Alberto Fraccacreta
Omaggio a Roberto Mussapi/4

Dire Poesia

Evoca miti, riannoda misteri, rivisita epoche. Circondato dall’aura di Shakespeare, Yeats, Luzi, Bonnefoy, Soyinka… Così il poeta piemontese nell'intensa e ragionata antologia di testi teatrali che ripercorre gran parte della sua produzione lirica

Una delle forme più nobili della poesia è il monologo in versi che ha illustri antenati nella letteratura classica e in essa si compenetra, anche nelle scritture moderne, proprio perché sembra trarne l’ispirazione e la resa più profonda. Il diffuso utilizzo della persona loquens ha da sempre conferito all’opera di Roberto Mussapi – per altro, stimato critico teatrale di Avveniree dunque addetto ai lavori – qualcosa di drammatico (stricto sensu) con l’icasticità narrativa, l’altezza timbrica che fuga ogni imbarazzo di minimalismo, restituendo al contempo un’“aura” (à la Benjamin) molto prossima a un’idea di arcano e di favoloso. Penso, ad esempio, all’ultima silloge pubblicata nel 2016 dallo Specchio Mondadori, La piuma del Simorgh, che tra i suoi testi più belli annovera i Frammenti dall’esistenza di Maria, monologo in sette parti sulla scia di un grande intertesto rilkiano, Marienleben.

Altrettanto intensa è la vasta e ragionata scelta antologica di pezzi teatrali, I nomi e le voci (Lo Specchio Mondadori, 176 pagine, 18,00) che ripercorre gran parte della produzione lirica di Mussapi – il componimento più antico è tratto da Voci dal buio, Jaca Book 1992 –, dando particolare rilievo al mito e al mondo greco e latino. Il libro è diviso in quattro sezioni che partono appunto da alcuni irriducibili personaggi della classicità (Arianna, Enea e Didone, Eco, Cassandra, Penelope e Antigone in Voce, volto, persona), per poi distendersi nel presente. Ecco l’esordio del quadro dedicato ad Arianna: «Poi fu buio, un buio che ora conosco,/ azzurro come il mare nel profondo/ abisso dove l’ombra si addensa,/ e notte e un vento che mi carezzava la pelle,/ mi addormentai, tra le sue braccia/ mentre la nave salpava verso Nasso./ Tutto sparì, nel sonno, Teseo,/ la clava, l’ingresso nel buio, il Labirinto». Una cadenza, come si può notare, solitamente contrassegnata dall’endecasillabo con alcune linee ipermetre, che ben ricostruisce l’austerità del modello catulliano e dà vocea un poetare iconico, levigato, avente per stigma il narratumin senso melvilliano (di recente pubblicazione sempre per Lo Specchio Le poesie di mare e di guerra di Melville, tradotte dallo stesso Mussapi). 

La seconda sezione, Stessa stoffa dei sogni, come avverte il titolo, si sposta sull’asse scespiriano, altro importante mantra della poetica di Mussapi. La riscrittura dei personaggi di Otello, Amleto e Ariel (lo spirito magico della Tempesta) è viva in quanto si accorda alla visione letteraria del poeta, impegnata a ricollocare la memoria nell’orlatura dei secoli, nelle risacche degli evi che ripropongono la poesia quale ente identico a sé stesso, al di là delle mode e degli oggetti che hanno invaso e pervaso la parola. Ecco perché, nonostante il timbro epico e dantesco nelle slargature semantiche, il linguaggio di Mussapi, mirando a una riconoscibilità oltre le epoche, è di natura e fattura essenzialmente petrarchesca: cosa che lo accomuna ancor di più a un altro testo poetico-teatrale che fa da progenitore a I nomi e le voci, ossia Nel magma di Mario Luzi, specie nell’impatto modernista e poematico di alcune soluzioni formali, vicine anche a un Wallace Stevens («Non sono soli e non lo sanno:/ questa è la loro pena, se sei un mago, ti prego,/ donagli il senso della compresenza./ Con me? Con l’isola? Con Calibano che hai reso schiavo?/ Con tutti, con tutti, tutti, e ognuno con se stesso»).

Il mito e la tradizione anglosassone, in linea con la terza parte, Verso Bisanzio – evidente ammicco a Yeats –, si sposa con un terzo elemento tipico dell’immaginario di Mussapi, l’esotismo simbolico e storico, rigato dall’oriente (Dal ciclo delle notti arabe), da Venezia e Marco Polo (La veneziana) e dalla storia antica (Parole del tuffatore di Paestum Parole di Plinio dal vulcano in fiamme). Una sorta di erotico oblio avvolge la nube della lontananza spaziotemporale, luogo elegiaco par excellence: «Fu oltre Murano, verso il mare aperto,/ un’onda più alta nell’improvvisa tempesta,/ acqua nera negli occhi, e la sua mano/ sfiorò la mia, stringendo bolle,/ la ricordo riaprirsi e richiudersi disperatamente/ poi la sua ombra fluttuò sopra di me,/ ormai lontana, ormai nell’altro regno,/ e sentii l’acqua raggiungere gli occhi/ da dentro, io in suo possesso/ fui spinta da una corrente come un’ombra/ lungo il fondale e mi fermai qui/ nell’acqua quieta di questa calle/ dietro la Misericordia». Il nominalismo estremo di questa terza parte ma persino delle storie e delle nervature dell’intera silloge serve a riannodare quel senso di mistero – insito nelle catene sillabiche – al modo di un alchimista, senso di mistero che è anche cosmo rinnovato, pieno espletamento del significato della poesia. 

La quarta sezione, Onore al mio tempo, è invece schiacciata sul contemporaneo con due lunghi poemetti, La Grotta Azzurra (interpretata da Paola Pitagora e poi da Miriam Mesturino nel 2002 con la produzione di Torino Spettacoli) e Lezioni elementari, dedicate al maestro Gabriele Minardi e considerate dal poeta stesso come il monologo di punta dell’opera. Anche qui fondamentale è l’«età del tempo incessante», sintonizzata sugli infrasuoni di un ciclico ritorno, temps retrouvéche conferisce ai versi un tono onirico e ontico, sul modello di Bonnefoy, e anche un impulso politico-sociale che non può non rimandare al teatro caleidoscopico di Soyinka. Figura a metà tra il reale e l’allegorico (simile al Prospero della Tempesta), il “Maestro” è un po’ una ricapitolazione e un ampliamento di tutti i personaggi riscritti da Mussapi, come recita la descrizione stilizzata del finale: «E che lo vede, uscire dalla scuola,/ parlare con le mamme, spezzare i grissini/ con la sua sciarpa bordeaux arrotolata/ e poi salire sulla sua Karman Ghia,/ ma è qui, il Maestro, non andrà mai via».

Accanto al titolo Roberto Mussapi fotografato da Roberto Orlandi.

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