Giuliana Vitali
Un inedito su devozione e disperazione

La processione

«Arrivano all’ingresso del retro della chiesetta da dove una ventina di uomini, vestiti con tuniche bianche e mantelli rossi e blu, portano fuori la grossa croce di legno porpora insieme al baldacchino della Madonna e quello del Cristo in croce»

Trascina la sedia verso di sé e una volta girata, ci cade sopra a gambe aperte, appoggiando poi i gomiti sullo schienale di plastica.

– Tu lo sai dove abito? – fa l’uomo, con lo sguardo fisso sul ragazzino seduto di fronte a lui. Quello fa solo un cenno con la testa, continuando a giocherellare con il cordone del saio bianco stretto ai fianchi.

– Luisella, portami una birra piccola. – ordina, voltandosi verso il bancone, intanto che si sistema la visiera del cappello da cowboy che prima gli copriva gli occhi piccoli e scuri come sassolini di granato.

– E allora? – si rivolge di nuovo al bambino mentre da lontano un rombo sempre più intenso di motociclette si appressa alla strada principale del paese, proprio verso il Gran Caffè della piazza.

– Non lo so. – dice con timidezza, allentando il nodo al collo della mantellina rossa e poi spostando lo sguardo sulla piccola cicatrice a forma di ferro di cavallo sulla caviglia scoperta.

– Dopo la casa di Don Raffaele, scendendo giù al bosco… – il rumore di motori cessa d’improvviso. Lanciano un’occhiata verso la porta a vetro, osservando le moto parcheggiate in fila sul marciapiede, i ragazzi che si sfilano tute e caschi. Qualcuno si sporge dal muretto di tufo, mentre la luce comincia a fiammeggiare sul castello novecentesco dell’altura. Luisella appoggia la bottiglia appena aperta sul tavolino, in mezzo ai due, strizzando l’occhio al ragazzino.

– Ma nel bosco mica ci sono case.

– Ti ho detto che ci sta la mia. Lo sai che di notte sento i lupi che graffiano sulla porta? – tracanna il primo sorso di birra e si slaccia appena il cinturone che gli preme sullo stomaco gonfio.

– Amitrà, e smettila ché gli metti paura! – esclama Luisella che intanto passa con minuziosità la pezzetta umida sul bancone con quelle mani scolorite, le chiazze bianche sui dorsi fino al polso – e tu Mimì, vatti a preparare per la processione ché tra poco inizia. – continua, e si sofferma a strofinare una macchia di liquore sciroppato che, ostinata, non va via.

– Luisè, ci vediamo dopo? – interviene l’uomo, riagganciando la fibbia della cintura all’ultimo foro.

– Vedi di non dare spettacolo come domenica scorsa che hai vomitato sulle scarpe del parroco…

Il ragazzino scappa fuori, fermandosi davanti al cavallo nero di Amitrano che sta legato alla panchina vicino all’altarino della Madonna, quello più piccolo del paese. Con la mano gli tocca il muso bagnato e quello inizia a fare su e giù con le zampe, battendo gli zoccoli sui sanpietrini.

– Ti ci porto io in chiesa, sali su. – fa l’uomo, slegando le redini.

– Guarda chi ci sta! Oggi a quante bottiglie stai, Amitrà? – schernisce il vicesindaco mentre entra sghignazzando nel bar. Lascia la corda a Mimì e subito va dietro a quell’altro a passo svelto. Fruga nei jeans, adesso il cappello è di nuovo sceso più giù della fronte. Caccia cento euro accartocciate nel pugno e le butta sul bancone insieme a qualche moneta, davanti allo sguardo curioso del vicesindaco che si tasta il nodo largo della cravatta.

– Cento euro se bevo la bottiglia di vodka tutta in un sorso.

– Un’altra cazzata delle tue. Stai ubriaco…

– Cento euro. – insiste. L’altro ha già i polpastrelli delle dita che battono accanto ai due pezzi da cinquanta. Senza dire una parola, Luisella afferra la bottiglia ancora sigillata dallo scatolone sotto al tavolo della cassa. Gliela allunga sul bancone, si volta per caricare la lavastoviglie con le tazzine sporche di caffè e quando si abbassa la coda dei capelli le sbatte sulla guancia molliccia. Amitrano con gli occhi puntati su quelli del vicesindaco inizia a ingollarsi il liquore dalla bottiglia, tenendola al collo tra l’indice e il pollice. La boccia si è quasi svuotata, il cappello gli scivola dalla testa cadendo per terra. Dopo, si asciuga la bocca con il dorso della mano che poi allunga verso l’altro che lo guarda disgustato. Chinandosi con la schiena, acchiappa il copricapo dalla corona e lo ripone sulla testa mentre, sbarellando, si dirige verso l’uscita.

– Sei pazzo? Così lui si innervosisce! Si monta da sinistra, capito?

