Loretto Rafanelli
“Sine macula” di Alberto Fraccacreta

Aspettando Delia

Prezioso collaboratore di queste pagine, applica un’esemplare capacità di approfondimento e di studio alla poesia, alla narrativa, alla filosofia, all’arte e al teatro. La nuova raccolta di versi lo conferma poeta di talento maturo, «tra i più meritevoli di attenzione della sua generazione»

Seguo con interesse gli scritti di Alberto Fraccacreta, tra recensioni, saggi e interviste ai grandi poeti (Zagajewski, Simic, Núñez, Muldoon, Gander, Campos, ecc.) e ai narratori (con mia sorpresa anche al giovane statunitense Stephen Markley autore del grande romanzo Ohio). E sempre ho trovato nei suoi interventi la rara capacità di entrare nel profondo delle altrui scritture, quel sintonizzarsi nel crocevia decisivo del loro pensiero, perché è indubbio che Fraccacreta non si accontenta di informazioni scontate, ma tende a porre l’occhio, anzi il pensiero, oltre il dovuto. È, tutto ciò, la ostinata disposizione a indagare le vie più segrete dell’esistenza umana. Fraccacreta è sorretto in questa sua attività da conoscenze consolidate, forse non comuni, per i livelli attuali dei giovani letterati. E queste conoscenze si notano anche nella sua attività di poeta. Perché Alberto Fraccacreta è poeta, e direi anche tra i più meritevoli di attenzione, tra i tanti della sua generazione. Di questo versante voglio qui parlare, cogliendo l’occasione dell’uscita di un libro che raccoglie le sue poesie a iniziare dal 2007 – pubblicate in due volumi, Uscire dalle mura del 2012 e Basso Impero, del 2016 – completato da poesie inedite, dal titolo Sine macula. Poesie 2007-2019, edito da Transeuropa/ Nuova Poetica. 

Fin dagli inizi, Fraccacreta ha dimostrato una maturità poetica non comune, questo in termini di stile, di ricchezza linguistica, di precisione linguistica e di portata teorica (certo favorito, credo, dal prezioso ambiente familiare, il padre Enrico Fraccacreta, ottimo poeta, la madre, Elvira Lopez, teologa e filosofa, oltre ad avi illustri). Non è semplice ripercorrere questo ampio scenario poetico, fatto di numerose poesie, ma vorrei almeno evidenziarne alcuni aspetti che mi hanno maggiormente interessato. C’è nel volume Uscire dalle mura, una ‘catalogazione’ di alcuni luoghi di Urbino, la città dove il poeta si è laureato e dove oggi in quella stessa Università insegna, e dove nel bellissimo centro storico vive. Una mappatura, un’articolata geografia cittadina, un itinerario straordinario che incanta, perché il poeta non compie certo un puro censimento di vie, di strade, di piazze, di palazzi, ma esprime quello che potremmo definire l’amore per quella meravigliosa città che Urbino appunto è. E nel tempo l’antico centro del Rinascimento è divenuto il suo luogo dell’anima (forse di più del luogo dove è nato e vissuto a lungo, San Severo). Si dirà: facile, se si parla di Urbino… però dico subito che il tratto di descrizione, la delicata partecipazione e condivisione di questo luogo è qualcosa che viene dal profondo del cuore, qualcosa che ha a che fare con la tenerezza, con l’emozione, con la passion. Poi, certo anche per Fraccacreta c’è la storia, l’arte, la magnificenza urbanistica, lo splendore dei suoi vicoli, le mura, la veduta straordinaria sulle montagne (le Cesane di piersantiana memoria) e lontano sul mare Adriatico, quindi i tanti personaggi straordinari richiamati nei versi. Ecco ciò che primariamente colpisce di questa parte del suo primo libro. 

