Nicola Fano
A proposito de "Il Mediterraneo in barca”

Simenon e Salvini

Nel 1934 Simenon fece un giro del Mediterraneo raccontando gli emigranti italiani e i sudditi di Mussolini che si arrangiavano e facevano lavorare i "nuovi schiavi" arrivati dalle rotte della disperazione. Tutto questo vi dice qualcosa?

Nell’autunno del 1982 la casa editrice Adelphi pubblicò un delizioso libretto intitolato Riflessioni sugli ultimi fatti relativi alle Isole Falkland del grande critico inglese Samuel Johnson. Nella primavera precedente, dopo l’immotivata e irragionevole invasione delle isole Falkland da parte dell’esercito del dittatore argentino Leopoldo Galtieri che aveva sostituito l’ormai non più presentabile Jorge Videla, si era combattuta una piccola e assurda guerra, in mezzo all’Atlantico meridionale. Fu nel giorno di Pasqua del 1982 che il mondo accolse attonito la notizia che la marina di sua maestà Elisabetta (II, quella di oggi) su ordine dell’odiosa signora Margaret Thatcher si dirigeva a difendere i concittadini lontani (pensate oggi quanto pare assurdo tutto ciò, alla vigilia dell’implosione della Gran Bretagna, disintegrata dalla brexit, giacché questa è ora la posta in gioco…). Ebbene, il libro di Samuel Johnson – per inciso portentoso esegeta shakespeariano del Settecento – si riferiva a un conflitto tra spagnoli e inglesi, nel secolo dei Lumi: un trattatello non memorabile ma un’operazione editoriale strepitosa. Questa è la cultura: la possibilità di correre su e giù nella storia, cercando di andare a capire le congetture degli uomini o le loro immani idiozie passate, presenti e future. Va da sé che Johnson, pur sostenendo formalmente le ragioni della Corona inglese (e poi gli spagnoli son così grossolani…), nel suo saggetto adombrava l’assurdità del confliggere per ragioni di principio in capo al mondo, lontani miglia e miglia dagli interessi reali dei sudditi. Tant’è: ritengo quel libro pubblicato in quel momento con quel titolo un assoluto capolavoro editoriale.

Perché questa premessa? Perché ci risiamo. Sempre Adelphi pubblica ora, proprio ora, un libretto intitolato Il Mediterraneo in barca per la firma di Georges Simenon. Poi vedremo meglio il contenuto, ma occorre subito soffermarsi sul titolo (nell’originale, Mare nostrum ou Le Méditerranée en goélette): ultimamente, in barca sul Mediterraneo ci vanno e ci muoiono migliaia d’uomini in cerca di dignità della vita. La parola stessa “Mediterraneo” oramai, purtroppo, evoca i confini di un immenso cimitero tappezzato dai sogni di individui che qui, con il dito sul telefonino collegato a facebook, si mandano allegramente a morte «perché non se ne può più, signora mia!: è finita la pacchia». Benché non sia chiara quale sia la pacchia in questione. Sicché è impossibile vedere questo volume sugli scaffali dei librai e non pensare a quel cimitero di Mare nostrum che ci bagna.

Una furbata, diranno loro (quelli con dito sul telefonino collegato a facebook). E rincareranno: roba da comunisti, radical chic intellettuali! La storia vi fulminerà se darete dei comunisti a quelli di Adelphi ma, certo, se conoscere le ragioni della storia e la sua lezione vuol dire essere intellettuali, allora sì: chi ha stampato questo libro è un intellettuale di genio. Ma il problema – per tutti, razzisti, comunisti e intellettuali – sta nel contenuto di questo volume: il resto sono chiacchiere che neanche Santa Madonna di Salvini potrà consustanziare in un miracolo istituzionale. Ebbene, Georges Simenon nel 1934 – chi sa la storia annoti l’anno: primo del governo nazista in Germania, dodicesimo del governo fascista in Italia – assoldò una piccola ciurma, prese in fitto una goletta (sarebbe a dire una barca a vela senza motore) e fece un giro ameno nel Mediterraneo per pura curiosità, per raccontare la vita e la gente. Certo, aveva i soldi per farlo; ma la sua voglia di capire era onesta. E siccome il nostro non sapeva vivere senza scrivere, aveva antecedentemente venduto i suoi reportage a un giornale francese. Sennonché il volume in questione ripropone l’insieme dei reportage dell’inventore di Maigret: un occhio raffinato e non convenzionale sulla vita tra Europa del Sud e Africa del Nord nel 1934.

