Sara Serenelli
A proposito de "Il quaderno di Kavafis"

Il Drago e il profeta

Marco Alloni propone un romanzo sospeso tra cultura italiana e storia egiziana nel quale il passato si mescola al futuro. Inseguendo i sogni e i fantasmi di ieri si capisce che solo l'utopia ci salverà dal Drago del capitalismo

«Che essere uomini significa prima di tutto sapere sperare» (p. 53). È questo il memento e assieme l’esortazione che Marco Alloni rivolge ai suoi lettori ne Il quaderno di Kavafis (Jouvence, Milano, 2020, pp. 432), un libro formidabile che spinge a ripensare il presente e le sue più complesse implicazioni a partire dalla proiezione in un futuro ideale. A leggere Il quaderno di Kavafis ci si ritrova infatti tanto immersi nelle logiche della storia quanto catapultati in quelle dagli esiti meno prevedibili dell’utopia. Realtà e Altrove si combinano incessantemente all’interno delle pagine del romanzo e se da un lato ci spingono a una lucida analisi del farsi della storia, delle contraddizioni del nostro tempo e degli orrori dell’attuale politica, dall’altro, vengono a fondere al messaggio polemico uno slancio ottimistico che, seppure nella dimensione profetica, ci permette di sperare e di tornare a guardare al nostro tempo con una qualche forma di fiducia.

Alloni ci incalza, ci sfida a prefigurare noi stessi in un futuro in cui sia possibile uscire finalmente dalle trame melmose del capitalismo che ci trattiene e che si è ormai configurato come una vera e propria ideologia, invadendo ogni aspetto della nostra realtà, sin quasi ad assumere i connotati di una confessione religiosa. Del sistema capitalistico il romanzo di Alloni è una aperta denuncia, tanto allegorica e metaforica, quanto saldamente ancorata alla realtà storica di cui l’autore fornisce un’accurata interpretazione critica. Il Drago, così Alloni chiama il capitalismo, ha messo in moto degli ingranaggi che sembrano portare inevitabilmente alla capitolazione dell’umano e dai quali ormai ci sentiamo irrimediabilmente corrotti e affatturati: «Perché non sarebbe un drago se non affatturasse» (p. 425).  Da questa malia, da questa ipnosi collettiva è possibile liberarsi, sembra dirci Alloni, compiendo una scelta sovversiva e anticonvenzionale che viene ben riassunta dalla frase di Saramago citata in esergo: «l’alternativa al neoliberismo si chiama coscienza».

Ironico, impietoso, polemico e a tratti grottesco Il quaderno di Kavafis, che si inserisce nel solco della tradizione letteraria sia egiziana che italiana, è al contempo romanzo storico e romanzo utopico, ricco di riferimenti culturali che rimandano tanto al mondo arabo-islamico, quanto a quello occidentale, che l’autore definisce come «il più terrorista dei continenti» (p. 93). Al centro del racconto spicca la figura di un nuovo profeta, Zahannad Karinakis, destinato a sconvolgere le sorti della storia egiziana. Ad essa Alloni affida il delicato compito di ricordarci che un cambio di rotta rispetto alle strutture economiche, politiche e sociali in cui siamo calati, e che sono sul punto di implodere, è possibile se non auspicabile, ma forse realizzabile soltanto con l’avvento di un nuovo profeta, di un nuovo eroe. Se è giunto il tempo di rifondare la speranza e «dietro ogni profeta c’è la nostra capacità di sperare» (p. 17) non resta che affidarsi a un «Ispirato», come in ogni tempo di profonda crisi, per poter far rinascere un sentimento di fiducia. Prospettare con Zahannad la venuta di un veggente dopo il sigillo dei profeti, Muhammad (Maometto), pone il rischio di entrare in immediato contrasto con la corrente morale egiziana, sia a livello religioso che sociale e politico. Altrettanto rischiosa è la commistione tra elementi marxisti e mistici che pesano su questo personaggio dispensatore di vaticini; in una sorta di coincidentia oppositorum Zahannad riesce difatti a conciliare la possibile verità della giustizia divina e il possibile recupero del discorso marxista. Zahannad è mosso proprio dalla passione politica non meno che dalle sue premonizioni, entrambe ricevute come eredità dalla sua famiglia; queste due componenti si trovano effettivamente ben rappresentate, sin dalle primissime pagine del romanzo, da due membri della famiglia Karinakis: la veggente Mariam, alessandrina di origine greca, e suo marito, il maestro orafo musulmano Ahmed Bashir, infiammato da un incrollabile amore per la politica. A fungere da sfondo alle vicissitudini familiari dei Karinakis c’è l’Egitto all’indomani della rivoluzione nasseriana del ’52, che aveva rappresentato per il mondo arabo un momento di svolta, un episodio cruciale. Alloni riesce a dipingere con chiare pennellate la portata storica che ebbe questo avvenimento: Nasser aveva inaugurato, incarnandolo, il sogno di rinascita e di riscatto che animava il mondo arabo, fino ad allora sottoposto al giogo della dittatura. Altrettanto magistralmente l’autore saprà narrare anche il disfacimento di questo sogno che non arriverà mai alla sua compiuta realizzazione. Di Nasser come di molti altri protagonisti della storia egiziana degli ultimi settant’anni (Sadat, Mubarak, Al Sisi) Alloni sa renderci indietro un’immagine viva, autentica e ricca di effetti chiaroscurali che non manca di suggerirci importanti riflessioni su alcuni aspetti della nostra contemporaneità. Il «cifrario dei tradimenti» degli anni sadatiani ad esempio, con «il grimaldello retorico, l’ipocrita raggiro» de l’Egitto innanzitutto (p. 122) non può far altro che richiamare alcuni degli imbrogli e degli slogan politici attuali.

Al percorso storico Alloni affianca un percorso immaginifico che ci proietta fino a un ideale 2049 che si propone come rilettura del presente e preconizzazione utopica dei prossimi decenni. Un racconto nel racconto, dunque. Mentre ripercorre il piano della realtà storica l’autore si occupa di scongiurare il fondamentalismo sia religioso che laico e non si esime dall’annoverare tra i suoi bersagli critici neppure il solipsismo occidentale che, nel suo complesso di superiorità, desacralizza tutto ciò che ritiene corpo estraneo da sé e si denota come una forma di fanatismo non meno pericolosa e estrema. Inseguendo d’altra parte il piano dell’irrealtà, attraverso ipotesi metaforiche e utopistiche, Alloni assolve invece a uno dei compiti fondamentali della letteratura: rappresentare un mondo che non c’è, una realtà che ancora non è ma che potrebbe esistere. Il quaderno di Kavafis è il sogno di un’impossibilità che potrebbe tradursi in possibile. Il possibile realizzarsi di una giustizia sociale ed economica, di un’ipotetica società libera basata sull’uguaglianza, sulla dignità e sul rispetto reciproco. Se, e quando, riusciremo a dare una voce all’utopia che possa tradursi davvero in una forma avverabile e verosimile allora «sarà, la nostra vita e quel che ne scaturirà, il più bel romanzo» (p. 141).

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