E allora (dando un piccolo panorama di versi) vediamo: Via Balcone della vita («Chi ha mai ascoltato il balcone della vita?/ È la pozza cava, il vaso comunicante./ La frasca forcuta, il legno inumidito./ Da lì erano immerse bare acquatiche,/ quelle di cui la morte impedì il seguitare./ Non chiedere allo sguardo// di forzare del tutto la vista».); Porta Valbona («Da porta Valbona cresce una salita/ che ferisce il mio sguardo./ La sua gobba impiumata attenta/ la chiglia violenta del mattone».); Piazza del Mercatale («Partita. E partendo da Urbino,/ hai salutato i vepri che sporgono dal monte./ Il mercatale è luogo di addii/ o di rimbalzi argentei di lepri».); Via Santa Chiara («Iride è l’acino purpureo del grappolo/ che la brina non allontana./ Le gemme azzurre in quiescenza/ sono fissate alla tua rama./ Il tralcio innerva un gomito/ che ne delimita il taglio a spada./ Il fusto inclinato è a selve spoglie,/ se lo scroscio di foglie è rugiada».).

Del secondo libro presente nell’antologia, Basso Impero, del 2016, nella ricca varietà dei temi, con la ‘presenza’ degli amati Heaney e Zagajewski, urge soffermarsi su alcune poesie che potremmo considerare ‘più intime’, cioè quelle poesie che attraversano i vari affetti familiari, nel solco di una vicinanza sentita profondamente, e allora ecco i nonni Arlo e Matteo: «Nonno Matteo, resta di guardia sull’uscio…»; «Nonno che sgambetti a X nel mio/ giardino estivo, è te che cercavo»; «Nei ghirigori tra campanule e torri infilzate/ sento il microscopio del mondo assonante/ schioccare segnali volatili,/ urlati dalla nuca dei gerli./ Il mio merlo celeste,/ sgusciato fuori da Arlo». E soprattutto la bella poesia dedicata al fratello Marco, nel segno di una condivisione e di un amore profondi: «Eri disteso, fratello mio, figlio unico/ e dominante finché dal tuo fianco/ generoso a cinque anni e mezzo/ più prudente ero uscito per occupare/ il posto delle attenzioni.// Ti ho rubato il rimpiattino di sorrisi/… / Contro il lacerio di lingue a setola/ non te ne sei mai compianto,/ fratello gentile». 

Infine della sezione relativa alla cospicua serie di inediti, dal titolo “Alcune altre cose su Delia”, ecco, lì c’è appunto Delia, e sappiamo che «Delia è nei pressi delle frontiere della letteratura. / Delia è a ogni crocicchio di verso, di riga o di risguardo di libro. / Delia è ovunque». Delia, scrive Fraccacreta in una nota finale, è «colei che è lì da mostrarsi, sempre sul filo dell’epifania, rappresenta l’immagine della donna costantemente cercata … ha il carattere della donna trasfigurata e angelicata, ma in nessun modo tenta di sostituirsi al posto che spetta a Maria», che per lui, ‘cattolico e mariano’, rimane la luce fissa del cielo. E il canto del poeta alla sua Delia è invocazione e dolorosa assenza, mistero e rimpianto, allorché «ti vedo magra, in abito/ sanguigno, a singolar tenzone,/ per la tua falcata una fiamma/ mi ferisce di dolcezza interna/ e con te in processione,/ Delia, gli anni non vissuti insieme/ che non potremo recuperare». 

Alberto Fraccacreta, peraltro penna preziosa di Succedeoggi, dove credo abbia iniziato, ha il passo sicuro del passista e anche il guizzo felice dello sprinter e sicuramente la sua è una corsa piena di soddisfazioni, ampiamente meritate, e anche un esempio per la capacità di approfondimento e di studio su molti versanti, dalla poesia alla narrativa, dalla filosofia all’arte e al teatro, di cui è anche animatore e organizzatore di eventi, una ricchezza che pensiamo possa garantire ulteriori spazi e risultati futuri (già collabora con il CorriereAvvenireSole 24 Ore, etc.). Vogliamo concludere questo intervento con la poesia Reportata Urviniensia, l’ultima del libro, dove la dimensione del poeta si avverte in tutto il suo valore: «Urbino è venata dal mormorio/ di una bufera prossima a giungere./ Così dev’essere e non sarà/ a consegna avvenuta, quando le file/ turrite di pini dal mausoleo/ dei duchi, gli ippocastani/ chiericati della promenade/ sul giro delle mura vorrebbero concedere/ un’altra, svirgolata chance –/ l’intrico smagato, l’arteria sterrata/ con cui reagire ‘sine macula’/ alla presente mancanza/ di una vera donna della vita». 

Nell’immagine: Sandro Botticelli, particolare di Ritratto di una giovane donna

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