Chiariamo, per gli eventuali seguaci della Madonna di Salvini: Simenon non era comunista, anzi è stato accusato di troppa disinvoltura nei confronti di Vichy; non era un intellettuale né un radical chic. Amava la Francia pur essendo belga, aveva un pessimo rapporto con le donne (di famiglia o no), ma soprattutto conosceva bene gli esseri umani. E su questa sua straordinaria capacità di cogliere le nostre debolezze ha costruito una fortuna letteraria fatta di centinaia di romanzi, parte dedicati al commissario Maigret parte no. Fatta di miriadi di racconti e di reportage giornalistici che – ora gioiosamente sappiamo – Adelphi si appresta a pubblicare in italiano dopo questo debutto perfettamente a tempo con Mediterraneo in barca. Perché “perfettamente a tempo”? Ma perché metà del libro è dedicato all’Italia. Simenon con la sua goletta si ferma a Genova, sull’isola d’Elba, a Messina, a Siracusa e a Cagliari (poi anche a Malta e in Egitto, ma questo per il nostro discorso è marginale). Insomma, Simenon con occhio onesto seppure affettuoso racconta l’Italia del 1934: fra le righe plaude a Mussolini che ha ridato all’Italia un ruolo internazionale ma più limpidamente loda la vitalità di un popolo di emigranti che con semplicità riescono a risolvere i propri problemi di sopravvivenza (c’è una pagina sulla partenza per la Americhe di un bastimento di emigranti in terza classe e ricchi in prima classe che fa tremare i polsi). Insomma, per dirla con una parola: Simenon smonta il miracolo della Madonna di Salvini mostrandone l’idiozia storica. Sentite questa parabola (scritta dal nostro, io credo, senza baciare il rosario): «Nel Mediterraneo della crisi nessuno si lamenta (siamo nei pressi della crisi di Wall Street del 1929, ndr). Non si ribellano. Non accusano la malasorte. Sono senza speranza e senza disperazione. Vuol forse dire che soffrono di meno? Saremmo tentati di crederlo, vedendo come il sole, in poche settimane, faccia crescere le messi, maturare l’uva, moltiplicando ovunque la vita. Ma credo che questa sia un’idea da uomini del Nord. Quanto a me, preferisco leggere la Bibbia. Non è forse vero che lì si parla già delle sette vacche grasse e delle sette vacche madre? E che già allora intere popolazioni vagavano intorno a questo stesso mare di un azzurro intenso alla riceva non di terre da conquistare ma di cibo?». Ci vuole così tanto per capire che siamo tutti sulla stessa barca?

Tant’è. Simenon – ché era un genio – dice anche qualcosa di noi altri d’oggi. Da un morbido lungomare siciliano Simenon, dopo aver letto notizie dalla Germania di Hitler su un giornale, scrive: «Non so che cosa mai possa interessare a queste centinaia di persone che, a quest’ora, siedono sulle panchine del lungomare, mentre i giradischi si dànno battaglia. Eppure mi hanno indicato certi uomini, qua e là, con il naso rotto dei pugili o con la faccia segnata da cicatrici. “Sono dei gangster!” mi hanno detto con un sorriso. Non scherzavano mica. Quasi tutti i gangster che hanno fatto tremare Chicago e l’America intera sono originari di qui, hanno mangiato la cassata su questi tavolini all’aperto e hanno guardato i pesci che guizzavano nella fontana dei papiri.  (…) “Ma, direte voi, quei monumenti, quelle strade pavimentate di mosaici, quelle fontane, quei…”. Ovvio, hanno pur dovuto costruirli! (…) Che cosa dimostra, tutto questo? Che gli abitanti di questa città hanno lavorato? Ma neanche per sogno! Tutto questo dimostra che è venuta a lavorare qui gente da fuori, arrivata di propria spontanea volontà o condotta in schiavitù. Ed è forse questo il segreto del Mediterraneo. Arrivi da un posto o dall’altro, dalla Gallia o dall’Armenia, dalla Macedonia o finanche dall’Ungheria. Sei giovane e forte, e per di più sei un poveraccio. Allora lavori. Solo che tuo figlio, o magari tuo nipote, impara a vivere e, invece di lavorare lui stesso, fa lavorare quelli che arrivano a loro volta dalle più remote lande barbariche».

Capito la lezione? L’obiettivo dei devoti della Madonna di Salvini non è la sicurezza minata da ladri e stupratori arabi: no, queste sono cazzate da dire in pubblico, come in effetti loro fanno. Il vero obiettivo è una nuova forma di schiavitù. L’obiettivo è farli lavorare al nostro posto, questi “poveracci” – Simenon l’aveva già capito. E truffarli, pagarli un euro al giorno, imporre loro miseria e infamia «perché se lo meritano». Per renderli schiavi occorre farli apparire come mezzi uomini, come esseri inferiori, come inetti e come infedeli. È lì che ci vogliono portare i miserabili seguaci della Madonna di Salvini: chi non li ferma, chi oppone distinguo, chi dice se e ma, è complice del nuovo schiavismo. Lo diceva anche Simenon. E si schierava con i “poveracci”, con quelli che sperano e sognano in un destino migliore navigando per il Mediterraneo. Grazie Simenon e grazie Adelphi.

Facebooktwitterlinkedin