Settimio Luciano *
“Con la sua dolce voce” di Sabino Caronia

La vita, festa mobile

Come nei due ultimi libri, anche in questa nuova prova narrativa riaffiora il tema del perenne ritorno dei morti. Qui quello della madre, riletta nella luce affascinante di Parigi ma con la Sicilia sullo sfondo. Facendo tesoro di memorie che parlano di amore, narrate con grazia e discrezione

Lo sguardo innamorato riveste di luce il mondo: una luce che vorrebbe fermare l’istante ma diventa musica e scorre, scivola a ingrandirsi e perdersi e ritrovarsi nel perdersi infinito dell’amore. Ma in realtà non si perde nulla perché resta sempre il senso di bellezza suscitato e inciso nella memoria infuocata. Ricordo fermo come una testa di marmo, e memoria viva per la lava dei sentimenti che ha bruciato e fatto elevare anche nelle disfatte apparenti dell’amore: perché questa forza viva che tutto avvolge, non perde mai.

Lo sfondo è una Sicilia fatta di arte, musei, statue e letteratura. Il fascino di un racconto investe la vita, il fissare gli altri e filtra la realtà – o forse la fa emergere nella sua mai perduta bellezza – mostrandone l’intima profondità. Sabino Caronia in Con la sua dolce voce (Schena Editore), fissa questa profondità con la finezza e crudezza di cui neanche uno psicologo è davvero capace. Nell’altra donna, inevitabilmente, si fissa la propria madre pur nella consapevolezza che i rapporti sono irripetibili e non è mai la stessa cosa con le donne.

E poi c’è l’altra scia: quella della morte e della vita trasformata nell’inevitabile danza che è l’esistenza umana. La morte della madre e la vita riletta nella luce affascinante di una città come Parigi: la festa mobile di un cammino di libertà. Questa città, nella scrittura di Caronia, diventa un tripudio di gioia: una donna che a ogni angolo ammicca col suo sguardo seducente denso di promesse ardenti. Ed è la gioia di vivere, anche nell’atmosfera cupa della depressione, a manifestarsi a ogni passo nel libro, a ogni passo verso la sua intensità. 

La storia di Caronia è un amore narrato con discrezione, sottilmente. Filtrato da ricordi il più delle volte siciliani, memorie di famiglia che si intersecano come una cornice e più di essa, nel sostenere il racconto. Quanto bisogno c’è e quanta bellezza filtra in questa discrezione di fronte a un mondo che sa solo l’invadenza di immagini e parole gettate spudoratamente con i clic di un selfie subito dimenticato… senza memoria. La memoria è essenziale per mostrare come e quanto possa essere illuminata dall’amore trasmesso e con la cui luce si restituisce lo sguardo ricordando. Mettersi dinanzi a una foto ingiallita di una persona morta in guerra fa evocare la sua presenza: soprattutto se è un’immagine mai abbandonata dalle mani di una madre addolorata. 

Tutto ciò è offerto, con la solita grazia di cui è capace uno scrittore come Caronia, con una scrittura attraente, che scivola alimentando una lettura che non vuole smettere di staccarsi dalla pagina per quanta e infinita vita, per quanta bella malinconia dona nel trasmettere il sorriso della vita. Le descrizioni dei giardini, dei palazzi, degli antri di una casa, della musica dell’acqua che riecheggia spesso, degli odori che avvolgono l’aria, sono di una vivezza che mai sa di stantio o di ripetizione di aridi cliché. 

Questo libro contiene, infine, ciò che appare la cosa più facile per un figlio ma non lo è… non lo è mai: dire grazie, profondamente grazie alla propria madre al di là delle superficiali commozioni. Il ricordo di una madre è sempre una lacrima di gioia: fra dolore e senso di un dono a cui è impossibile restituire tutto il bene ricevuto. È un dire grazie riportando, facendo rivivere quel mondo del passato che non è mai veramente tale: perché è lì a portata di mano, pronto a farci sentire la bellezza di quanto si è ricevuto e la tristezza, trasformata in musica d’acqua, che avvolge e sostiene la propria misera esistenza lasciandone avvertire l’esatto contrario. Perché sempre si è stati amati e mai bisogna dimenticarlo.

*Professore di Teologia presso il seminario diocesano di Chieti, responsabile culturale per la diocesi di Trivento

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