Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Due passi a Elea-Velia

Continua l’omaggio all’archeologo Mario Napoli a quarant'anni dalla morte. Questa volta con il racconto in versi di Giorgio Bassani in visita all’acropoli riportata da Napoli alla luce nel 1964

Come anticipato sabato scorso, “Every beat of my heart” pulserà per quasi un mese su uno dei grandi capolavori dell’arte e uno dei luoghi di ebbrezza spirituale e mito, la pittura greca o magno greca Il Tuffatore di Paestum. E sul suo scopritore e interprete, il grande archeologo Mario Napoli. Oggi una poesia su un’altra importantissima scoperta di Napoli, la Porta Rosa, nella città di Velia da lui riportata alla luce. Curiosa coincidenza: la battezzò “Rosa”, per l’impasto inconfondibile di pietra e luce che creano uno splendore fermo, tenue, rosaceo. Combinazione, ripeto, combinazione: la moglie di Mario Napoli, peraltro figlia di un grande archeologo, si chiamava e si chiama Rosa.
La poesia è di Giorgio Bassani, magnifico romanziere italiano, autore di opere memorabili, come Il giardino dei Finzi Contini e altre. Un grande narratore (di cui ricorre il centenario della nascita) che fu anche poeta. Intenso, segnato nel verso dal passo narrativo, sempre necessario nella cultura poetica. Giorgio Bassani giunge a Velia, l’Elea di Parmenide, grazie ad Alfonso Gatto che lo presenta a Mario Napoli. Lo scrittore dell’epopea padana dei Finzi Contini vi arriva con la sua compagna («alta e bionda e straniera e di roseo sangue») e rimane incantato dall’epopea mediterranea raccontata dalle pietre della città magnogreca disvelata in quegli anni proprio dal «bravo ospite Soprintendente». La sintonia, quasi una sorta di complicità che si legge in questi versi, tra Giorgio Bassani e Mario Napoli è spontanea, sono «diversamente impuri italioti» ambedue.

 

porta-rosa

La Porta Rosa

Quando mi rimproveri di non occuparmi nei miei libri

che di Ferrara e del territorio immediatamente limitrofo

Reno e Po a sud e a nord non osando io varcarli che di rado e di straforo

e l’Adriatico ad est non facendocela in pratica

a giammai raggiungerlo

 

dovresti ricordarti della nostra gita dell’estate scorsa alle rovine

di Velia

di come t’era piaciuto camminare accanto a me e al bravo

ospite Soprintendente

alta e bionda e straniera e di roseo sangue tu pura

fra noi due diversamente impuri

italioti

incantata in ascolto mentre salendo adagio verso la matematica

fulgida Porta parmenidea ritta sopra la cima

del colle giusto a

cavallo

 

venivamo noi uomini favoleggiando insieme degli aristocratici

coloni greci per secoli e secoli

lassù sopravvissuti in faccia al deserto del Tirreno incistata

asciutta stirpe carnivora di intellettuali sdegnosi d’intrattenere

 

rapporti con le plebi aborigene dell’entroterra

lucano

– tutti bassi costoro e di corte gambe nonché di grandi

deretani da divoratori d’amidacei e di

carboidrati –

che non fossero rigorosamente pratici e affatto

funzionali

superbamente beati essi dal primo all’ultimo della loro

perfetta solitudine

 

Come t’erano piaciuti i nostri discorsi come

ti sentivi tu pure greca partecipe in qualche modo e

depositaria

tu pure di un’aurea lingua particolare ed esclusiva

da adoperare esclusivamente fra rari eguali quasi divini dinanzi agli sbalorditi

umidi occhi nerissimi del semiservile

contadiname circostante

e come invidiosa anche e gelosa apparivi – così dichiarandomi

nel solito stile tuo che tuttora

m’ami –

 

del fatto che l’ellenica Porta suprema alla cui fresca ombra frattanto

nemmeno troppo affannato il trio nostro mirabile oramai ristava

l’eccellente archeologo l’avesse – non appena accadutogli

di restituirla intatta al bel sole e all’azzurro dell’antico privilegiato

straniamento ausonio –

battezzata Rosa – come spiegò – dal nome dell’ancor giovane sua

sposa conscia consorte negli studi congeniali e madre

dei suoi figli!

 

Non lasciarmi solo a scavare nella mia città a resuscitare

grado a grado alla luce

ciò che di lei sta sepolto là sotto il duro

spessore di ventimila e più giorni

è là Rosa mia mia Regina che io sono giovane e bello e puro

ancora

là l’esclusivo padrone e signore per sempre il solo

Re

Giorgio Bassani
(Da Epitaffio, Milano, Mondadori, 1974;
nell’immagine di apertura: Teresa Maresca, particolare dal “Tuffatore)

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