Marco Sonzogni
A proposito di “Nerotonia”

Versi per Macbeth

La raccolta poetica di Rossella Pretto è la testimonianza di un amore «canagliesco e nero» nel segno di Shakespeare e dei suoi eroi più controversi (e innamorati)

Il mese di aprile, che T.S. Eliot definì il più crudele, ha visto nascere oltre sesssanta Premi Nobel, diversi dei quali per la Letteratura, tre addirittura nello stesso giorno, il 13: gli irlandesi Samuel Beckett (1906) e Seamus Heaney (1930), e il francese Jean-Marie Le Clèzio (1940). Negli annali della letteratura aprile è soprattutto il mese in cui è nato e morto uno degli scrittori più grandi e influenti di tutti i tempi: Willaim Shakespare, battezzato il 26 aprile 1564 e scomparso il 23 aprile 1616.

Ci vogliono conoscenza, condivisione e coraggio per confrontarsi con le storie e con le parole di Shakespeare senza che uno soccomba «disarmato and disperato», citando un verso shakespeariano di Seamus Heaney nella traduzione di Roberto Mussapi, sotto i colpi di quel genio eterno.

La lettura e la meditazione di Macbeth, dagli studi universitari all’esperienza in teatro all’attività di critico letterario, hanno lasciato una traccia profonda e permanente nell’immaginazione e nella scrittura di Rossella Pretto. Questo percorso si è coagulato in Nerotonia, originale e potente raccolta poetica d’esordio in uscita a maggio per i tipi di Samuele Editore con al prefazione di Flaminia Cruciani.

«Lady Macbeth», spiega l’autrice in una incisiva e raffinata nota d’introduzione alla sua raccolta, «mi ha sussurrato all’orecchio per anni e nei modi più svariati». Chi leggerà questo libro comprenderà subito come «ognuno di noi sia il frutto delle voci che l’attraversano».

Il testo qui proposto in anteprima è animato da un canto e un controcanto, indice inequivocabile (anche a livello grafico) di voci dialoganti mosse da un doppio centro gravitazionale: il pensiero e le azioni della ‘dark Lady’ shakespeariana e quelli dell’autrice che le è venuta in ascolto e le ha dato parola.

«Riconoscibili o meno, attribuibili al passato personale o a quello letterario», sottolinea Pretto, queste voci «prendano spesso il sopravvento sovrapponendo gli eventi e i vissuti, perché possano significare o illuminare la particolare storia che chiede di ripetersi.»

E chi più del Bardo di Stratford-upon-Avon ha saputo testimoniare i corsi e ricorsi della storia, e delle vicende umane che la determinano, con profondità di sentimento e di scrittura? Pretto non si è però tirata indietro, offrendoci la propira testimonianza face to face con il modello shakespeariano.

Come sottolinea Flaminia Cruciani nella sua acuta nota di prefazione, Pretto «ci trasporta in una rivisitazione originale della tragedia shakespeariana di Macbeth, sviscerata dall’osservatorio femminile e sensuale di Lady Macbeth.» Una rivistazione tanto più intensa e coinvolgente in quanto personale. «In controluce», osserva Cruciani, «appare l’autrice, che si sdoppia e si sovrappone a Lady Macbeth nelle sue labirintiche imprese di donna e come creatura della contemporaneità ne diventa il suo punto di arrivo» e con i suoi versi dà vita ad «un incantesimo sopra chi legge». Grazie a una scrittura «coraggiosa e indomita», scrive ancora Cruciani, e «architettata con una lingua tirannica, sempre in agguato», Pretto «tiene il lettore attaccato al testo, e non lo lascia più, trascinandolo in un inesorabile vortice di dannazione».

Quello di cui Shakespeare ci fa partecipi in Macbeth, del resto, citando ancora le parole di Heaney, è un «incubo» con cui l’autrice dimostra di essere «familiare». Tocca ora ai lettori di questa ‘ipotesi ladymacbettiana’ di Rossella Pretto affrontare il proprio incubo, da sonnabuli o da svegli.

* * *

tu che mi strappi dai sogni di cotone
che vanghi parole rovesciandomi sopra
quella tua terra densa,
le mani grosse che impugnano
l’arnese indefesso del tuo lavoro

tu che attenti alle mie notti olimpiche
estirpando erbacce d’incoscienza
sterpaglie d’acquiescenza
e inutili e prodigiosi seduttori
discorsi mi fai serpeggiare nella testa

tu che quando non dormo e ti penso mi perdo
e l’idea ossessa fa tempesta
nei fruscii degli incatenati lenzuoli,
fantasmi che abitano la casa
come io abito i loro crani lisci d’ossa

tu che mi fai l’amore come battaglia
e titilli le orecchie della quieta calma noia
di una vita sempre uguale inespressa
e guasta
dove nessun passero cinguetta tra rosse lame

tu e le tue invenzioni, nessuna dolcezza
o dolcezza puntuta a tratti
dai germi della tua ambizione
che è mia di voglia,
possesso di sangue

tu ed io mischiati insieme,
proiezione di corona infeconda,
mio tiranno dei tempi
usurpatore
di femminei pensieri

I am ready for enormity

ti ho detto pensando fossimo uguali
mentre la testa scassata
abdicava ai tuoi desideri,
desideri ematici di incredibile confusione
d’effrazione agguati e violazioni
penetrazioni di rapina nei territori
dei miei inchiostri e dei tuoi poteri

agganciandoci al nostro essere
uomini insieme, uomini entrambi,
disciolta io fallica dominatrice
che chiedevo mi si strappassero i seni
che venisse ancora la notte scura degli amplessi
impestata di scorpioni, e corvi gracchiano
denunciando abominii 

i miei e tuoi che non facciamo mondo
i tuoi e miei che non crediamo a niente
e non ci inginocchiamo
ai misteri del divenire
più non preghiamo né tendiamo mani
convinti d’essere bastevoli
come convinta ero io  

di bastare a me stessa

ora in due,
non penetra luce
né grido d’infante
ci scuote dagli assalti
dei nostri pensieri di strage

infruttuosa
sono tua: m’hai strappato
da sogni di cotone
sei mio, generale, incagliato
in un orizzonte riarso d’incendio

insieme siamo fottuti
e non restano parole
neanche tra noi
uomini vuoti neanche tra noi
maschio e femmina schiantati

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