Le braccia di Mimì subito scivolano dalla nuca del cavallo su cui si stava arrampicando e, togliendo il piede dalla staffa, ritorna giù, immobile sulle gambe sottili coperte di nuovo dal saio. Con uno scatto, Amitrano sale sul cavallo e porgendo il grosso bicipite al ragazzino, lo aiuta a montare e si piazza davanti a cavalcioni, afferrando le redini insieme a lui. Tirano le briglie e l’animale comincia a trottare sulla via stretta dove ai lati le persone aspettano con impazienza il passaggio della processione.

– Amitrà, statti accorto alla macchina con quel coso, ché me l’ammacchi! – esclama uno, abbassando il vetro del finestrino. Attraversano la porta vecchia della città, di fronte alla ripida scalinata che porta al campanile dove la campana suona a festa. Arrivano all’ingresso del retro della chiesetta da dove una ventina di uomini, vestiti con tuniche bianche e mantelli rossi e blu, portano fuori la grossa croce di legno porpora insieme al baldacchino della Madonna e quello del Cristo in croce. Mimì e Amitrano si mescolano alla calca, mentre, nel vicolo, il cavallo nero fa ombra ai seni di Maria raffigurata sullo stendardo, tirato su con le corde da quattro anziani.

– Datemi la croce, aiutatemi. – dice Amitrano, appoggiando il cappello sulla sella di pelle consumata e scoprendo la testa calva con i pochi capelli lunghi, tinti di marrone che gli scendono sulle spalle dritte e un po’ arrotondate. Mimì si avvicina agli altri bambini, ma prima impugna la lancia di plastica di un metro più alta di lui che sta addossata al muretto e fiero, adesso, la tiene stretta tra le due mani. Ogni tanto alza la testa per guardare la punta argentata, corruccia la fronte e gli occhi quando la luce riflessa, per qualche attimo, gli annebbia la vista. La marcia del Corpus domini parte e a guidare, davanti, c’è il parroco con il microfono e un libricino di suppliche mentre dietro, il contadino Don Raffaele tiene il bastone con i due megafoni incollati alla punta. I bambini al centro, prima della grossa croce che Amitrano tiene alta, con al lato il suo cavallo che gli viene appresso. Scendono sulla viuzza accanto alla scalinata del campanile, attraversando il dedalo di vicoli che si alternano tra salite e discese. L’uomo con la croce rallenta il passo, quasi si ferma incontrando gli occhi severi del suo animale e il piccolo scorcio di una stradina cieca che si affaccia sulla vegetazione macchiata di una luce violacea. Gronda sudore dalla fronte, le goccioline negli occhi mentre le scarpe dalle punte impolverate scricchiolano sopra al terriccio sdrucciolevole. Si accosta al cavallo e si asciuga sfregando le guance sul pelo nero, lucido.

– Oh, stai bene? – domanda Mimì, e quello risponde di sì con voce rauca, il fiato appesta l’aria che ora puzza di alcol. Arrivano all’incrocio con il corso principale del paese, proprio all’angolo del Gran Caffè. Intorno, tutti si azzittiscono e quando oramai il cordone è sulla strada, le vecchie gli vengono dietro ripetendo a cantilena le parole del sacerdote. L’enorme croce di Amitrano ondeggia a destra e a manca, mentre lo sguardo curioso del pubblico resta fisso sui bambini vestiti da soldati di Gesù Cristo e poi sulla bestia che si è appena staccata dal padrone cominciando a trottare verso il bosco.

– Amitrà, guarda che l’amico tuo se ne è scappato! – esclama uno dal mezzo della folla, con l’indice puntato sulla bestia.

– Dove vai? Oh! – grida Amitrano che sbanda alzando la testa di scatto e la croce cade indietro prima con lentezza, poi tutta d’un botto. Proprio in quell’istante il tintinnio lento della campana si ferma facendo echeggiare ancora più chiaramente il bastone orizzontale che scende a martello fino a conficcarsi in qualcosa di molle rumoreggiando come in un colpo sordo.

– Mimì! Mimì! Fatti vedere! – urla Luisella che, uscita dal bar, si scaraventa tra la gente con le braccia aggrovigliate attorno alla croce che in bilico su un lato pare ancora più grossa. Cerca tra i visi dei ragazzini raggruppati sul marciapiede insieme alle vecchie che li spingono a inginocchiarsi e a pregare. All’improvviso gli occhi si fermano su un angolo di strada e tra le sagome del parroco e di Don Raffaele, incrocia lo sguardo di Amitrano che subito abbassa la testa e inizia a baciare i piedi minuti e stanchi del bambino disteso per terra e le lacrime, la saliva scendono tra le dita, sulle caviglie. Luisella si fa largo tra la folla con le braccia, ha un attimo di esitazione al secondo colpo della croce che adesso è immobile e quieta sul selciato accanto al corpo bianco di Mimì a cui il prete ha appena chiuso gli occhi con i polpastrelli. Il pigro vociare della gente attorno si fa sempre più veloce insieme allo scalpitio degli zoccoli del cavallo in lontananza fino a srotolarsi nel silenzio quando la bestia scompare tra le fronde al sopraggiungere della sera.

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