Raoul Precht
Periscopio (globale)

Gli spettri di Böll

A cent'anni dalla nascita, lo sguardo impietoso di Heinrich Böll sull'uomo incapace di dirsi la verità è quanto mai attuale: siamo sempre più un mondo popolato di esclusi

Alla letteratura, soprattutto da ragazzi, ci si avvicina spesso per scossoni e illuminazioni improvvise. Uno dei miei ricordi più vividi è l’impressione profonda che suscitò in me adolescente la lettura di un racconto intitolato Die Waage der Baleks (La bilancia dei Baleks). Per chiarire: frequentavo la Scuola tedesca, e il racconto figurava nell’antologia che compravo alla storica (e rimpianta) libreria Herder di Montecitorio; antologia di cui divoravo, nei primissimi giorni di scuola o ancor prima che la stessa cominciasse, i testi (prosa e poesia) che mi sembravano più promettenti. Quel racconto, forse perché piuttosto lungo, l’avevo invece trascurato; e fu quindi una sorpresa ancora più grande quando, a un certo punto dell’anno scolastico, lo leggemmo in classe. A cena, quella sera, contrariamente alle mie abitudini ne parlai con i miei genitori, tanto ne ero rimasto impressionato, e mi sfuggì anche, ricordo, una parolaccia, che però ben sintetizzava il senso del racconto e i motivi della mia indignazione: ovvero, per dirla con termini meno crudi di quelli che adoperai all’epoca, che il mondo è un luogo dove l’ingiustizia e la violenza regnano sovrane.

L’autore di questo racconto era uno scrittore a me ovviamente sconosciuto di nome Heinrich Böll, di cui negli anni immediatamente successivi avrei letto praticamente tutto. Nato cent’anni fa, il 21 dicembre 1917, era uno scrittore ferito e feroce, come avrei presto scoperto, bravissimo nel descrivere – in romanzi che oggi sembrano montati e strutturati male, ma che erano dotati di un’indubbia efficacia – la Germania dell’immediato dopoguerra, tra le speranze generate dal miracolo economico e l’incapacità di fare i conti con il proprio terribile passato. Più volte è stato detto che di questa Germania Böll è stato la coscienza, una coscienza scomoda, da tacitare; così come più volte ne è stato sottolineato il presunto moralismo, leggendolo in termine dostoevskiani; ma se era un moralista, allora bisogna anche precisare che il suo era un moralismo, come sosteneva Mittner, “perplesso nel giudicare” e semmai interessato a comprendere e interpretare il mondo in tutte le sue sfaccettature. Malgrado l’apparente semplicità stilistica, che nasconde un’acribia documentaristica e un’estrema precisione fin nel minimo dettaglio, nell’universo che descrive Böll non c’è infatti nulla di semplice o di scontato. A partire da Der Engel schwieg (L’angelo tacque), scritto fra il 1949 e il 1951 e pubblicato postumo nel 1992, ma che comincia simbolicamente l’8 maggio 1945, giorno della capitolazione della Germania hitleriana, e da Und sagte kein einziges Wort (E non disse nemmeno una parola, 1953), impietosa radiografia dell’infelicità del soldato tedesco rientrato dalla guerra e incapace di reinserirsi nella società, Böll si dimostra l’ultimo degli scrittori realisti, tracciando un’analisi rigorosa e terribilmente veridica degli spettri che agitavano la società tedesca del secondo dopoguerra.

Da quel momento in poi i protagonisti dei suoi romanzi, come ricorda Christa Wolf, saranno degli esclusi, persone schiacciate dagli oneri di un’ascesa sociale ed economica di cui spesso non condividono i presupposti e i valori.

Con Ansichten eines Clowns (Opinioni di un clown, 1963) Böll descrive per esempio un eroe irrisolto e vagante, vittima della perfidia che alligna anche e in primo luogo nella sua Colonia, città cattolica per eccellenza; la scelta della maschera di clown diventa allora l’unico modo possibile di sopravvivere, in un’alienazione irrimediabile vissuta come reazione a un mondo reale in grado di pervertire anche la fede e la religiosità più genuine.

L’impegno a un tempo religioso e anticlericale di Böll è proprio una delle caratteristiche che certo non lo rende meno indigesto ai contemporanei, e in particolare agli intellettuali: ecco quindi che da sinistra lo si attacca per la religiosità – esemplari le polemiche interne al Gruppo 47 dopo che nel 1951 lo stesso gli aveva conferito un premio – da destra (soprattutto la destra cattolica e reazionaria della sua città) gli si rimprovera l’anticlericalismo, tentando di farne un eretico e quasi un antisociale, una specie di francescano in ritardo sui tempi, che sono (non lo dimentichiamo) tempi di una resurrezione economica forzata, senza tentennamenti e soprattutto priva di scrupoli. Già nel precedente Billard um halbzehn (Biliardo alle nove e mezzo, 1959), in cui condensa le vicende di tre generazioni, Böll aveva del resto messo in scena il conflitto fra l’uomo libero, agnello sacrificale di una società spietata, e l’opportunismo di chi ha saputo riciclarsi nella nuova economia acquisendo potere e influenze come sotto il vecchio regime.

