Arianna Belluardo
Nuove generazioni crescono

La rivolta verde

Viaggio all'interno del movimento Extinction Rebellion nato a Londra e ormai attivo in tutta Europa (Italia compresa): è uno strumento di conoscenza e di protesta per affrontare nel modo più urgente e consapevole possibile l'emergenza climatica globale

Il primo aprile, a Padova, Extinction Rebellion ha organizzato un flash mob, nel quale alcuni attivisti, vestiti da membri della finanza, hanno messo in scena un banchetto in cui le pietanze principali erano i soldi. Tutto ciò a simboleggiare che, quando le risorse del pianeta saranno finite, tutto il denaro del mondo non servirà a nulla. Alla fine del flash mob, i ragazzi vestiti da banchieri hanno inscenato la loro stessa morte.

Extinction Rebellion è un movimento sociopolitico non violento nato a Londra. I suoi attivisti si occupano di combattere il cambiamento climatico: portano avanti azioni di protesta, talvolta anche illegali.

Con l’avvento della globalizzazione gli attori rilevanti nel contesto internazionale hanno cessato di essere esclusivamente gli Stati. Infatti, i gruppi di attivisti hanno assunto un’identità transnazionale e un ruolo preciso: pressare i governi a cambiare la loro politica nazionale e internazionale. Diversi politologi hanno dedicato articoli e studi al fenomeno dell’attivismo transnazionale, come esso opera, e perché funziona. In particolare Margareth Keck e Kathryn Sikkink hanno evidenziato quali caratteristiche rendano alcuni movimenti e alcune campagne più efficaci di altre. Secondo le due politologhe, gli attivisti che si dimostrano più efficaci nel polarizzare l’attenzione mediatica sono quelli che informano ed espongono dati scientifici. Ma soprattutto, quelli che avendo intenti chiari e poco dispersivi, usano simboli ampiamenti riconoscibili.

Extinction Rebellion corrisponde perfettamente a questa descrizione. Simboli riconoscibili, campagne chiare, richieste immediate e dirette. Non solo, Extinction Rebellion opera una delle strategie più efficaci utilizzate dalle reti di attivismo: il name and shame. Esso consiste nel riconoscere i responsabili, in questo caso, del cambiamento climatico, e ricordare all’opinione pubblica gli errori da loro commessi e le promesse mai mantenute.

Lo scrittore Leo Barasi ha condotto una ricerca su quanto l’esistenza di movimenti come Extinction Rebellion e Fridays for Future abbia influenzato l’opinione pubblica. Ebbene, ad aprile 2019, la parola “cambiamento climatico” è stata menzionata come mai prima dai media inglesi (superando la quota raggiunta nel 2015, anno dell’approvazione degli accordi di Parigi). Non solo, le proteste di Extinction Rebellion hanno portato a due discussioni all’interno del Parlamento Britannico il 23 Aprile 2019: Climate action and Extinction Rebellion e Climate change policy. Di conseguenza, Leo Barasi scrive: “le proteste di Extinction Rebellion hanno avuto un successo senza precedenti”.

Dopo le elezioni Europee del 2019, Emma Graham-Harrison scrive sul Guardian che, grazie alle proteste iniziate da Greta Thunberg in Svezia e ad Extinction Rebellion nel Regno Unito, “una rivoluzione silenziosa investe l’Europa mentre i Verdi diventano una forza politica”.

Ecco perché movimenti come Extinction Rebellion meritano attenzione, anche da parte dell’Italia.

Il flash mob di Roma

Nella prima settimana di ottobre 2020 si è svolta a Roma la Ribellione: essa consiste in giorni di protesta consecutivi, nei quali attivisti di tutta Italia si riuniscono per manifestare insieme. Nei giorni si sono susseguite diverse attività: spaziando dalla proiezione del documentario The Troublemaker, sulla nascita del movimento londinese, a una processione in cui gli attivisti rappresentavano le vittime del cambiamento climatico. Il gesto più eclatante però è senza dubbio quello di un piccolo gruppo di attivisti, che si sono incatenati alla sede dell’Eni (nel quartiere Eur di Roma) per 52 ore consecutive.

“Mi sono avvicinata al movimento Extinction Rebellion perché sentivo il bisogno di fare qualcosa di utile. Mi ha dato la possibilità di guardare in grande, e comprendere che le catastrofi climatiche sono tutte connesse – dice Chiara, un’attivista di Extinction Rebellion – se un sistema tossico non agisce, non informa, allora non resta che agire dal basso”.

Elena, un’altra attivista del movimento, aggiunge: “Nella migliore delle ipotesi otterremo il cambiamento radicale che desideriamo, nella peggiore avremo almeno fornito un esempio concreto di come dovrebbe essere la società di cui avremmo bisogno, ma che non faremo in tempo a costruire”.

Anche se non ci si può sempre incontrare di persona, il movimento non si è fermato, organizzando incontri di formazione e workshop online. In uno dei più recenti, Verso l’estinzione e cosa possiamo fare, è intervenuto Francesco Gonella, docente di Fisica e Sostenibilità presso l’università Ca’ Foscari di Venezia e attivista di Extinction Rebellion. Dopo circa un’ora di conferenza appaiono delle slide: “durante questa presentazione sono stati estratti 7,5 milioni di tonnellate di materie prime”, “sono state gettate in mare 40.000 tonnellate di rifiuti tossici”, “un’area pari a 3.600 campi da calcio di foresta è stata distrutta irreversibilmente”. Questi dati, che sembrano fin troppo eclatanti, sono irrimediabilmente veri, purtroppo.

Durante la conferenza, è stata detta una frase, “questo meriterebbe la prima pagina di tutti i giornali”, ed è vero. Nell’attesa e nella speranza che lo sia, Extinction Rebellion non crea un buon punto di arrivo, bensì un ottimo punto di partenza, per provare a uscirne, insieme.

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