Tullia Bartolini
Parole e ombre/15

Il figlio spurio

«Mentre beviamo il caffè, Irina mi racconta di aver lavorato a lungo in un negozio di tessuti a Timisoara. Provo a pensarla tra gli scaffali, gli arazzi colorati, i metri di stoffa. Al mattino lascia il bambino da sua suocera nella casa rivestita di legno in periferia...»

Immagine di Sandra Paul

È arrivata in anticipo, accompagnata da un tizio che è salito fino al piano per andarsene subito dopo, senza neanche mettere piede in casa. L’uomo non aveva un aspetto rassicurante, una lunga ciocca di capelli gli cadeva sulla fronte come una coda di topo.

La cooperativa Angeli custodi ci ha garantito l’affidabilità di Irina. Ha palpebre bistrate di azzurro e occhi scuri, la sua quarta di reggiseno è messa in evidenza da una maglia che le strizza il busto. È molto alta. Si è accorta che la sto guardando e si è schermita, poi ha detto: “Occhio destro è offeso, vede poco”.
Le faccio strada fino al tinello, i suoi tacchi risuonano sul pavimento di maioliche nel silenzio del primo pomeriggio.
“Ti preparo un caffè?” le chiedo.
Si siede guardandosi intorno, tira fuori dalla borsa una rosa e la poggia sul tavolo. Mi pare strano vederla dinanzi a me, così alta e magnetica. Con calma riempio un bicchiere di acqua e vi infilo il fiore fino a metà gambo per non farlo avvizzire. Mi piace avere cura delle cose. Tengo io in ordine casa di mia madre, veglio sulla sua vecchiaia, sono la figlia che non è mai arrivata.
Porto il caffè a tavola, le dico: “Ti abbiamo riservato una camera affianco a quella di mamma, ci sono lenzuola e asciugamani nuovi, troverai tutto nell’armadio di fronte al letto”.
Solo una settimana prima la stanza era ingombra di scatole nelle quali, nel tempo, nostra madre ha conservato la paccottiglia mia e di mio fratello.
Vecchie foto, quasi tutte di Gianni, un bel ragazzo in sella a una moto, abbracciato a una bionda sul muretto della scuola. Pagelle delle medie, le mie, dai voti altissimi. Lettere piene di frasi a effetto – le sue, la trama del ragno che tesse la sua tela – e loro, le donne, alte, basse, more, magre oppure grasse, cadute in un cul de sac. E poi, ancora, cartoline dei viaggi fatti da Gianni assieme alle sue amiche, le mie medaglie ai Giochi della Gioventù e appunti – i miei – dalla grafia ordinata.
Mio fratello, il prediletto di casa, mi ha chiamato questa mattina per dirmi di sbrigare tutti i convenevoli e poi di fargli sapere qual è la mia impressione, ci avrebbe raggiunti nel pomeriggio. A scanso di equivoci, mi ha chiesto come si presenta Irina. Ha un fisico energico, gli piacciono tutte, belle e brutte. Ne ha collezionate diverse, alcune le ha presentate ai nostri genitori – ma io neppure le guardavo. Badavo a nostra madre.

Ora Irina strizza l’occhio destro e cerca di mettere a fuoco quello che ha intorno. La parete dov’è appoggiato il divano è interamente ricoperta di quadri. Mamma era un talento e ha dipinto tele bellissime che nessuno ha mai visto. Ho preso da lei questa mia propensione all’invisibile. Le sue opere sono oniriche, raffigurano gru dai grandi becchi affacciate alle finestre di un palazzo, una coppia su una barca e l’acqua sottostante che non ne riflette le figure.
Di lato, accanto alla porta della cucina, c’è la poltrona su cui mia madre schiaccia i suoi pisolini pomeridiani e trascorre i giorni interminabili della sua vecchiaia, lo sguardo fisso alla cristalliera. Spesso sono stato tentato di ridurre in polvere ogni oggetto, le tazzine di Limoges, i piatti con le iniziali di mio padre.
“Meo marito è morto” dice a un tratto Irina, “tornava alla casa ubriaco e me picchiava, non c’era soldi, non c’era da mangiare, non c’era nenti, entrava in casa e buttava tutto all’aria, poi me ha messa incinta… Un giorno me ha picchiato forte qui, sull’occhio”. Fa una pausa lunga, poi ricomincia. “Meo figlio vive a Bucuresti, lucrea nell’esercito rumeno”. Una pausa ancora. “Mia lingua somilia alla tua, sai?”. Davanti ai miei occhi, per un attimo, vedo passare un esercito alla cui testa c’è mio fratello, col suo pene eretto.

