Loretto Rafanelli
Sui 90 anni di Leone Piccioni

Identikit di un Maestro

Sfogliando il libro uscito in occasione del recente compleanno del critico letterario, si percepisce che gli scritti raccolti (firmati dalle maggiori personalità della cultura italiana) sono viva e appassionata testimonianza di una personalità che ha inciso in modo importante nel rinnovamento della nostra società

Ma quante vite ha vissuto Leone Piccioni? Mi è venuta spontanea la domanda leggendo Maestro e amico, Per i novantʼanni di Leone Piccioni (Pananti), una raccolta di interventi-testimonianze relative al grande critico. Sì perché accanto al raffinato studioso e saggista letterario, amico e sodale dei grandi narratori e poeti italiani del Novecento, dai numerosi scritti che appaiono nel volume, viene fuori lʼimmagine di una figura dalle tantissime competenze, dai molteplici interessi, dai numerosi impegni e le tante attività in diverse direzioni. Quasi inimmaginabili per le forze e lʼintelligenza di una sola persona. E se può passare il discorso della ricerca e dellʼapplicazione nellʼambito letterario, un ambito che diamo quasi per scontato data la risaputa bravura e la sapienza del saggista che non certo si è fermato allʼamato Ungaretti, ma ha ʻrastrellatoʼ (e ʻseminatoʼ) tutta la grande letteratura nazionale, viene da meravigliarsi quando leggiamo della sua passione e delle sue competenze in tanti altri ambiti. Quelli per la musica e lʼarte (con la vicinanza o lʼamicizia affettuosa di Burri, Rosai, Longhi, Carrà, Manzù, Guttuso, ecc.) per esempio. Dellʼimpegno come vicedirettore generale della Rai, e lì ideatore di trasmissioni nuove e di straordinario successo. Come promotore ed estensore di pagine giornalistiche e riviste. E ancora organizzatore di eventi culturali ed equilibrato presidente di giurie, ecc. Poi traduttore dallʼinglese, cultore della poesia negra dʼAmerica (con quel libro Antologia dei poeti negri dʼAmerica di cui Magris dice: un libro che mi ha segnato profondamente, e che tengo sul comodino ancora oggi). Insomma una marea di cose che impressionano.

PiccioniPrendiamo lʼambito musicale. Adriano Mazzoletti ricorda le ʻcreatureʼ radio televisive di Piccioni: “Rassegna del Jazz” che Leone Piccioni conduce con il fratello, grande musicista, Piero, “Tempo di Jazz”, “Jazz Concerto” e in generale la radio di Piccioni con concerti di vario tipo. Chiaro il jazz è il suo campo dʼelezione tanto che al Museo del Jazz di New Orleans agli stupefatti dirigenti del museo, ricorda ancora Mazzoletti, fa notare unʼassenza per lui decisiva: «Ma qui manca Sidney Bechet». Ma oltre al jazz cʼè la musica classica, con il rilancio delle quattro orchestre della Rai (Torino, Milano, Roma, Napoli). Egli non crede alla distinzione tra lʼalto e il basso, tra il colto e lʼincolto, tanto che per lui cʼè uno spazio considerevole anche per la musica popolare brasiliana, che contribuisce a ʻportareʼ in Italia, coi cantanti poi divenuti famosi anche da noi: Gilberto, Jorge Ben, Caetano Veloso, Maria Bethânia, Maysa, Toquinho, Vinicius De Moraes. Una capacità di ascolto che annota nella pagina e trasmette il senso di un «ritmo contagioso e una comunicativa tale da proiettare in un altro continente mentale, un oltreoceano non solo geografico fatto di una sonorità seducente e struggente» (Morazzoni), infine, ma questa è una cosa che non può che sorprendere, la straordinaria inclusione nella programmazione radiofonica di memorabili programmi: “Hit Parade” con Luttazzi, “Bandiera gialla” con Buoncompagni, “Alto gradimento”, “Per voi giovani” con Arbore, “Buon pomeriggio” con Costanzo, “Gran Varietà”. E questa è una lampante dimostrazione dellʼapertura mentale e della capacità intuitiva di Piccioni.

Ma in Rai porta anche LʼApprodo, la più straordinaria pagina culturale della storia della radio-televisione, con la partecipazione dei grandi nomi della letteratura nazionale a iniziare da Ungaretti e Montale (memorabile fu lʼintervista di Piccioni al poeta degli Ossi di seppia). La sua era, è, una visione assolutamente ʻdemocraticaʼ, nel senso di una considerazione paritaria per le varie forme delle arti, del sapere, di una apertura alle manifestazioni popolari, non cʼè traccia in lui di una supposta superiorità di un genere o di una cultura, tantomeno accademica, pur essendo docente di grande levatura e fascino, pur essendo critico tra i più rigorosi, lui che applica alla letteratura una attenzione filologica straordinaria, a partire dallʼesame attento e approfondito delle varianti.

