Lidia Lombardi
Verso il Premio Strega/1

Storie dal disordine

Iniziamo l'analisi dei romanzi che si contenderanno il prestigioso riconoscimento. Feltrinelli si presenta (direttamente o indirettamente) con tre autori: Andrea Bajani, Roberto Venturini e soprattutto Giulio Mozzi, con un romanzo che non cerca di compiacere il lettore

Un mese e mezzo alla cinquina dello Strega, che si terrà il 10 giugno per la prima volta in 75 edizioni nella città dello sponsor, a Benevento. Succedeoggi, come di consueto, scorre in quattro puntate i dodici titoli in gara, un modo per sussurrare ai giurati di leggerli tutti, i concorrenti alla finale, evitando così di farsi influenzare dall’autore o dalla casa editrice amica o più influente. Ma la carrellata ha anche lo scopo di alzare meglio e il velo sui titoli proposti, a ciascuno dei quali le cronache letterarie dedicano poche righe per rispettare la tirannia degli spazi in pagina. E invece un po’ più di attenzione va spesa per chi scende nell’agone del premio più importante del Bel Paese, dal quale magari possa emergere un talento o un caso letterario, come avvenne a Silvia Avallone, a Paolo Cognetti, a Paolo Giordano.

Il nostro viaggio a tappe ha raggruppato i dodici libri tenendo d’occhio le strategie editoriali, tanto importanti negli equilibri dell’alloro nato subito dopo la guerra nel salotto di Maria Bellonci. E cominciamo con il capitolo che intitoleremo “Feltrinelli & Co.”. La casa editrice milanese è direttamente e indirettamente presente con tre romanzi. Uno, Il libro delle case di Andrea Bajani, è uscito dalla tipografia capofila. Gli altri due da marchi autonomi, ma nei quali Feltrinelli partecipa con quote societarie: si tratta de Le ripetizioni di Giulio Mozzi (pubblicato dalla gloriosa casa veneziana Marsilio, della quale l’editore milanese detiene il 55 per cento) e di L’anno che a Roma fu due volte Natale uscito per i tipi di SEM, ovvero Società Editoriale Milanese di cui Feltrinelli ha il 37,5 per cento.

Il più originale della terna è Le ripetizioni (368 pagine, 17 euro). Lo firma Giulio Mozzi, vicentino, 61 anni, poeta, autore di racconti già entrati nella cinquina dello Strega, consulente editoriale, insegnante di scrittura creativa. Qui è al suo primo romanzo. Che in fondo è un incastro perfetto di novelle distopiche tenute insieme dall’altrettanto sfuggente protagonista, Mario, sempre in bilico – in quello che fa – tra realtà e immaginazione. Quando ricompare Bianca, per esempio, sa e non sa che è la madre di sua figlia Agnese. E Viola, che vorrebbe sposare, ha una doppia, o tripla vita. Ambigua è la sua sessualità, succube com’è delle proposte estreme del giovane Santiago. Ma altrettanto strane sono le vite dei comprimari, archetipi surreali come il Capufficio, il Martellatore di Monaci, il Grande Artista Sconosciuto, il Terrorista Internazionale. Dice Pietro Gibellini, che lo ha proposto allo Strega: «Candido il romanzo di Mozzi per l’originalità tematica, stilistica, ideologica. A differenza di tanta narrativa che corteggia il bene astratto e la quiete consolatoria, raccontare del male e del disordine che si annida in ciascuno di noi significa indagare la nostra possibilità di redenzione e speranza». Ha un potere ipnotico anche lo stile di Mozzi: avvolgente, sensuale, nutrito di scarti, di accelerazioni e frenate, di spiazzanti cambiamenti di capitolo in capitolo. Il cammino introspettivo insegue quella coazione a ripetere che sustanzia la realtà. E chi legge resta interdetto e ammaliato.