Mentre beviamo il caffè, Irina mi racconta di aver lavorato a lungo in un negozio di tessuti a Timisoara. Provo a pensarla tra gli scaffali, gli arazzi colorati, i metri di stoffa. Al mattino lascia il bambino da sua suocera nella casa rivestita di legno in periferia, fredda e scomoda, e raggiunge a piedi il negozio, liberando l’ingresso dai cumuli di neve, i piedi congelati, le mani sanguinanti e rotte. Al mattino è come il giorno prima, la vita delle donne sole, di chi ha imparato a ignorare i fatti recalcitranti e si prende cura delle cose, e le tiene in equilibrio perché non crollino.
Ora è qui, lontana dalle sue latitudini, da uno stipendio risicato, dalla sua famiglia. È completamente sola, la preda ideale.
“Vieni, ti faccio vedere la tua stanza” dico. Mi segue lungo lo stretto corridoio tappezzato di targhe, riconoscimenti, pergamene, i vessilli della vita di mio padre, Senatore della Repubblica nei beati anni della D.C. Ecco a chi somiglia mio fratello, col suo sorriso da predatore, il ladro col suo bottino.

La camera in cui Irina dormirà ha una grande libreria davanti al letto. Sono tutti lì, i testi della mia prima giovinezza, quelli su cui ho studiato per laurearmi in filologia romanza. Irina sfiora i libri con le dita, sento il suo profumo e un brivido mi solca l’inguine – fragile Irina, fragile io. Poi, sul display del cellulare, vedo lampeggiare il numero di Gianni. Mi dice che tra una ventina di minuti ci raggiungerà, e poi: com’è andata, come ti pare? Vuol conoscere la badante di mamma.
A quindici anni era già troppo tardi. All’epoca mio fratello ne aveva venti e il mio unico amore, Mario, si era preso una sbandata per lui. “Cazzo, ho saputo che Mario è omosessuale”, commentò una sera Gianni mentre eravamo a tavola e subito sentii lo stomaco chiudersi, così restai in silenzio e mi limitai a guardare la mia famiglia come si guardano degli estranei – mia lingua somilia alla tua, aveva detto Irina, ma la loro no, era diversa.

“Stai alla larga da gente così”, continuò mio fratello ridendo, “che poi danno del frocio anche a te”. Mio padre teneva lo sguardo fisso al piatto, le labbra contratte, mia madre volteggiava intorno a noi, eterea ed efficiente, come a dire: va tutto bene. Per giorni vomitai e qualcuno controllò che non mi buttassi di sotto.
Quando mia madre si è svegliata, Irina l’ha messa a sedere sul bordo del letto e le ha cambiato il pannolone. Le ha spalancato le gambe con delicatezza, ha deterso la pelle del pube, bianca e glabra. Per la prima volta ho provato un grande sollievo. Mia madre ora ride e mostra le gengive. Vedi, mamma? Sarà una liberazione anche per te. Qualcuno prenderà il mio posto, affronterà l’addio al posto mio: quel giorno sarò lontano, d’improvviso inaffidabile, il figlio spurio.

Poi la scena cambia: Gianni apre la porta e la spalanca, irruente e precipitoso. Sento il tramestio dei suoi passi all’ingresso, la sua voce netta, dai toni alti, che chiama. I riflettori si accendono sul suo volto gioviale mentre avanza verso di noi, a passi lunghi. Scorgo il suo baciamano a Irina, vedo le loro figure sfiorarsi. Penso a mio fratello come a un animale, una mantide pronta all’abbraccio mortale.
In strada mi investe l’aria calda di questa primavera arrivata in anticipo.
In fondo al viale, dietro alle giunture dei cartelloni pubblicitari, si vede il mare, i gabbiani planare verso le creste burrose delle onde. A ridosso della banchina c’è un Vendesi affisso alle pareti di una palazzina. Debbo dire all’agenzia di rimuoverlo. È un appartamento con ingresso indipendente, piano unico, salotto, cucina, camera da letto. Cammino lentamente, mi accendo una sigaretta, aspiro.
Tra poco il figlio spurio sarà lì.


Tullia Bartolini è nata a Benevento, dove vive e lavora. Giornalista pubblicista, ha scritto in poesia, prosa e per il teatro. Molto di questo è stato pubblicato. L’ultima sua fatica è “Amata nobis” storia di una strega, edito dalla Giovane Holden.


Sandra Paul. Nata e cresciuta in Francia (Arles), ora vive in Italia. Il suo sguardo si concentra su momenti, vissuti con intensità, che vuole catturare e conservare attraverso la fotografia in un mondo sensoriale ed istintivo. Ha partecipato a diverse mostre collettive: alla Tag di Roma (2016-2020); al festival Voies Off di Arles (2017 – 2019); al mese della fotografia a Roma (2019), Convergenze Expo a Roma (2019), Street Sans Frontières a Parigi (2019), Castello di Santa Severa – Darkroom Project n°7 (2020), finalista al Siena International Photography Awards (2020). Partecipa ai Progetti collettivi di Parole e Ombre (2018), Abruzzo Insolito (dal 2019).

Facebooktwitterlinkedin