri non si mossero, dormivano in auto la notte pur di non lasciare casa e ricordi. Furono abbattuti edifici pubblici, si demolirono case, altre abitazioni furono ristrutturate e rafforzate con ferro e cemento. Vennero creati nuovi quartieri lontani dal centro flegreo, periferie povere senz’anima. La vita dei puteolani cambiò.

Adesso, osservando tratti della costa e luoghi caratteristici come la vecchia darsena (’o valione) dove i pescatori ormeggiavano i barconi, viene una stretta al cuore. Sono emersi nuovi tratti di spiagge, ’o valione è diventato quasi uno stagno con poca acqua, i traghetti per Ischia e Procida fanno fatica ad attraccare. D’altra parte a Pozzuoli, dove si sono trasferiti non pochi napoletani distribuendosi anche in altri centri come Bacoli e Monte di Procida, continuano ad arrivare i turisti attratti dai miti dei Campi Flegrei, dall’Anfiteatro Flavio, dal macellum chiamato da tutti Tempio di Serapide, dal percorso archeologico del Rione Terra con le antiche tabernae e il tempio di Augusto, portato alla luce grazie anche agli studi fatti nel corso degli anni da grandi esperti di questi luoghi come Amedeo Maiuri, Raffaele Giamminelli, Angelo D’Ambrosio, Raimondo Annecchino. Sulla piccola altura sono stati fatti lavori durati troppo a lungo ma c’è stata anche una buona attività di scavi che ha disseppellito preziose testimonianze archeologiche.

Il Rione Terra, la vecchia rocca, l’acropoli, contiene la storia di una città fondata da fuggiaschi greci dell’isola di Samo nel 530 a.C. L’amministrazione comunale a guida Pd ha deciso di affidare a privati, per 18 anni, la gestione degli spazi recuperati tra cui un albergo, ristoranti, botteghe, sale per congressi. I bandi e le gare d’appalto hanno destato i sospetti della magistratura. Un’inchiesta della Procura di Napoli ha investito il sindaco uscente (a giugno si vota), Vincenzo Figliolia, e un noto esponente nazionale dello Pd, Nicola Oddati, più altri tra imprenditori, pubblici amministratori e uomini d’affari: 12 persone in tutto. Le ipotesi investigative, tutte da dimostrare, vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta, dalla associazione a delinquere al traffico di influenze. Questa vicenda giudiziaria appena agli inizi ha portato il Movimento 5 Stelle ad abbandonare la coalizione progressista per le prossime elezioni amministrative mentre cittadini e associazioni – che protestano per l’ingresso dei privati sull’antica rocca – hanno chiesto l’intervento del ministro Franceschini. L’attenzione della gente resta puntata sulle viscere di una terra incantevole e ballerina.


  1. Continua. La foto accanto al titolo, quando a Pozzuoli c’era ancora il mare… è di Henri Cartier-Bresson.
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