Leone Piccioni
Omaggio al grande artista

Burri e la “Ginestra”

Una retrospettiva al Guggenheim di New York e un libro di Leone Piccioni che inaugura l'attività editoriale di succedeoggi nell'insostituibile mondo della carta stampata... Ne anticipiamo un brano

Si apre oggi al museo Guggenheim di New York una grande mostra dedicata ad Alberto Burri nel centenario della nascita: “Alberto Burri: The Trauma of Painting” (fino al 6 gennaio 2016). Per i nostri lettori anticipiamo alcuni brani del libro “Burri e altri amici”, una raccolta di ritratti di Leone Piccioni appena edito da Succedeoggi.

Quando ho conosciuto di persona Alberto Burri, per la prima volta? Non lo ricordo di preciso, ma di quell’incontro ci sono tante cose che mi entrarono in mente e non me ne sortiranno mai. Una dozzina d’anni fa, credo, e sapevo di lui, qualche cosa avevo visto della sua pitturaavevo forse capito qualcosa appena del suo temperamento così intensamente e drammaticamente innovatore, sapevo dei contrasti, delle irrisioni che si erano determinate attorno al suo nome e co­me i riconoscimenti più grandi gli fossero quasi subito venuti dalla Francia e dagli Stati Uniti: il pittore dei “catrami”, delle “muffe”, dei “sacchi”, degli “stracci”, dei “gobbi” (tele montate con dei supporti interni al telaio per offrire al lavoro del pittore anziché una superficie piana, un andamento convesso, gibboso, al contrario del “cratere”, collinoso, rigonfio), dei “crateri”, e poi delle “combustioni”, dei “ferri”, delle “materie plastiche” usate, penetrate, gonfiate come bubboni, come umane, fisiche piaghe radiologicamente accertate; il pittore medico delle ferite sanguinanti, e delle ferite rimarginate, ricucite tutte sul sacco con geometrico gusto inventivo; il pittore che esaltando a materia pittorica ogni materia “vile” dichiarava, con capacità immediata di risoluzione lirica, il suo giudizio sul presente, sul mondo d’oggi destinato agli uomini di questi anni. Senza mai forzature polemiche – si badi bene – senza pretesa di messaggio forzato, ma con la schietta semplicità di un uomo libero e sano intellettualmente, giunto alla pittura e alle arti senza nessuna formazione o incrostazione accademica, anche se con il senso della storia e del corso della pittura, delle arti, della cultura attraverso i tempi. Non per nulla umbro, nato a Città di Castello…

burri copUn artista, Burri, senza l’esistenza del quale sarebbe forse vano ricercare oggi l’esistenza di quasi tutta una clamorosa (clamore, dico, nel senso suo preciso di rumore) stagione pittorica americana, a partire da Rauschenberg, il quale – guarda caso – prima di vedere a Ro­ma nel ’53 la pittura di Burri, dipingeva in tutt’altro modo, e che poi, certo, ha seguitato a guardare quel che Burri via via ha fatto nelle tante mostre internazionali alle quali ha partecipato. E ancora? Quando ho visto fisicamente Burri, per la prima volta, il pittore che ha fatto dire tanti anni fa a Ungaretti una frase che suonava press’a poco così: «L’effetto di choc che da giovane ho provato a contatto con la pittura di Picasso (erano gli anni attorno alla guerra del ’15 a Parigi), provo ora da vecchio di fronte alla pittura di Burri.»? Con le sue quotazioni internazionali (uno dei pochissimi artisti italiani entrato – ed entrato subito – in un vero e ampio mercato internazionale) assai alte e certamente destinate – a parte sporadici episodi di fittizie regolamentazioni del mercato delle arti, talvolta manovrato come se si avesse a che fare con titoli di borsa – a crescere ancora.

RossoBurri aveva allora uno studio dalle parti di via Salaria: a pianoterra, o forse, scendendo, quasi in uno scantinato, assai piacevole del resto e luminoso, Mi ci portò Bona De Pisis ed era con noi Ungaretti. Burri stava lavorando, nero di capelli e di baffetti… : era il tempo dei “sacchi”, dei rossi, rosse ferite a taglio, nel “sacco”: un effetto certo sconcertante; in ogni caso turbava, e ti faceva sentire la passione, la forza di presagio di quel lavoro, di quell’impegno dolente, e mai compiaciuto, mai tendente a risolversi in eleganza o decoratività. Pittura, tanti che se ne intendono assai più di me hanno detto a sua lode, volontariamente sgradevole, con uso di materie vili anche per colpire e respingere il gusto borghese medio: posso confessare di non aver capito che più tardi l’importanza della lezione di Burri (quasi unico nel suo campo di ricerca, con tanti imitatori di comodo alle spalle), eppure mai ho trovato sgradevole o respingente la sua pittura: mi pare di aver subito capito, invece, che stavo assistendo, forse senza ben comprendere, a un fatto drammatico e importante, come a un transito, a un “atto tragico”, che riguardava anche me, di persona, che avrebbe prima o poi coinvolto il mio modo di pensare e di intendere il grado di partecipazione solitaria (ma tuttavia solidale) con il mondo d’oggi.

… Quei quadri, i personaggi, la musica, l’am­biente, furono per me indimenticabili. Perché, malgrado gli ingredienti sommariamente descritti, era clima familiare, semplice, vorrei dire schietto, legato alla terra, senza sofisticherie, con le aperte risate di Burri, le sue poche parole, ma le idee semplici e precise, la sua forza diretta di comunicazione umana (come l’ho sperimentata, fino a legarmi di grande affetto, di subitanea amicizia verso di lui), pur dopo una sorta di iniziale diffidenza, come di un uomo abituato a soffrire, abituato a patir delusioni, disposto ad esprimersi solo, e di­rettamente, con il suo lavoro. Racconta Brandi: «Le due sole volte che si lasciò indurre a dire qualcosa era per affermare che le parole non gli servivano a niente, e che quello che aveva da dire, lo diceva con la pittura. Una seconda volta interrogato, rispose ugualmente che le parole non lo aiutavano affatto se tentava di parlare di pittu­ra, e che per lui la pittura era un’irriducibile presenza che rifiutava di essere tradotta in altra forma di espressione. Sicché poteva dire una sola cosa, che la pittura per lui era libertà raggiunta, costantemente consolidata, sorvegliata con vigilanza così da tirarne fuori la possibilità di dipingere ancora». Dunque non per distruggere volon­tariamente o irridere – io credo -, solo per dare testimonianza, per aiutare gli altri a capire.

CrettoQuando provo a cercare un paragone letterario al lavoro di Bur­ri (e c’è chi invoca Sartre, la vena europea, e vuol respingere l’even­tuale vena di ricerca americana da altri citata), senza neppur tentare paralleli d’attualità o sociologici, penso alla Ginestra, e penso come da quel monumento di poesia, dedicato alla desolazione della crosta della terra, alla sorte dell’uomo condannato all’infelicità, tuttavia Leopardi riesca a far sortire un grido di solidarietà, un messaggio per la confederazione tra gli uomini perché reagiscano, insieme si aiuti­no, allevino la sorte che il presente loro propone. L’eguale, penso, ri­sulta dall’opera di Burri: dalla visione della carne piagata, e della crosta della terra (certi suoi sacchi – è stato detto – somigliano a visioni aeree dall’alto), dalle bruciature, e dalle ferite, dalle materie vili, esce allo stesso modo uno slancio di solidarietà e d’amore.

1967

(tratto da “Burri e altri amici”, edito da Succedeoggi)

 

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