Un altro suo testo al quale vorrei dedicare qualche riga è un romanzo fra i meno famosi, dal titolo Ende einer Dienstfahrt (Termine di un viaggio di servizio, 1966): anch’esso, letto a scuola, mi fece una profonda impressione e contribuì a rafforzare il mio antimilitarismo. È una descrizione spietata e anche un po’ perfida delle conseguenze del riarmo tedesco e della creazione di un esercito la cui caratteristica principale è quella di essere completamente sprovvisto di senso; descrizione che peraltro si iscrive perfettamente nella cornice generale, quella di una Germania sempre più provinciale, in cui la vita scorre monotona e insulsa.

Nel 1971 esce Gruppenbild mit Dame (Foto di gruppo con signora) in cui Böll esemplifica nella vita della protagonista Leni – anche in questo caso appoggiandosi a un’impareggiabile ricostruzione documentaria – il destino dell’intera nazione dagli anni Venti ai Settanta.

L’anno successivo, in un frac preso puntigliosamente a nolo, Böll riceverà il premio Nobel per la letteratura; nel discorso tenuto in quell’occasione sottolinea come la poesia non sia mai, per sua stessa natura, un privilegio di classe e prende partito contro i concetti di “Abfall” e “Abfälligkeit”, contro il fatto cioè che si possano considerare certi settori della società o certi popoli come rifiuti della storia. Quanto al ruolo dello scrittore, è qui paragonato al fornaio che cuoce il pane e all’ingegnere che costruisce ponti; e queste del fornaio (per la semplicità, l’immediatezza e l’assoluta necessità del suo prodotto) e del costruttore di ponti (per la sua capacità di unire) sono le metafore che di Böll meglio definiscono le intenzioni.

Con il passare degli anni, scriverà in seguito, sempre più indignato, “il nostro passato si allontana sempre di più dal punto in cui avrebbe potuto essere affrontato”. E questo vale tanto per la Germania che non sa ancora denunciare l’eredità nazionalsocialista quanto per il resto d’Europa, e in particolare per quello che era allora il blocco dei paesi dell’Est, dove Böll aveva peraltro un seguito enorme: non è un caso che sia tra i pochi in Occidente a protestare nel 1968 con forza e senza alcun sottile distinguo contro l’invasione della Cecoslovacchia, né che nel 1974 sia proprio lui a ospitare, nella sua casa delle Ardenne, il profugo Alexander Solženicyn, espulso dall’Unione Sovietica, al quale lo legherà una lunga amicizia.

Negli anni bui del terrorismo, con il suo pacifismo, la risoluta discesa in campo al fianco di Willy Brandt contro l’eterna CDU adenaueriana, l’abbandono della Chiesa cattolica – ma non della fede -, Böll metterà il dito su tutte le piaghe di una società rimasta essenzialmente antisemita, che a questo sentimento profondo e ineliminabile aggiunge ora un anticomunismo bieco e cieco, fomentato nell’opinione pubblica dai giornalacci della catena Springer e da molti politici, soprattutto di quella CDU che nei suoi confronti alimenterà una campagna d’odio e diffamazione, denunciandolo come un fiancheggiatore del terrorismo e opponendosi persino, nella sua città natale, al conferimento della cittadinanza onoraria. Alla fabbrica del fango Böll risponde con veemenza, attraverso articoli, prese di posizione e un lungo racconto come Die verlorene Ehre der Katharina Blum (L’onore perduto di Katharina Blum, 1974), che mette alla berlina proprio i dubbi modi di procedere di certa stampa a sfondo scandalistico e anticipa l’attuale dibattito sulle cosiddette fake news. Che sono però sempre esistite, e sono sempre state usate con disinvoltura da chi detiene il potere e i mezzi economici, cosa di cui Böll a suo tempo fu tra i primi a fare le spese.

Per dirla con Marcel Reich-Ranicki, un critico che certo dello scrittore non era un ammiratore incondizionato, Böll aveva una capacità d’osservazione unica e un intuito fenomenale per quelle situazioni grazie alle quali l’attualità sale al proscenio e diventa immediatamente visibile. Aggiungerei che aveva anche la capacità di far risaltare, con mezzi narrativi apparentemente semplici, lo scandalo e la follia di una società ormai inguaribilmente ispirata alla menzogna, e su di essa modellata.

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