Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Buon senso democratico

Mentre Trump boicotta le poste per alterare il voto di novembre, i Democratici incoronano Biden e Kamala Harris al termine di una convention all'insegna della sobrietà. Chiusa da uno slogan quant'altri mai azzeccato: «Usciamo da questa “Season of darkness”»

Di necessità virtù.  Potrebbe essere lo slogan della Convention nazionale del partito democratico che si è tenuta al Wisconsin Center a Milwaukee, in Wisconsin dal 17 al 20 agosto. Dopo essere stata spostata dal mese di luglio e ridotta nel numero a causa del coronavirus, ha avuto un formato differente da quello solito, sia per la durata dei discorsi dei singoli partecipanti, sia perché la maggior parte di essi hanno partecipato in video da remoto. Nonostante si sia scelto il quartiere generale a Milwaukee per evitare assembramenti, solo pochi partecipanti hanno parlato da lì. È stato un segno di civiltà sia nei confronti degli elettori che dei cittadini americani in generale: ha ricordato loro che il virus è ancora molto pericoloso e che la guardia deve essere mantenuta alta e che il senso civico del rispetto nei confronti degli altri è essenziale. Non credo si farà la stessa cosa alla Convention repubblicana che pero sarà chiusa ai giornalisti.

Il risultato di questo formato della Convention democratica dovuto allo stato di emergenza ha prodotto innovazioni non previste e ha sortito effetti che potrebbero anche divenire permanenti.

Come si sa, i due contendenti che sfideranno Donald Trump e Mike Pence da un lato, saranno Joe Biden, che ha parlato ieri sera chiudendo la manifestazione, e la senatrice della California Kamala Harris, che ancora molti giornalisti italiani si ostinano a descrivere come afroamericana, mentre il suo background è giamaicano e indiano. È interessante notare che Biden, accettando la sua candidatura a presidente degli Stati Uniti, ha parlato in nome della forza di una comunità unita, incoraggiando gli elettori ad uscire da questa “Season of darkness”. Inutile dire che l’accostamento al capolavoro di Joseph Conrad, Heart of Darkness, è stato automatico. In esso infatti si denuncia uno dei peccati mortali più gravi dell’occidente: il colonialismo e il razzismo che ha generato. Mai riferimento semantico fu più appropriato che in questa Convention dove il movimento Black Lives Matter è presente con la denuncia della storia e del passato coloniale che ha generato lo schiavismo e il razzismo.

Ma che cosa ha questa convention che le altre del passato non avevano o avevano in eccesso? Innanzi tutto, mancano quei rituali ormai consumati e retorici: bandierine, lustrini, cappelli colorati e molto appariscenti, scritte a caratteri cubitali dei nomi dei candidati, magliette con slogan, urla di approvazione, applausi eccessivi, coriandoli sparati dal soffitto, musica assordante e, alla fine, i palloncini dopo la nomination ufficiale. Questi ultimi sono mancati a molti; infatti, devo ammettere, erano un tocco di colore e di allegria. Anche se ci sono stati i fuochi di artificio. Prima, comunque c’era troppo di tutto; il che obnubilava spesso il messaggio e i programmi dei candidati, quasi da far dimenticare i loro punti di forza e mascherare le loro debolezze. Cosa che invece questa volta non è accaduta, rendendoli a volte anche vulnerabili e forse, proprio per questo più vicini agli elettori. Sono stati percepiti come individui invece che come prodotti di una macchina ben oleata.

È stata una Convention all’insegna della sobrietà, in contrapposizione a quel tono eccessivo, tronfio e arrogante che caratterizza ogni mossa del presidente e del suo staff. Anche la retorica patriottica sembra essere stata moderata e avere subito una rimodulazione più discreta, senza una narrativa con pause calcolate e discorsi che si soffermavano su certi punti solo per strappare l’applauso o addirittura la lacrima. Gli speaker e i candidati, insomma, sono apparsi misurati, credibili, onesti. La sfilata dei personaggi è stata notevole, la loro narrativa convincente e in alcuni casi – come in quello di Michelle e Barack Obama – lucida, accorata, tagliente senza mai “go low”, come l’ex first lady aveva sottolineato in precedenza.

In altri come in quello di Bernie Sanders, Elizabeth Warren o Alexandria Ocasio-Cortez sono stati ricordati i principi di giustizia sociale, mettendo in primo piano quella riforma sanitaria che necessita di essere migliorata ed estesa, specialmente adesso in presenza di una minaccia letale come il Covid 19, e poi quelli razziali e quelli ambientali di essenziale importanza per la sopravvivenza del genere umano e della sua salute. Altri astri nascenti come Stacey Abrams, Cory Booker, Tammy Duckworth o Pete Buttigieg hanno parlato di disoccupazione, di militari, dello spirito del paese. E tutti hanno riferito della situazione delicata delle forze di polizia nei confronti dei neri e del movimento Black Lives Matter che denuncia una situazione nazionale ancora al di sotto di livelli accettabili.

