Marco Lucchesi
Apriamo un dibattuto sul Mibac

L’arte del contabile

Il ministero dei Beni Culturali sta per varare un nuovo regolamento per lo spettacolo dal vivo. In nome del ricambio generazionale e della trasparenza sta per nascere un obbrobrio burocratico fatto di punti/euro che allontanerà ancora di più i giovani dalle istituzioni (e dai finanziamenti)

Lo Stato, perché di questo si tratta, si avvia ad approvare il Bando che secondo le disposizioni della Legge Cultura approvata lo scorso ottobre, regolerà d’ora in poi i criteri economici d’intervento per lo Spettacolo dal Vivo. Un Regolamento/Bando che nel recepire il format/standard europeo cala il nuovo insieme di regole, ancora in discussione pare, in un tessuto produttivo  e distributivo totalmente impossibilitato ed impreparato ad accoglierle. Triennalità, semplificazione, giovani e trasparenza dei criteri di giudizio, questi gli assi principali del provvedimento, come fare a non condividerli? La maggioranza di noi, in questi ultimi anni, non ha fatto altro che chiedere provvedimenti che sviluppassero questi concetti.

Dunque? Dunque il solco che separa in modo sempre più netto e profondo la Pubblica Amministrazione dal mondo produttivo si è fatto baratro travestendosi da ponte; un ponte pericolosissimo poiché invita ad attraversarlo in nome del cambiamento e dell’innovazione senza tener conto della realtà che trent’anni di incuria e  smobilitazione del tessuto culturale italiano  hanno  reso talmente fragile e approssimativa da non essere più neanche difendibile.

Quindi? Quindi questo progetto/bando/regolamento si presenta come un sostanziale ammodernamento dell’efficace distretto industriale/culturale, in piena funzione, ma bisognoso di norme più dinamiche e funzionali; quindi soggetti più “liquidi”, maggiore produttività, verifica costante dei numeri ottenuti,  benefit assegnati a punteggio, accesso facilitato ai giovani che non riescono ad esprimersi  per l’ingombro dei vecchi dinosauri… etc. Vi ricordate l’Università e i baroni? Qualcosa di simile.

Immaginate che un qualsiasi sotto-settore del complesso generale: produzione, distribuzione, ospitalità (sono esempi) veda assegnarsi una cifra complessiva, secondo le disponibilità del momento, da dividere per la somma di punti che riescono ad ottenere, tutti insieme, gli organismi che partecipano al bando per quel particolare sotto-settore: il risultato, detto euro/punto, darà il valore ad ogni singolo punto ottenuto dal singolo organismo che moltiplicando il valore dell’euro/punto per il punteggio ottenuto in sede di esame della proposta otterrà il suo premio. Quindi risulta evidente che tanto più alto sarà il valore complessivo dei punti del sotto-settore tanto più basso sarà il valore dell’euro/punto corrispondente e quindi più bassa la cifra riconosciuta ed assegnata. Complicato? Sì, un po’ ma le future generazioni di contabili dello spettacolo dal vivo andranno a gonfie vele. Non gli artisti, non i giovani, non quelle centinaia di donne e uomini che ogni giorno fanno sipario e presidiano quest’ultimi anfratti di civiltà, non loro.

I giovani (come gli autori) si sostengono creando le condizioni strutturali di libera scelta e libero mercato delle idee, comune a qualsiasi paese culturalmente civilizzato, e non obbligando i produttori a decidere in funzione di punti e benefit. La trasparenza si ottiene con regole più semplici e non con dichiarazioni giurate. La produttività e i numeri si ottengono facendo crescere la propria comunità, insieme alla scuola, allo Stato, alla politica e alle professioni: «…che gli artisti si crescono da soli….».

Tutto questo con l’avallo delle sigle di Categoria alle quali andrebbe chiesto immediatamente di pubblicare i nomi dei propri iscritti poiché nella maggior parte dei casi non rappresentano più nessuno e questo la Pubblica Amministrazione lo sa ma fa strumentalmente finta di non saperlo. «…Abbiamo incontrato le Categorie…» e giù  note e notarelle sottoscritte dalle categorie che da anni foraggiano così il forziere del fuori sacco……

Ma in fondo ce lo meritiamo, una comunità che accetta persino di pubblicare sul proprio sito internet, diventato anch’esso obbligatorio, i compensi dei propri collaboratori, costretta da una legge firmata da chi non riesce neanche a quantificare la spesa dei propri dirigenti, merita questo ed altro.

L’autore di questa riflessione è direttore del Teatro Due di Roma 

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