Tina Pane
Un incontro con l'attore

Napoli secondo Servillo

«Il teatro è la vita che fa il suo lavoro»: il grande interprete (che oggi debutta a Roma con “Le voci di dentro”) ha incontrato il suo pubblico napoletano. Svelando qualche segreto

Perché Vivo a Napoli? è una domanda che un’abbondante metà di cittadini napoletani si pone almeno una volta al giorno, sudando per conquistare cose che in altre città d’Italia sono un diritto o imprecando quando, nonostante l’impegno profuso, non ci riesce. E Vivo a Napoli è da meno di un anno il nome di un’associazione – propaggine di Guida Editori – che si pone l’obiettivo di usare la cultura (e l’enorme patrimonio storico-artistico di Napoli e della Campania) come sistema di sviluppo economico.

Nell’ambito di un ciclo di incontri con personalità di spicco della città («Perché Vivo a Napoli. Dialoghi con chi resta»), sabato scorso, nella sede gremita dell’associazione, è stato chiamato a dare la sua testimonianza Toni Servillo, che è nato ad Afragola, vive a Caserta ed è stato recentemente insignito della cittadinanza onoraria di Napoli. Nel corso delle due ore di incontro, Servillo – che sta portando in scena con successo Le voci di dentro, da oggi di nuovo in scena al Teatro Argentina di Roma – ha risposto alle domande della presidente di Vivo a Napoli Emilia Leonetti e poi del pubblico, in un dialogo che ha coinvolto Andrea Renzi e Angelo Curti di Teatri Uniti, il sindaco De Magistris, lo scrittore Maurizio De Giovanni e il rapper Lucariello.

Ne è venuta fuori una mattinata piacevole e stimolante in cui chi conosceva Servillo solo come attore, ha potuto apprezzarlo come oratore generoso, dotato di una prosa coinvolgente, evocativa e ricca di ricordi e aneddoti. Servillo ha messo subito a fuoco due valutazioni: Napoli come occasione continua di «nutrimento culturale» e la diffusione della cultura attraverso il teatro (che equivale a praticare l’“anticinismo”). Due capisaldi del suo essere artista e uomo di teatro. Ha poi rivendicato la preponderanza nella sua carriera del teatro sul cinema, ha ricordato che la grandezza di Eduardo sta nello sguardo sempre attuale sull’uomo, ha ringraziato la lingua napoletana riconoscendola lingua teatrale per eccellenza, l’unica che «precede il corpo e che è dinamica, comportamentale».

Ha citato Francesco Rosi che in una intervista recente a Saviano aveva contrapposto «il dovere della speranza alla responsabilità del cinismo», ha polemizzato con i luoghi della comunicazione che «trasmettono morte» e con i talent televisivi che «prostituiscono i ragazzi», si è unito all’implorazione di Werner Herzog ai giovani della e-generation: «Leggete, leggete, leggete!».

famiglia servilloHa parlato dell’esperienza di portare Le voci di dentro in lingua originale a Londra o a Barcellona (sottolineando che il catalano non è bello come il napoletano), ha ricordato di avere messo in scena i più importanti autori napoletani classici e contemporanei, ma anche Marivaux e Molière, ha parlato di Sorrentino e dell’Oscar ma anche delle opportunità che Teatri Uniti offre ai giovani di avvicinarsi al teatro.

La testimonianza di Toni Servillo è stata insomma una sorta di ragionata apologia di Napoli («Mi sento in debito con la molteplicità di voci della città») e del napoletano («Abbiamo la possibilità di pensare in dialetto ed esprimerci in italiano»), ma anche un richiamo serio a fare piuttosto che a piangersi addosso e a rimanere permeati di cultura napoletana ovunque si decida di vivere. Parole che hanno dato un’iniezione di energia a tutti quei napoletani che non ritrovandosi nell’immagine stereotipata della città – un tempo spaghetti e mandolino, oggi Gomorra e spazzatura – continuano in silenziosa sofferenza a fare la loro parte in un quotidiano difficilissimo e frainteso.

Diego Guida, tra i soci fondatori dell’associazione Vivo a Napoli, nell’aprire l’incontro aveva detto: «Nel nostro territorio ci sono risorse culturali incomparabili e non sfruttate che se messe a sistema potrebbero diventare occasioni di sviluppo». E Toni Servillo, rivendicando in chiusura la supremazia del teatro sulle altri arti, aveva sintetizzato: «Il teatro è la vita che fa il suo lavoro». Risorse, lavoro, teatro…da qualche parte bisogna pur ricominciare per dirlo con soddisfazione, Vivo a Napoli.

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