Lorenzo Carnevali
A proposito di "Urbineide"

Resistenze poetiche

Cinque amici a Urbino decidono di mantenere alta la voce della poesia: è il presupposto del libro di Umberto Brunetti. Comico, ironico, ispirato, avventuroso: insomma, poetico

Nel panorama, pur ricco e vario, della poesia italiana contemporanea non c’è posto per l’opera fuori dai canoni, stravagante nelle dimensioni, nel genere e nei propositi. Un malinteso dogma vuole che la poesia o è lirica o non è. Evidentemente non ha creduto a questo dogma Umberto Brunetti, il giovane e colto autore dell’Urbineide (illustrazioni di Diego Dari, Raffaelli Editore). E gioventù e cultura, vedremo, saranno fattori determinanti per comprendere ciò che la singolare opera mette in gioco.

Prendiamo in mano l’Urbineide: si tratta di un poema eroico in terza rima, diviso in quindici canti, settecentoventinove terzine, duemiladuecentodue versi in totale. Il poema racconta le avventure del foggiano Brunetto e dei suoi amici Zaffo, Alberto, Matteo e Monica, tutti studenti di lettere a Urbino: i cinque sodali, innamorati della letteratura e della poesia e perciò destinati a “francescana paupertate”, si impegnano nella missione nobile e disperata di “far resister la poesia”, cioè di dare un senso, letteralmente, ai propri studi umanistici, stritolati tra l’indifferenza del mondo e l’elitario sussiego dell’accademia. Per i cinque cavalieri della Poesia, insieme ad una miriade di compagni di strada e antagonisti più o meno buffi, comincia una quête fatta di letture, discussioni, mangiate pantagrueliche, sbornie, litigi, innamoramenti, autobus perduti, tentativi maldestri e ovviamente fallimentari di seduzione, un nevone epocale, caldo, parassiti, musica, delusioni ed entusiasmi. In mezzo a tutte queste avventure la pattuglia dei resistenti riesce a fondare una rivista letteraria (La Resistenza della poesia, appunto) e a reinventarsi compagnia teatrale credibile e con un solido repertorio. Dunque la missione di Brunetto e dei suoi può dirsi compiuta? Il poema non lo dice: il finale, sospeso tra ansia e speranza raffigura gli eroi ormai laureati alla vigilia del cimento più arduo, ovvero “far dei grandi classici cultura” insomma far diventare la passione un mestiere senza rinnegare la purezza della propria missione.

L’Urbineide è dunque un’opera complessa, ricca di virtuosismi e di sorprese: vi sono episodi di pura comicità, ad esempio il racconto delle prime prove della neonata compagnia teatrale (canto IX), o le avventure notturne tra i locali e i portoni di Urbino (memorabile la “Zaffata” del canto IV), ma soprattutto (nel canto XIV) il trasloco da una stanza infestata dalle cimici, in mezzo al celeberrimo nevone del 2012, trasportando su e giù per le scale anguste dei Collegi universitari la pesantissima tastiera elettronica di Brunetto: un pezzo di bravura degno delle comiche di Laurel & Hardy. Infine, con la catabasi negli Ipogei di Foggia del libro XII il poeta realizza un omaggio al genere epico/eroico che è anche un pretesto, ancora una volta, per raccontare le avventure esilaranti degli eroi letterati.

Coerente con la storia e gli intenti dell’autore la lingua è una curiosa e sapientissima miscela di elementi diversi tratti da tutti i registri della tradizione poetica italiana, arcaismi preziosi (XIV, 62 “semmane” per “settimane”), lessico contemporaneo e impoetico (IX, 85 “smadonnare”) piegato con sapienza alle esigenze del verso e della rima (IV, 1-3 “Karaoke” che rima con “voci chiocce e roche”), neologismi (I, 26 “letterandi”; I, 150 “squassacoglia”) e qualche inevitabile licenza (IX, 111 “e vergognammo nostra stolidezza”); naturalmente la base, il ritmo, i colori, i prestiti sono tutti danteschi. Ad aumentare nel lettore il senso di divertito straniamento l’apparato di note autoesegetiche che dialogano con il testo nella più pura tradizione della letteratura post-moderna (come non pensare, ad esempio, al migliaio e più di note che corredano Infinite Jest di David Foster Wallace?). Ma, come scrive Daniele Piccini nella prefazione al volume, l’Urbineide non è una semplice parodia, né tantomeno un lusus post-moderno. Non solo divertimento, dunque. Anzi a me pare che il poema di Umberto Brunetti sia piuttosto un romanzo di formazione en travesti, un seminario che discute in forma narrativa il problema di cosa significhi, oggi, essere giovani e voler vivere una vita in cui trovino ancora posto la letteratura, l’arte, il teatro e con essi l’amicizia, l’avventura, l’amore. Insomma un’esistenza piena, immune e lontana per quanto possibile dalla banalità del presente.

Credo che qualunque lettore curioso e mediamente appassionato possa identificarsi nella storia e nei personaggi dell’Urbineide proprio perché in essa vengono raccontati e trasfigurati i momenti decisivi della vita di ciascuno: non importa che siano le storie buffe e malinconiche di cinque ragazzi in una piccola università di provincia. È la poesia che, resistendo, le rende universali.

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