Alessandra Pratesi
A proposito del Leone d’Argento

Un tempo perduto

Al Roma Europa Festival gli Anagoor portano l’“Orestea” presentata alla 46° Biennale di Venezia. Una monumentale riflessione sui tempi antichi e sulla morte, sulla dimensione sacrale del teatro e sulla percezione del Tempo

Delle innumerevoli trilogie tragiche presentate in occasione delle Grandi Dionisie solo una è giunta a noi nella sua interezza: l’Orestea di Eschilo, ovvero l’Agamennone, le Coefore e le Eumenidi. Con compattezza ed integrità drammaturgica, narrativa e tematica le tristi vicende degli Atridi al ritorno di Agamennone da Troia sono state immortalate. La giostra del destino inintelligibile, del dolore e della vendetta, ha scritto con la storia degli Atridi una delle pagine del mito più sanguinarie. Clitennestra e l’amante Egisto ordiscono l’assassinio di Agamennone, animati da un desiderio di vendetta insanabile. Agamennone aveva sacrificato la figlia Ifigenia per consentire alla flotta achea di raggiungere Troia. Quel genere di azioni che una madre non dimentica. Atreo, il padre di Agamennone, aveva dato in pasto al fratello Tieste i figli, si era salvato soltanto Egisto. Quel genere di eventi che un bambino non dimentica. Nelle Coefore è un’altra la vendetta che si compie: Oreste ed Elettra, figli di Agamennone, tramano contro Clitennestra ed Egisto. Nelle Eumenidi, infine, il filone rosso sangue di ingiustizie vendicate trova un epilogo. La Giustizia eschilea abbandona le vesti della tradizione arcaica basata sul diritto di sangue per rimettere l’amministrazione dei reati nelle mani dell’uomo, nella forma di tribunali di giudici sorteggiati. Grazie all’intervento della dea Atena le terrificanti Erinni, divinità del rimorso e della colpa, si trasformano nelle benevole Eumenidi: il reoconfesso matricida Oreste viene assolto e un nuovo ordine morale e sociale viene inaugurato. Protagonista assoluto della trilogia di Eschilo è la Giustizia, nella sua forma arcaica come in quella rinnovata, secondo il punto di vista degli assassini come in quello di chi resta a piangere i cari defunti. L’Orestea è la tragedia di chi resta, non di chi muore.

Nell’ideologia occidentale, tuttavia, l’unicità e l’eccezionalità della trilogia eschilea la rendono depositaria di altri valori al punto da diventare un simbolo del teatro classico tutto. È il caso del collettivo Anagoor. Fondato nel 2000 da Simone Derai e Paola Dallan a Castelfranco Veneto, diretto oggi da Simone Derai e Marco Menegoni, con la costante collaborazione di Patrizia Vercesi, Mauro Martinuz e Giulio Favotto e il continuo apporto di nuove leve, nel 2018 vince il Leone d’Argento alla carriera. Proprio alla Biennale di Venezia 2018 presentano in prima nazionale Orestea. Agamennone. Schiavi. Conversio, a ottobre per due giorni nella capitale in occasione del Roma Europa Festival: un personalissimo percorso di riscoperta della dimensione sacrale del teatro antico. Nell’allestimento degli Anagoor, a ricevere la corona del protagonista è il Tempo di cui si analizzano i due volti, da una parte quello umano e terreno scandito dalla Morte che sola dà limite e valore al tempo cui agli uomini è concesso disporre, dall’altra il tempo ieratico, immobile, denso e intenso della ritualità arcaica (cui il teatro apparteneva). Nella scena di apertura, a luci spente sulla scena e in sala, Marco Menegoni pronuncia un monologo dedicato alla Morte in cui si susseguono affermazioni apodittiche e interrogativi retorici: «La morte non è un nascere alla rovescia», «Il morto è potente nella sua morte», «Esiste qualcosa di più potente della morte?». Una dichiarazione di intenti eloquente. Quattro ore di spettacolo per spronare il pubblico a percepire una diversa velocità dello scorrere del tempo, dilatato da gesti e parole in scena. Da sostanza inafferrabile, il Tempo si fa liquido pastoso e vischioso dalla cui presa non c’è via d’uscita.

La vicenda di Agamennone occupa la maggior parte dello spettacolo, mentre Coefore ed Eumenidi subiscono un processo di contrazione e revisione imponente. Per dirla con Anton Bierl, autore di L’Orestea di Eschilo sulla scena moderna, quella degli Anagoor è una messa in scena ‘antiaffermativa’ dove non ci sono le Eumenidi a garantire il lieto fine. A livello narrativo, l’ago della bilancia è tutto spostato sulla figura di Agamennone e sul ruolo della Morte; a livello scenico, invece, l’attenzione è incentrata sulla trasmissione di sensazioni psicofisiche forti. Il teatro si fa rito di trasformazione in cui le suggestioni sensoriali che arrivano al pubblico trapassano lo strato di epidermide per arrivare alle viscere. Succede attraverso la voce monologante e ipnotizzante di Menegoni, attraverso i suoni e le musiche scelte (dal Kindertotenlieder di Mahler agli effetti acustici), attraverso l’impiego di luci stroboscopiche, attraverso la plasticità degli attori che compongono statuarie processioni oppure attraverso le videoproiezioni in cui si alternano ora la cartina dell’Europa in fiamme, ora un bovino al macello, ora il lavorio del trapano elettrico che restituisce da un blocco di marmo la riproduzione dell’Apollo del frontone occidentale del Tempio di Zeus ad Olimpia. Se in un’antica Vita di Eschilo l’anonimo autore ci informa che le maschere delle Erinni risultarono così spaventose da indurre all’aborto le donne presenti a teatro, l’Orestea degli Anagoor non è da meno. I continui riferimenti al sangue e alla cieca violenza insieme alla paludosa stasi temporale cui è sottoposto il pubblico cooperano alla riproposizione e all’assorbimento di un senso di angoscia atavica e profonda. L’Orestea assurge a simbolo della classicità ritrovata. Si abbandona il bianco filtro dei marmi di Winckelmann a favore di ricche vesti policrome, si abbandona l’ideale apollineo di equilibrio a favore dello stato di esaltazione dionisiaca. Quando le luci in sala si riaccendono e si sostituiscono al «buio della morte» in cui il Teatro Argentina era sprofondato, la catarsi arriva potente insieme alla consapevolezza di appartenere a un mondo ormai irrimediabilmente diverso e tragicamente bisognoso di conferire nuovo valore al Tempo.

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