Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Le amiche di Simenon

Adelphi pubblica l'ennesimo, bellissimo e torbido romanzo di Simenon (senza Maigret). Poi Santo Piazzese e i suoi misteri napoletani, e i "mostri" francesi di Philippe Jaenada

Complici. Nell’ultimo romanzo di Georges Simenon pubblicato dall’Adelphi (Marie la strabica, 181 pagg., 18 Euro) non c’è nulla di consolatorio, anche se i fatti raccontati, a volte monotonamente, sono scarni e i dialoghi non entrano mai, se non per allusioni, nella condizione reale e psicologica delle due protagoniste, Marie e Sylvie. Due ventenni che fanno le cameriere in una località marina della Francia (l’autore ha scritto l’opera nel Connecticut, a riparo dalle accuse di collaborazionismo), dormono nella stessa stanza, si parlano poco prima di dormire. Marie è strabica, non ha un corpo aggraziato, è rassegnata, quasi votata a far da cameriera all’amica. Sylvie è orgogliosa del suo seno, sa bene che spogliandosi dinanzi alla finestra infuoca i turbamenti di un giovane, che sarà poi trovato senza vita con la corda al collo in uno sgabuzzino.

Entrambe, finita la stagione estiva, tentano l’avventura parigina. Separatamente. Non si incontreranno più per 27 anni. Nulla cambia per Marie che troverà un posto rassicurante in un ristorante, mentre la collega arrampicatrice – che di sé non ha mai voluto parlare apertamente – si legherà per spudorata convenienza a una famiglia molto agiata. Prima amante di Robert, alcolizzato, poi del fratello Omer, emiplegico. Marie si presta a spiare i movimenti di quella famiglia, così da assicurare all’amica d’essere la vera erede di un grande patrimonio. Morto Omer, Sylvie invita Marie a dormire nella sua nuova stanza. Come decenni prima. Le stesse domande di Marie, le stesse vaghe, troppo vaghe, risposte dell’altra. «Ti ricordi?». «In fondo era solo un gioco». Dormire da soli fa paura a entrambe.

La lettera. Cinquantesimo anniversario della fondazione per la casa editrice Sellerio. Per l’occasione, è stato chiesto ad alcuni autori di scrivere un racconto giallo (Cinquanta in blu, 423 pg., 15 euro): Costa, Mavaldi, Piazzese, Recami, Rebecchi, Savatteri, Simi, Stassi. La scorsa settimana, qui in questa rubrica ho parlato di Quando mamma prendeva il tè, di Gian Mauro Costa. Stavolta ho scelto Cronache di un contrabbandiere etico, di Santo Piazzese, dal lessico lineare e raffinato. Biologo palermitano (del ’48), parte, come i colleghi della raccolta, da un libro quale movente di crimine. Nel caso specifico il protagonista, lo scienziato Lorenzo La Marca, riceve una busta senza mittente. Dentro c’è un libro contenente La vera storia di Salvatore Giuliano (famoso bandito) di Ignazio Buttitta. La dedica sul frontespizio recita così: “Da parte di mio padre“. La firma è Bianca C. – Ignazio Buttitta fu poeta notissimo nell’isola (e non solo), nato e morto (’97) a Bagheria. Ma chi è Bianca? Il professore indaga, trova la figlia e alla fine si ricorda di Nitto, l’uomo che davanti a scuola vendeva sigarette di contrabbando consentendo («Guadagnavo appena per calare la pasta») alla figlia di andare all’università. Viene a sapere che Nitto, molto malato, finì all’Ucciardone (carcere palermitano). Il motivo: s’era rifiutato di vendere l’eroina (di qui l’appellativo di “etico“, come rimarca la figlia), sospettando tra l’altro una collusione tra spacciatori e finanzieri.  I ricordi affiorano, e sono tanti. Racconta Bianca che il padre era affascinato da Giuliano: «Aveva pure letto l’introduzione di Sciascia», ma riscrisse in versi la vita del  bandito, ai suoi esordi fino a rifiutare le “ammazzatine” per contrabbandare sacchi di farina. Immedesimazione morale.

Il mostro. Qui si parla di un uomo molto strano. Negli atti giudiziari c’è pure scritto, con tono lombrosiano, che Henri ha la testa “a trottola”. Il francese Philippe Jaenada, verboso in alcune parti del romanzo, indaga sullo Strano caso di Henri Girard  (Sellerio,  656 pagg., 18 Euro). Henry, considerato sempre una “peste“, un dilapidatore di enormi sostanze familiari viene trovato, solo, nel castello avito (nel Perigord). La polizia irrompe all’alba del 25 ottobre 1941. Accanto a lui c’è una roncola, presa in prestito da un contadino e macchiata di sangue con la quale avrebbe ammazzato il padre, la zia e la governante.  Straordinariamente viene assolto. Cambia vita, scrive romanzi, s’imbarca per il Sudamerica dove fa anche il camionista. Tornato in Francia ha grande successo: il suo Salario della paura (non è l’unico suo romanzo) vende molto; ne furono tratti due film (il primo con Yves Montand). Segue i grandi processi di cronaca, è punito per oltraggio ai giudici, si sposa varie volte, denuncia le torture in carcere, si trasferisce nell’ Algeria liberata dove si occupa di informazioni per il governo. Quando scrive non tralascia mai il sarcasmo, il tono buffonesco e persino autobiografico. I suoi vicini di casa continuano a guardarlo come “il mostro”.

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