Delia Morea
Cronache dall'Italia sospesa

Verso la ricostruzione

«Oggi, chiusi in casa a riflettere, forse scopriamo che c’è molto da recuperare, dopo questa esperienza, quando il coronavirus lascerà le sponde del nostro paese, credo che l’Italia dovrà ricostruirsi interiormente»

Immagini di Roberto Cavallini

Ore 9,30 di martedì: Piazza Garibaldi, cuore pulsante della Stazione Centrale di Napoli è deserta. Dal balcone di casa mia scatto una foto “ricordo” dell’avvenimento. Il luogo, coacervo di razze che vi si radunano quotidianamente, dove maggiormente ferve la vita del popolo, spina dorsale degli spostamenti dei pendolari, del mondo che lavora, si allinea nel silenzio e nel rispetto.

Napoli al tempo del coronavirus segue le regole stabilite dal Governo e dimostra civiltà, senso civico, coesione.

Napoli, emblema del sud, sembra compatta, anche grazie al lavoro alacre del  Governatore Vincenzo De Luca, per tenere in pugno la situazione.

Chiusi in casa, è questa la parola d’ordine, e la seguo alla lettera, tentando d’imbrigliare il mio spirito nelle quattro mura domestiche leggendo, guardando film, scrivendo, anche se spesso con sforzo, perché il cammino della scrittura è sempre irto e complicato. Mi tengo aggiornata tra telegiornali e social e, per quanto posso, cerco di dare ordine ai contenuti alla rinfusa di cassetti e armadi come mi ripromettevo da tempo, forse anche di dare ordine ai contenuti della mia mente, selezionando priorità.

Appartengo alla generazione che ne ha viste tante: se scavo nelle memoria mi vengono in mente ben due terremoti, quello del 1980 il più importante, un’epidemia di colera nel 1973 e poi, come tanti, ho subìto gli anni di piombo, il terrorismo e la terribile guerra nel Vietnam. Però la mia generazione ha avuto anche occasione di viversi gli ideali, di essere partecipe di cambiamenti epocali fondamentali. È stata la generazione dei Beatles, della swinging London, delle minigonne alla Mary Quant. Della sperimentazione teatrale di Julian Beck e Judith Malina del Living Theatre, o di Jerzy Grotowski, Tadeusz Kantor, Carmelo Bene e Leo De Berardinis. Questo per citare solo alcuni dei “vati” teatrali di quegli anni. Così nel cinema, ha avuto la fortuna di vedere i film di Antonioni, Visconti, De Sica, Fellini, Scola o la fortuna di approfondire la grande stagione della nostra letteratura ricordando almeno Pier Paolo Pasolini, Annamaria Ortese, Cesare Pavese, Italo Calvino, Michele Prisco, Raffaele La Capria, Ennio Flaiano.

Oggi invece vede la violenza sulle donne che si perpetra nei reiterati femminicidi, la mercificazione in tutti i sensi dell’infanzia negata, l’aumento esponenziale delle organizzazioni criminali con l’innesto delle baby gang e la terribile esplosione in termini di guerre e terrorismi dei paesi medio orientali.

Mi accorgo di avere fatto un giro lungo per arrivare  a questo momento storico di pandemia, a questa “peste del secondo millennio”, tanto per ricordare la peste di manzoniana memoria che è tornata prepotentemente sulla bocca di tutti, soprattutto sui social. Un giro lungo per rendersi conto che, pur non avendo vissuto la guerra, questo virus ci ha piegati peggio di una guerra, che ci sta cambiando e ci cambierà definitivamente. Cosa accadrà nel futuro a quest’Italia che emotivamente partecipa cantando a squarciagola dai balconi l’inno di Mameli, che prega e conta i morti?

Cosa accadrà ad un paese che oggi è chiuso in casa, eppure non potrebbe essere altrimenti, grazie ad un lavoro serio e coerente del Governo, che sta cercando in tutti i modi di arginare quella che potrebbe trasformarsi in una tragedia dalle proporzioni epocali. Così plausi al nostro sistema sanitario, agli sforzi dei tanti medici e infermieri, anche al sud dove spesso in passato sono state fatte critiche a strutture e personale sanitario. Grazie al lavoro che stanno conducendo i medici in questo momento nel campo della sperimentazione, ai tanti napoletani che in queste ore stanno donando il sangue. Se questo è il sud, il nord, purtroppo allo stato molto più colpito dalla pandemia, non è da meno ed esercita lo stesso comportamento dignitoso e coraggioso. A loro onore e un pensiero di solidarietà, di coraggio, appunto, per il momento difficilissimo.

Viviamo in una Italia bella, per tanto tempo non ce ne siamo resi conto, affastellati da problematiche quotidiane, invasi dal qualunquismo generale e dalla mediocrità di una cosa che spesso viene contrabbandata per cultura ma non lo è.

Oggi chiusi in casa a riflettere forse scopriamo che c’è molto da recuperare, dopo questa esperienza, quando il coronavirus lascerà le sponde del nostro paese, credo che l’Italia dovrà ricostruirsi interiormente, riprendendo quei toni pacati perduti, facendo i conti con una sofferenza che di certo segna la vita, con i problemi economici che nasceranno, con un sistema che dovrà essere rivisto.

Non credo che tutto ciò sia solo “letteratura” e che il paese sarà come prima, credo che questa “lezione” possa servire a tutti. Una piccola nota di scetticismo, in fondo, mi dice di stare attenta ad affermare pensieri, a non formulare ipotesi rosee, perché tanto rifaremo guerra all’emigrazione, assisteremo ai soliti litigi ed opposizioni, le differenze sociali riprenderanno e la criminalità non si fermerà, ma un’altra voce mi dice anche che quando ne usciremo, perché ne usciremo, avremo recuperato una dignità e un esempio da dare anche all’Europa che rimarranno incancellabili.

E ci sarà il tempo poi di vivere di nuovo la vita come la vogliamo, soprattutto, i giovani devono sposare questo concetto: sacrificarsi ora. Chiudersi in casa per tornare dopo allo splendore dell’esistenza

Io nel frattempo sono qui nella mia immaginifica Avalon, cercando di superare l’umano timore che mi pervade, a trasformare le pareti domestiche in una foresta viva, con alberi vivi che si possono abbracciare.

Io a casa, contemplando la vita nel suo passato e nel suo presente, cercando di acciuffare speranze per il futuro, mentre i bollettini di guerra del coronavirus impazzano e si rafforza dentro la voglia di combatterlo questo virus, di non farsi fregare, di essere ossequiosa delle regole.

Io che non esco ed immagino come sarà bello quando lo farò, io, fortunata, perché circondata da affetti e familiari.

Io qui a immaginare che la piazza Garibaldi torni presto brulicante di persone come tutta l’Italia. Ce la faremo.

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