Nicola Bottiglieri
Oltre la paura del "diverso"

I migranti di Riace

I due meravigliosi bronzi di Riace rappresentano una metafora perfetta dell'emigrazione, oggi: la testimonianza di un viaggio nel quale l'umanità rigenera se stessa e la propria cultura

Le fotografie più diffuse che raccontano dei milioni di emigranti italiani che partivano per le Americhe raffigurano donne e bambini seduti su valigie di cartone, occhi lucidi, il volto straziato dal dolore della separazione, aria di tristezza e di miseria. Se invece il fenomeno lo si astrae dall’esperienza individuale e lo si vede nella sua totalità, allora esso non può essere ricondotto ad una sola fotografia ma ha bisogno di una vasta metafora letteraria o meglio ancora di un simbolo potente. Metaforicamente, quindi, il fenomeno migratorio può essere descritto come un fiume impetuoso che dall’Italia si è riversato nel nuovo mondo, una primavera fiorita sull’altra sponda dell’oceano, e simbolicamente come un faro la cui luce di civiltà ha illuminato il nuovo mondo. Non a caso sul Gianicolo a Roma, ogni sera da più di un secolo si accende un faro alto venti metri regalato all’Italia dagli emigranti in Argentina nel 1911, nell’anniversario dei 50 anni dell’Unità d’Italia.

Quando oggi rifletto sul fenomeno dei migranti che su barche, gommoni, zattere e ogni tipo di imbarcazione attraversano il Mediterraneo e si riversano sulle nostre coste penso alle fotografie e ai servizi dei telegiornali che mostrano uomini annegati, cadaveri raccolti in neri sacchi di plastica, bambini piangenti e scafisti criminali che come sciacalli usano questi disperati per arricchirsi. Se invece devo usare una metafora per indicare questo fenomeno allora penso a un intenso suono di tamburi che rullando sulle acque arriva sulle coste dell’Europa ed invade le strade e le piazze delle città, a una pioggia di colori accesi, ad un vento di sorrisi, a un formicaio frenetico e laborioso che costruisce il suo nido lontano dai luoghi dove li ha partoriti la formica regina, ma anche a un nero pitone africano che insieme ai suoi pitoncini ingoia la pallida Europa. Ma se devo pensare a un simbolo potente mi vengono in mente soprattutto i bronzi di Riace.

Che cosa sono i bronzi di Riace? Statue di bronzo del V° secolo avanti Cristo, che furono trovate nel mare nel 1972 ed ora sono esposte al Museo di Reggio Calabria. Le tappe della loro storia misteriosa è molto simile a quella dei migranti che dall’Africa vengono in Europa. Come i migranti che giungono in Europa, le statue sono l’avanguardia di altre migliaia di statue forgiate in Grecia che ornavano templi, strade, palazzi. E sono giunte in Italia, perché i romani erano soliti fare razzie delle sculture dell’antica Grecia, come è successo nel secolo XIX e XX con razzie di ogni tipo fatte dagli europei nel continente nero che hanno destrutturato le società indigene. E se le razzie dei romani spesso si concludevano con un naufragio, lo stesso è successo agli italiani naufragati più volte nei paesi che essi volevano colonizzare.

ritrovamento Bronzi di RiaceLe due statue raccontano di un ritrovamento casuale ma soprattutto di una riscoperta, perché nel momento in cui i resti del naufragio sono stati ripuliti di tutte le incrostazioni di conchiglie, alghe, sabbia e molluschi, solo allora hanno potuto dimostrare la loro stupefacente bellezza. Sempre mantenendo nel corpo i segni del doppio naufragio, quello del tempo e quello del mare: un occhio che manca, una mano vuota, il metallo corroso, l’assenza delle altre statue che li accompagnavano, il contesto nel quale erano inseriti. Lo stesso succede con i migranti, che nel momento in cui riescono ad inserirsi nelle società europee, riversano nei luoghi di lavoro la loro cultura africana. Fenomeno che è già successo nelle Americhe, dove nelle nazioni con presenza africana sono fioriti: musiche come il jazz, poeti come Derek Walcott, scrittori come Langston Hughes, insieme ad altri mille modi di pensare nuovi ed originali. Del resto cosa sarebbe la “cultura americana” – sia quella degli Usa sia quella dell’America Latina – senza l’apporto africano?

Tanto le statue di bronzo quanto il flusso dei migranti sono figli del mare e del tempo, arrivati sulle nostre coste dopo mille razzie, avanguardia di un popolo che preme alle loro spalle, frammenti di un mondo più grande di loro, di cui sono avanguardia inconsapevole. In ogni caso, guerrieri privi di armi le statue, guerrieri del lavoro i migranti, che usano le mani per vangare qualsiasi terreno, le gambe per camminare qualsiasi strada.

Un’altra esperienza che li accomuna è quella di scontrarsi con un paese straniero, intercettare nuovi sguardi, ascoltare nuove voci, abitare nuovi spazi, insomma vivere una nuova vita. Infine, in comune hanno la costante esperienza con la morte. I soldati da sempre convivono con la morte, come i migranti lo hanno fatto ad ogni passo del loro viaggio. L’errore che abbiamo fatto fino ad ora è stato quello di considerare le statue fatte di bronzo e gli africani fatti di carne, dobbiamo imparare a fare il contrario: le statue sono carne viva, infatti con tutte le cure di un corpo fragile sono trattate, ed i migranti sono fatti di metallo puro, capaci di resistere ad ogni urto della vita, ed in questo modo violento nel nostro mondo sono trattati.

Da un po’ di tempo, quando vedo un servizio in televisione dove scorrono immagini di migranti naufragati, vedo tanti piccoli bronzi di Riace che attraversano il mare e vengono verso di noi, galleggiando sui loro scudi come piccole barche, alcuni affondano, altri sopravvivono. Quelli che toccano le sponde si riuniscono e come un esercito in marcia si mettono a costruire il nuovo volto dell’Europa. È già successo in America, succederà anche da noi.

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