Nando Vitali
A proposito di “Orfanzia”

Pinocchio all’inferno

Athos Zontini racconta una storia di infanzia negata, di conflitto insanabile tra la libertà di un bambino e le regole del mondo dei grandi. Ma, dietro la favola, c'è un apologo sulla fantasia negata

La cronaca, principalmente televisiva, di tutti i giorni, propone spesso casi di sparizione di bambini. Un fenomento purtroppo che tocca corde talmente sensibili sul punto di spezzarsi. Nel suo romanzo di esordio (Orfanzia, Bompiani editore, pp. 222, Euro 17,00), Athos Zontini, affronta questo tema da un punto di vista specialissimo, dove chi desidera scomparire per non dover crescere è il bambino.

Fin dalla copertina (uno specchio nero) il tema dell’identità violata, e della fiaba crudele appaiono nel modo enigmatico di una foresta intricata da attraversare dal momento in cui si viene al mondo per illusione d’amore.

Il protagonista, semplicemente, si rifiuta di mangiare per il timore di essere poi divorato dai suoi genitori. In questa trazione fra lui e i genitori, la storia tende i nervi della narrazione, essenziale, ma nello stesso tempo ricca di interrogativi per il lettore. Lo porta con una musica iterativa che scarta d’un tratto in note laterali, costringendolo a una lavoro di lettura obliqua. Fuori dal rigo, per così dire, per tentare di capire cosa c’è dietro a quella strana fobia infantile. Quale mistero cela questo bambino senza nome in lotta coi genitori, il mondo che li alimenta, e un se stesso nascosto che, invece, si adeguerebbe, verrebbe a patti con quel mondo di adulti fatto di menzogne e convenevoli borghesi… Il cibo è solo la metafora, una colla che tiene insieme pezzi di una crescita irreale, non certo autodinamica, ma costantemente cancellata dal prurito borghese del perbenismo.

cover-zontiniCosì da un lato il bambino che arranca opponendosi con tutte le sue forze alla normalizzazione del cibo, dall’altro i genitori che tentano di ingozzarlo per farlo diventare un “ometto” (ricordate Pinocchio e la fata buona dai capelli turchini?). Ma nel mondo di Zontini, l’inferno è ovviamente lastricato di buone intenzioni. Non risparmia nemmeno Lucifero, alias Lucio, amico temporaneo “politicamemte scorretto”. Una sorta di Lucignolo, potremmo dire, che tenta di portare il bambino sulla strada di una propria autodeterminazione (una coscienza politica? Ebbene sì). Con azioni malvagie, naturalmente, e scherzi al limite del criminale. Ciononostante anche Lucifero finirà divorato dal sistema genitoriale, cioè una madre strega che di lavoro fa la fruttivendola. Insomma il perbenismo vince con l’esca delle merendine e le prescrizioni del pediatra orco che visita l’Inappetente.

Nel romanzo, il mondo dell’infanzia appare in tutta la sua brutale mescolanza di bene e male. L’educazione alla vita è spesso umiliante, omologante fino alla perdita dell’identità.

Athos Zontini è anche un noto sceneggiatore. Il sincronismo e l’esattezza dello stile, la parola cronometrata, sono il grimaldello del mestiere che si fa braccio per il talento. Come finirà questa fiaba? Verrà infine davvero divorato il bambino? L’anniversario di compleanno quale segreto svelerà?

La lettura a volte è la spasmodica attesa del finale. È il caso di questo bel romanzo di orfani e infanzie tormentate. Un’allegoria di oggi dove i riti di iniziazione, sovente, passano dalle pareti domestiche lasciando strisce di vomito e sangue, ma “scolari perfetti”.

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