Gaia Sanguinetti
A proposito di "Luca"

Luca, inno alla vita

Il lungometraggio di Enrico Casarosa per la Pixar è un capolavoro di vitalità. Un omaggio alla Liguria, al sole, ai sogni e alla voglia di vivere. Dove non solo i personaggi (due pesci "umanizzati") hanno un'anima, ma anche le case, i vicoli, i paesaggi...

“Italians do it better”, è proprio il caso di dirlo. La Disney Pixar fa ancora centro, questa volta sotto la regia di Enrico Casarosa, genovese di nascita, già candidato al premio Oscar nel 2012 per il miglior cortometraggio d’animazione con La Luna. Distaccandosi dai precedenti masterpiece di Pete Docter (con lui Casarosa è stato storyboard artist per Up) il regista italiano ci regala Luca – questo il titolo del nuovo lungometraggio animato, disponibile solo in streaming dal 18 giugno – una storia di semplice e genuina bellezza.

Luca non dà spazio a profonde riflessioni sul senso della vita, come accade in Soul, né a contorte analisi psicologiche sulle emozioni umane come ritroviamo in Inside Out; qui tutto semplicemente “accade”, mettendo in risalto forse l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno e di cui dovremmo preoccuparci ogni giorno: la voglia di vivere. Tutto trasmette questa voglia: le musiche, i colori vivacissimi, il carattere dei personaggi, ma soprattutto la luce del sole, sinonimo di vita per antonomasia, a cui il protagonista non vuole rinunciare quando gli viene prospettata l’ipotesi di vivere negli abissi, lontano da ogni contatto e dalla possibilità di conoscere e imparare. Anche l’apparente semplicità del character e del background design mira a focalizzare l’attenzione su quello che gioca un ruolo centrale nel racconto: il desiderio di fare esperienza e il coraggio di sognare a occhi aperti – sono i momenti in cui i disegnatori hanno dato sfogo alla fantasia, offrendo allo spettatore paesaggi onirici dai colori sgargianti, che irradiano gioia e meraviglia.

Come si evince già dal trailer, Luca ha come protagonista una creatura marina ed è ambientato in una piccola cittadina sulla costa ligure, una immaginaria “sesta terra” di nome Portorosso. Da qui, e dal legame del regista con la sua terra natia, la scelta dell’Acquario di Genova come location per l’anteprima cinematografica mondiale, svoltasi in tre serate (13, 14 e 15 giugno) organizzate da Medicinema, associazione no-profit che promuove l’utilizzo del cinema a scopo curativo e riabilitativo all’interno di strutture ospedaliere.

Ho assistito alla proiezione ed è stato toccante vedere come non solo i bambini, ma soprattutto adulti e anziani si siano emozionati di fronte alla fedele rappresentazione e rievocazione in chiave nostalgica dei luoghi delle loro vacanze estive, presenti e passate. Luca è ambientato a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, ma noi liguri sappiamo bene che nei piccoli borghi costieri, incastonati fra le scogliere a picco sul mare e i terrazzamenti sorretti dai muri a secco, le cose non sono molto diverse da allora. Lì il tempo scorre più lento che altrove e anche i bambini di oggi, super impegnati e super tecnologici, quando vi si recano per passare l’estate dai nonni, recuperano un po’ di quella spensieratezza che caratterizza il protagonista Luca e il suo amico Alberto.

Questa storia parla in primis di amicizia, quella vera. Quella dei sogni condivisi, quella che ti fa superare le paure e scoprire il tuo potenziale. Luca è giovane, obbediente e legato alla famiglia, impaurito dal mondo che si trova oltre la superficie del mare – dove sua madre gli proibisce categoricamente di andare – ma anche attratto da esso e curioso di farne esperienza. E proprio grazie all’incontro con Alberto, che invece una famiglia non ce l’ha, riesce a trovare il coraggio non tanto di andare contro le regole famigliari come gesto di ribellione, quanto di metterle in discussione nella speranza che ci possa essere una verità diversa da quella che è abituato a conoscere.

Sfruttando la peculiarità di poter assumere sembianze umane una volta usciti dall’acqua, le due creature marine partono alla scoperta della vita sulla terra ferma, dove fanno subito amicizia con Giulia Marcovaldo, una vivace quanto “esagerata” – come dice lei stessa – ragazzina della loro età, che passa le vacanze estive a Portorosso a casa di suo padre (il nome, ovviamente, richiama il celebre personaggio di Italo Calvino). Inizia così l’avventura: tra enormi piatti di pasta al pesto, vespe nuove e meno nuove, cadute in bicicletta e il costante rischio di venire bagnati, rivelando la loro vera natura a un intero villaggio terrorizzato dai mostri marini.

E sarebbe già bellissimo così, perché tu che guardi senti di essere parte di tutto questo e ti sembra quasi di rimpicciolire dentro i vestiti, di tornare ad essere il bambino che gioca a pallone in piazzetta finché i genitori non lo vengono a prendere per le orecchie perché è ora di cena. Ma Casarosa ci mette qualcosa di più, oltre al cuore dei personaggi ci mette anche il cuore delle cose. Le casette storte e colorate con i basamenti rivestiti in pietra, le insegne della macelleria e della latteria, le persiane verdi sgangherate, i panni appesi ad asciugare al sole, le reti dei pescatori. Sbam, scala reale. Roba che se sei ligure ti viene quasi da piangere, oltre a un’incredibile voglia di pasta al pesto.

Questo lungometraggio animato è, in definitiva, una dichiarazione d’amore alla Liguria, terra di contraddizioni per eccellenza: terra di mare, ma anche di colline e di monti. Terra chiusa, ma anche accogliente. E il tema dell’accoglienza, della coesistenza e, più propriamente, dell’accettazione del diverso, è un altro punto fondamentale del film: Luca vuole dimostrare che è possibile accogliere e convivere con culture diverse, pur non rinnegando la propria. Se si lasciano da parte i pregiudizi, imparare l’uno dall’altro diventa un arricchimento personale e ci fa comprendere meglio da dove veniamo e, soprattutto, dove vogliamo andare. Quello che ci sta in mezzo è tutto da scoprire, basta solo avere il coraggio di dire: “Silenzio Bruno!”

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