Raoul Precht
Periscopio (globale)

Il debito di Pellizza da Volpedo

Alla scoperta di Cesare Tallone, colui che insegnò l'arte a Pellizza da Volpedo. L'Accademia Carrara di Bergamo ne conserva le memorie gemelle, riabilitando il maestro senza svilire l'allievo (e la sua grandezza)

Non so se capita più o meno a tutti, ma a me visitare un museo spesso procura un doppio piacere: quello di vedere (o rivedere) opere d’arte che m’interessano e mi stimolano, quale che ne sia la ragione – tanto di autori che amo particolarmente, quindi, quanto di autori che non mi dicono troppo, ma che per ragioni di cultura generale è sempre bene conoscere – e quello, supplementare ma negli ultimi tempi sempre più appagante, di rimanere sorpreso e a volte basito di fronte a statue, manufatti o, più spesso, quadri che mi prendono d’assalto all’improvviso e al cui fascino non so resistere. Sovente non si tratta, si badi bene, di opere di artisti famosi e celebrati, certo non di quegli artisti che magari nel museo in questione sono andato attivamente cercando, ma di altri, di vere e proprie scoperte, a volte di coloro che buona parte della critica ha magari nel frattempo declassato e cui ha trovato posto nella categoria degli onesti e abili artigiani, ma poco o niente di più.

Il termine che più mi piace usare in questi casi, e che trovo pertinente, non a caso è “agguato”. Ed è pertinente, perché in quanto visitatore che si aggira per le sale di uno spazio chiuso non hai letteralmente via di scampo.

Facevo queste considerazioni qualche settimana fa uscendo dall’Accademia Carrara di Bergamo, dove implicitamente mi ero recato a rinnovare l’intimo vincolo con determinati capolavori: per citarne solo alcuni, la Madonna di Alzano di Giovanni Bellini, la Madonna col Bambino di Mantegna, le Nozze mistiche di Lorenzo Lotto, i ritratti di Giovan Battista Moroni, le vedute di Canaletto e Guardi, per non parlare delle sculture legate alla Carrara da Federico Zeri, fra cui una splendida Andromeda di Pietro Bernini. Percorso di tutto rispetto, come ciascuno può capire dai nomi citati, che già di per sé riempirebbe l’animo e gli occhi di pura bellezza, e che alla fine sbocca su un paio di sale che si potrebbero presumere d’importanza minore, dedicate all’Ottocento, secolo borghese, dove comunque fanno bella mostra di sé tele di Hayez, Previati e un commovente ritratto femminile, il Ricordo di un dolore o Ritratto di Santina Negri (qui sopra), in cui Pellizza da Volpedo ha probabilmente espresso il dolore per la perdita della sorella. Incuriosito dall’espressione indecifrabile, a metà fra estatico e spossato, della ragazza ritratta, leggo sulla guida che la tela, su cui figura la volpedese Santina Negri con un libro in mano e lo sguardo lucido perso nel vuoto, è stata donata alla Carrara dallo stesso artista, che forse in qualche modo si è voluto sdebitare per le lezioni e la cura ricevute per due anni nella stessa Accademia dal suo maestro, dall’esempio del quale la stessa impostazione del quadro deriverebbe.

È abbastanza raro, me lo concederete, che un artista paghi il debito tributo a un maestro che risulterà per i posteri molto meno famoso di lui – pochi quadri italiani a cavallo fra Otto e Novecento possono essere messi a confronto, quanto a fama, al Quarto Stato di Pellizza – ed è ancora più raro che, spostandosi di appena qualche metro, del maestro in questione si possa vedere una prova che definirei semplicemente spiazzante. Una tela già imponente per le sue dimensioni, due metri e quaranta per un metro e mezzo, in cui due figure sono rese a grandezza naturale: parlo del Ritratto di Maria Gallavresi bambina con la madre di Cesare Tallone. Un quadro di fronte al quale non si può non sostare per alcuni minuti, non foss’altro che per la naturalezza fotografica con cui le due figure sembrano volersi rapportare e interagire con chi le contempla.

