Testo e foto di Roberto Cavallini
L'occhio (esperto) sulle metropoli

Arte al muro

Si chiama "Superfici" il nuovo progetto del fotografo Roberto Cavallini per Succedeoggi: i turbamenti dell'arte contemporanea, da Fontana a Burri a Rotella, si ritrovano sui muri delle città

Sotto queste superfici ci sono ricordi. Comincio da “La vita agra” di Lizzani (1964) che ha condizionato sia il mio immaginario iconografico, sia la mia visione del mondo. Avevo quattordici anni quando vidi il film e la raffigurazione delle sorti magnifiche e progressive, quanto, al tempo stesso, disperanti dell’Italia di quegli anni sul calare del boom economico, con le grigie periferie milanesi, il rapporto sentimentale tra Giovanna Ralli e Tognazzi e il personaggio improbabile di Jannacci, “cantastorie” di osteria, hanno galleggiato nella mia memoria senza approdare da nessuna parte fino a che, quasi quindici anni dopo, leggendo una recensione della ristampa del libro Bianciardi, quei ricordi trovarono un appiglio. Comperai il libro e poi andai a cercare il film tra i VHS, lo trovai e trovai anche una sistemazione meno frammentata dei miei ricordi.

Quello che non ho ancora ritrovato purtroppo, perso tra gli scaffali, è un piccolo libro di poesie di Mario Socrate, che comperai pochi anni dopo (67?) da Remainders, a San Silvestro e penso fosse Roma e i nostri anni con in copertina la riproduzione di un’opera di Vespignani; avevo comperato il libro perché l’immagine mi aveva colpito.

Mi pare di ricordare o forse voglio ricordare, che in quell’incisione fosse rappresentata la prospettiva di via Pacinotti col ponte di ferro ed il gazometro sullo sfondo, insomma archeologia industriale prima che fosse archeologia, quando era ancora industria. Un mondo in bianco e nero, di fumi, di nebbie, di superfici rugginose, tagliate, bruciate, screpolate, graffiate, incise, tutte immagini vaganti nei ricordi di adolescente, accumulate senza saper bene allora che volessero dire, ma comunque messe da parte, per un sentore, anzi con la certezza di un loro imponderabile significato.

Il colore, le bruciature, le opposizioni cromatiche, le spaccature, altre trasfigurazioni dall’arte erano nei libri ed altre erano ben custodite alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Lì scoprii anche la op art, con le geometrie di bianchi e di neri che mi ricollegavano alle fotografie della swinging London, che non era solo minigonne, ma anche A hard day’s night e (I can’t get no) Satisfaction, un po’ classe operaia e un po’ insoddisfazione esistenziale, generazionale.

Ora Burri, Fontana, Vespignani, Mondrian, Pollock, Rothko, Klee, l’informale, la op art, la pop art, un po’ a ritroso e in disordine, i fauvisti, l’espressionismo tedesco, Modigliani, i manifesti strappati di Mimmo Rotella, Schifano e il cubismo e il futurismo e il divisionismo e l’astrattismo del secondo dopoguerra, chissà quanti altri che dimentico o che non conosco si sono trasferiti sui muri, sono metalli contorti, erosi, frammenti di muri, confini cromatici, accidenti delle superfici. Io cammino e li vedo esposti ma non in bella mostra, ne intuisco la presenza, li devo cercare perché è vero che sono copiosi, ma bisogna anche che cammini senza fretta e che spesso mi fermi, per guardare da vicino, perché è nelle pieghe, nelle frazioni di pochi centimetri quadrati che si manifestano i cretti, i tagli, le sgocciolature, le sfumature, gli accumuli di colore.

Sì, mi sembra proprio che siano andati tutti lì, si siano effettivamente trasferiti, dalle gallerie sui muri (anche alla GNAM è stato cambiato il nome) e, chi per un verso e chi per un altro, stanno lì a ripetere che, quello che mi avevano detto allora, era tutto vero.

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