Tutti i partecipanti hanno inoltre sottolineato la rabbia che questo presidente suscita e alimenta nel paese, esacerbando i conflitti e una polarizzazione mai esistita prima: ciò mette in pericolo le radici della democrazia ogni giorno piegata ai voleri personali di un commander in chief sempre più simile a un dittatore che a un ufficiale eletto democraticamente e al servizio del paese. Si sono richiamati, in opposizione a tutto ciò, al senso del bene comune e dello stato. Inoltre, i delegati hanno dato il loro voto, parlando da posti suggestivi e panoramici degli stati che li hanno eletti, fornendo un’immagine inconsueta e inedita dei loro luoghi di origine.

Che la situazione sia di una gravità senza precedenti è stato testimoniato anche da un fatto inedito: a questa Convention hanno parlato anche alcuni repubblicani che hanno incoraggiato a votare per Biden-Harris. Tra di essi personaggi di tutto rispetto come Colin Powell ex segretario di Stato con George W. Bush e l’ex governatore dell’Ohio John Kasich.

Mentre, dall’altra parte, ora che anche Bannon è stato arrestato, il re è davvero nudo. Ma non bisogna mai dimenticare l’astuzia e gli stratagemmi disonesti che Trump cerca di mettere in atto per distruggere l’avversario. L’ultimo colpo basso di cui nessuno parla, e che invece è essenziale perché può mettere in pericolo l’andamento democratico delle elezioni, è la controversia rispetto ai fondi agli uffici postali. Prima Trump aveva cercato senza successo di posporre le elezioni e adesso insieme ai repubblicani sta cercando di mettere i bastoni tra le ruote per rendere difficile il voto per corrispondenza con il quale la maggior parte dei cittadini si misurerà. C’è da dire che in maggioranza saranno i democratici più ligi al buon senso di evitare assembramenti e situazioni pericolose per la diffusione del coronavirus. Ma vediamo nel dettaglio cosa è successo riguardo ai fondi per l’USPS (United States Postal Service) che è stato ed è il fiore all’occhiello delle istituzioni americane per il suo funzionamento e per la sua proverbiale efficienza.

La cosa deve essere importante se Nancy Pelosi, speaker della House of Representatives, ha richiamato dalla pausa estiva i deputati per il voto a un provvedimento che minaccia, se non passasse, di minare alle radici la democrazia americana. In maggio la House aveva approvato un pacchetto di aiuti a fronte del coronavirus di 3 miliardi che includeva anche fondi per l’USPS in vista delle elezioni presidenziali per posta. Ma, dato che negli stati che avevano richiesto tali aiuti ce n’erano più democratici che repubblicani registrati, il portavoce del senato, il repubblicano Mitch McConnell, si era rifiutato di far votare al partito questo provvedimento. USPS intanto aveva messo in guardia contro possibili rallentamenti nei confronti del voto di novembre se non fosse riuscito a potenziare i suoi organici e a fronteggiare con efficienza la prossima scadenza elettorale. Paventava la possibilità di ritardi nella consegna delle schede elettorali nei termini di legge. E quindi un grave danno alla trasparenza del processo elettorale.

E come c’entra Donald Trump in tutto ciò? Il presidente ha un passato di attacchi vistosi ed eclatanti all’USPS. In luglio aveva messo in guardia contro il voto per corrispondenza parlando di brogli che avrebbero favorito i democratici. La cosa era stata denunciata dal partito democratico che aveva accusato Trump di ritardare gli aiuti a tutti i piccoli imprenditori inclusi nel pacchetto dei 3 miliardi, perché voleva fermare il processo di voto per corrispondenza. Eccetto in Florida in quanto in quello stato ci sono un governatore e una maggioranza di elettori repubblicani. Non solo: in giugno ha nominato responsabile generale dell’USPS un suo finanziatore, Louis DeJoy che è anche il tesoriere della prossima Convention repubblicana e la cui moglie Aldona Wos sarà nominata da Trump ambasciatrice americana in Canada. Questo signore e la moglie hanno investito 75.3 milioni di dollari in titoli di società che sono concorrenti dell’USPS. In due mesi DeJoy ha già messo in atto una politica devastante nei confronti delle poste americane, cercando smantellarne la struttura portante. Ha impedito agli impiegati di fare straordinari o di fare viaggi extra per consegnare la posta, ha trasferito o licenziato 23 funzionari esecutivi di alto rango accentrando, senza precedenti, il potere nelle sue mani. Le mosse sono state cosi eclatanti che alcuni democratici hanno chiesto che l’FBi investigasse al proposito per capire se le mosse di DeJoy sono legali. C’è da augurarsi che il procedimento vada avanti o che comunque si chiarisca questa situazione, a dir poco, surreale.

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