Tallone, allora. Ma chi era costui? Immagino che per la maggior parte dei lettori sia quel che si dice un illustre sconosciuto, benché abbia goduto in vita di una certa rinomanza, soprattutto fra Bergamo e Milano. Ecco qualche indicazione biografica, giusto per inquadrarlo: nato a Savona nel 1853, segue il padre militare a Parma e alla sua morte si trasferisce con la madre ad Alessandria, dove ad appena dodici anni entra nella bottega di un artista locale per poi iscriversi, sette anni dopo, all’Accademia di Brera, dove avrà come compagni di studio pittori in seguito acclamati come Previati e Segantini. Una tela a soggetto storico, come si usava all’epoca, presentata all’Esposizione annuale di Brera, sancisce il suo debutto nella società artistica e gli apre la strada del professionismo, portandolo a esporre poi anche a Roma e a Torino. Didatta appassionato, insegna alla Carrara dal 1884 al 1898 e a Brera dal 1899 alla morte, avvenuta nel 1919. Un artista solidamente accademico, si direbbe, e provinciale, non fosse per alcuni dettagli che ne ravvivano ulteriormente l’immagine: per esempio, l’amicizia con intellettuali e scrittori del suo tempo, da Ada Negri a D’Annunzio, da Sibilla Aleramo a Marinetti; poi, il valore degli allievi, fra i quali, oltre al citato Pellizza da Volpedo, vanno ricordati almeno Boccioni, Sant’Elia e soprattutto Carlo Carrà, che su di lui scriverà alcune pagine votate a un’ammirazione sconfinata. Del resto, gli allievi lo adoravano e ne ammiravano soprattutto lo sprezzo delle convenzioni: pare che, tanto alla Carrara quanto a Brera, in tanti anni Tallone si sia sempre rifiutato di redigere l’obbligatoria relazione annuale sul loro rendimento, che considerava un intralcio burocratico. Ma c’è dell’altro: in un’Italia che fino agli anni Dieci del ventesimo secolo vedeva le donne ancora escluse da qualunque formazione artistica, Tallone – accademico antiaccademico, bohémien anticonformista e liberale – aggira i divieti e crea, non senza scalpore, una scuola femminile nella sua dimora bergamasca di Palazzo Suardi. C’è da dire, a esser sinceri fino in fondo, che le donne gli piacevano molto: ai nove figli concepiti con la moglie Eleonora ne vanno aggiunti altri due, avuti da un’altra donna, Paola Bellati – che sua moglie più tardi e con un magnifico gesto accoglierà in casa -, quando Cesare era ancora studente. E le donne, soprattutto, sono l’oggetto o meglio il soggetto privilegiato della disciplina in cui, come dimostra il quadro esposto alla Carrara, Tallone eccellerà, ossia il ritratto.

Siamo nel periodo in cui la fotografia comincia a svilupparsi, e benché il portrait classico sia sempre di gran voga – a testimoniarlo bastino qui quelli richiesti a Tallone dai reali Umberto e Margherita – si avverte già, magari quale vaga minaccia, come prima o poi il ritratto fotografico finirà per soppiantare quello pittorico; è quindi ancor più interessante scorgere nel Ritratto di Maria Gallavresi (qui accanto) l’implicita risposta di Tallone ai nuovi tempi. Tanto per cominciare, l’eleganza dei personaggi ritratti non ha nulla di artefatto, ma sembra una conseguenza naturale della postura; gli atteggiamenti, e in particolare quello della bambina, che poggia il capo inclinato sulla spalla della madre, sembrano derivare da un atto spontaneo, non preordinato o richiesto dal pittore. La figura intera è resa senza cedimenti; la tappezzeria damascata della parete, in sé neutra, rinforza l’espressività dei due personaggi femminili, che con quello sfondo sembrano avere un rapporto di familiarità, appunto, borghese; la pennellata attenta e precisa permette a Tallone un’introspezione psicologica e un’attenzione ai dettagli, soprattutto nell’incarnato del viso e nello sguardo, che restano rare; colpisce infine la forza della luce da cui le protagoniste sono illuminate e messe in risalto, ancora una volta con apparente naturalezza. Scriverà in uno dei rari saggi dedicati ai ritratti di Tallone il critico Marco Valsecchi: “L’energica razionalizzazione pittorica ha evitato una galleria di personaggi imbalsamati, imponendo una pennellata rapida, sciolta e sicura.”

Per ottenere una fotografia di questa qualità, di questa profondità, sembra dirci insomma Tallone per il tramite delle sue due figure femminili, ce ne vuole, e ve ne accorgerete. Io proseguo per la mia strada e faccio il meglio che posso, poi si vedrà. E comunque… accomodatevi pure, tempi nuovi, e buona fortuna!

Facebooktwitterlinkedin