Spiazzante, grottesco e zeppo di riferimenti televisione anni Ottanta, L’anno che fu due volte Natale di Roberto Venturini, romano del 1983, autore, soggettista e sceneggiatore della famosa serie web alla quale è seguito il suo battesimo letterario: «Tutte le ragazze con una certa cultura hanno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera», Premio Bagutta opera prima. Lo aveva pubblicato nel 2017 la stessa editrice che oggi manda in libreria il titolo finalista allo Strega (192 pagine, 17 euro). Che ha uno sfondo ben preciso: Torvaianica, in particolar modo il Villaggio Tognazzi, una volta meta di attori, produttori, giornalisti, ospiti dell’indimenticabile Ugo per il torneo di tennis che dava a chi vinceva lo Scolapasta d’oro. Si faceva lo struscio, sulla Litoranea Ostia-Anzio, per imbattersi in qualche faccia celebre e carpirle l’autografo. Ora quella fetta di mare e dune è degradata, dei divi sono rimasti i fantasmi, concreti invece le prostitute e i loro protettori. In questo posto diventato squallido per quanto era bello, vive, arroccata in una villetta fetida, Alfreda, che ha perso se stessa da quando il marito è stranamente morto in mare e che nell’obnubilante ricordo trascorre i giorni da obesa accumulatrice seriale. Incombe l’ufficio d’igiene su tanta sporcizia e il figlio Marco cerca di convincerla a svuotare e pulire. Ma lei lo ricatta, con la scusa di un sogno ricorrente: Sandra Mondaini le chiede di ricongiungere la propria salma con quella di Raimondo Vianello, sepolto al Verano. Dunque una banda formata da Marco, da un vecchio pescatore e da Er Donna, il trans più richiesto della via Pontina, trafughino il corpo della star televisiva e lo portino nel cimitero di Lambrate. Dolore e trash, dunque, bellezza e sfacelo, solitudine e tensione verso un riscatto. Mischiando riferimenti culturali e generi, anche nel linguaggio, dove irrompe il romanesco non più d’antan. Osserva Maria Pia Ammirati, “madrina” per lo Strega: «Sulla scena della periferia marittima romana si muove un mondo di perdenti come nella esplicita citazione di Amore tossico di Caligari. I toni da favola nera, da storia surreale, non sviano mai dalla cocente tragedia della realtà che lo scrittore coglie a pieno…in un grande affresco della contemporaneità».

«Dove abbiamo lasciato ciò che non ci siamo portati dietro?». Se lo chiede Andrea Bajani ne Il libro delle case (256 pagine, 17 euro), consapevole che ciascuno è il suo passato, dunque lo spazio nel quale ha vissuto. Nel saltare dagli ultimi venticinque anni del Novecento al 2020 del lockdown, il protagonista s’immerge nel proprio Io. E infatti Bajani – che è nato appunto nel 1975 a Roma e ha già nel suo carnet svariati premi letterari – chiama Io il protagonista e lo segue – con l’altalena dei flashback e in brevi capitoli – bambino che insegue una tartaruga mentre i tiggì scodellano le immagini del rapimento di Moro e di Pasolini ammazzato,  giovane bohemien a Parigi, amante in provincia , marito borghese a Torino, ragazzo preso a schiaffi dal padre nella casa delle vacanze, uomo in carriera stanziato in albergo, adulto solo che si chiude alle spalle la porta dell’ultima, ennesima abitazione. Gli oggetti, gli scorci dalla finestra, i metri quadri, un corridoio, un armadio sono sfondi di segreti, sentimenti, amarezze, lacrime. Anche la cabina telefonica è una casa, la casa delle voci, un proscenio che ci mostra all’esterno mentre parliamo. Con gli anni di Io scorrono pure quelli dell’Italia, e leggi il boom nelle palazzine in periferie anni Sessanta e nella seconda casa per le ferie, il rampantismo anni Novanta, il nomadismo esistenziale. «Le case – scrive Concita De Gregorio che lo ha candidato – conservano memoria di noi e di chi prima di noi le ha abitate: i pensieri da altri pensati, i nostri mai detti e non finiti di pensare, la pena di un prigioniero… il pianto di un ragazzo, un tradimento, un delitto, un’allegria… Andrea Bajani cesella una lingua che da parole antiche sprigiona significati inauditi e, correndo, lentamente viaggia nella memoria, nel desiderio, nel bisogno». Se Io è protagonista in terza persona e senza nome, i comprimari restano entità quasi astratte e perciò assimilabili a tutti: Poeta, Prigioniero, Moglie, Madre, Padre, Nonna… Forse può disturbare l’artificio, l’effetto straniamento, forse può aiutare chi legge nella immedesimazione. Resta l’originalità dell’impianto, che dà anima alle cose e avverte di non dimenticare per non perdersi.

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