Lʼaspetto letterario è semplice da dirsi e lo sintetizza brillantemente Marta Morazzoni: «Leone Piccioni è un critico appassionato: gli autori di cui si occupa davvero lo occupano con una sorta di invadenza affettiva, che non oscura la capacità di analisi, ma anzi, la allarga come un faro che snidi angoli nascosti». È, crediamo, lʼattenzione alla vita, ai cuori, alle tensioni, alle amarezze quello che interessa Piccioni, perché il critico, come dice Emanuela Bufacchi, anzi il critico Piccioni, ha «… il compito di riconoscere la dimensione etica e profetica della letteratura individuandone e facendone emergere il valore profondamente umano… una letteratura che risponde inequivocabilmente alla ricerca della verità…», ciò attraverso «lʼassoluta preminenza del testo, la storia della poesia e lʼanalisi delle varianti, la concezione dinamica dellʼopera nel suo farsi attraverso la ricerca delle motivazioni…». Quella critica «fondata sullo studio delle varianti, sulle correzioni, sulla tecnica in una linea unitaria che va da De Robertis a Contini a Caretti…». Una critica che non ammette confusioni e distingue nettamente il lavoro artistico da quello critico, «…dʼaltra parte la critica è collaborazione nella misura in cui essa aiuta un artista a capirsi, offre delle conferme al suo lavoro e alla sua poetica, indica gli errori e segnala le cadute» (ricordiamo le parole di Pavese: «è la prima volta in cui vengono posti quesiti e informazioni che mi servono, mi insegnano qualcosa»). E questo corpo a corpo col testo che si esprime nel più rigoroso e rispettoso procedere, tuttavia «può e deve compromettersi», opponendosi ai «giudizi formulati senza autorità e convinzione e non tollera di lasciarsi guidare dai rispetti e dai riguardi del vivere civile».

Fiori MorandiLo stesso Gadda ricorda di Piccioni «lʼacutezza e lʼattitudine di avvicinarsi ai testi letterari una “approximation” criticamente ricca, nella quale affiora lʼinteresse per la vicenda umana e per lʼumano itinerario di una persona».
Daniele Piccini sul versante dellʼanalisi del testo poetico prende in esame il Piccioni attento critico di Mario Luzi e sottolinea come «il discorso sulla poesia di Luzi si è fatto di ulteriore rottura e insieme di ampliamento della prospettiva di ricerca del poeta, discorso sulla possibilità stessa della poesia, a cui si riconosce forza profetica e capacità di sintesi umanistica nel momento stesso in cui prende atto della sua più radicale messa in questione».

Del carattere di Leone Piccioni non so molto, se non per le poche conversazioni telefoniche che mi hanno dato comunque di lui lʼimmagine di una rara gentilezza, ma altri possono ben dire e vale lʼunanime considerazione umana nei suoi confronti, da Arbasino a La Capria, da Paola Capriolo a Zavoli, da Ravasi a Petrignani, da Pananti alla Ammirati, ecc. ma più in generale dai tantissimi scrittori che con lui ebbero rapporti di amicizia o solo di conoscenza, la sottolineatura di una persona che ricerca sempre la carità del dono, dellʼamicizia e della disponibilità. Dice Margaret Mazzantini: «tu dai senso e pace alle cose», con quellʼacume unico come «quando racconti una delle tue storielle nobili e ridicole, sublimi e miserabili come la vita». Perché in lui cʼè oltre alla sensibilità umana quella leggerezza che molto manca o è mancata negli intellettuali nostrani.

Lʼaffettuoso omaggio racchiuso in questo esile, prezioso, volume, di grandi personalità della cultura italiana non è mai semplice augurio o partecipazione retorica, si coglie benissimo il senso di una volontà di dire qualcosa che va oltre il normale saluto per questo bellissimo compleanno, ognuno degli intervenuti mette una parola a quellʼedificio che non è un monumento, ma una viva e appassionata testimonianza di una straordinaria vita. Possiamo chiamare questi interventi “lʼintelligenza del cuore” o “esercizi di ammirazione”. Ma è indubbio che si staglia con assoluta grandezza la figura del maestro. Perché in lui emerge «unʼapertura di orizzonti, senso della generosità, capacità di cogliere il meglio, senza quella rigidità ideologica o quel cinismo materialista» dice Giuseppe Conte. Sintetizza infine bene Nicola Fano lʼaspetto ʻpoliticoʼ di Leone Piccioni, quando nellʼinterrogarsi su alcune contese di un tempo, con la contrapposizione “normale” da tenere per un comunista verso il democristiano Piccioni, valuta che si era di fronte a persone che facevano della propria vita unʼapplicazione continua, uno studio continuo, una riflessione sui grandi temi, a differenza dellʼoggi «il tempo in cui la vita è diventata facile: che senso ha sforzarsi di capire? A che serve domandarsi?». Piccioni non ha avuto pregiudizi, in un mondo, quello letterario, fatto di profonde contrapposizioni ideologiche; niente impedirà a Piccioni di avere tra i suoi grandi amici i “comunisti” Bilenchi, Vittorini, ecc.

Piccioni era un uomo di potere, ma «ha saputo mettere il potere al servizio della società letteraria» e più in generale al servizio di un radicale cambiamento del modo di concepire la scrittura, la comunicazione e lʼimpegno politico, così da creare le basi di un importante rinnovamento della comunità nazionale. Un uomo della modernità, nonostante le forti radici piantate nella tradizione culturale, nel moderatismo ideologico e civile, nella credenza cattolica. Ma ciò non impedirà una veduta ampia verso il cambiamento. Sappiamo che Piccioni leggerà ancora tanti libri e scriverà di poeti e narratori, continuando quel discorso che lo lega da settant’anni alla grande tradizione culturale nazionale e internazionale. Un occhio vigile, attento, generoso. Verrebbe da dire senza difetti. Eppure uno lo vogliamo mettere in evidenza: la sua juventinità, corroborata nel volume dalla bella poesia di Mussapi e dal saluto affettuoso di Giampiero Boniperti.
A dimostrazione che tutti in fondo possono a volte sbagliare.

 

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