Simonetta Milazzo
Una mostra da non perdere

L’arte è natura?

Il Museo Bilotti di Roma rende omaggio a Claudio Palmieri pittore e scultore: un artista che ha sempre cercato la luce nel buio e «l'anti-naturalismo nella natura». In un continuo gioco di contrasti

Trenta anni di attività. Claudio Palmieri li celebra con una mostra antologica “a tema” e il Museo Bilotti di Villa Borghese a Roma la ospita, con ingresso gratuito, fino al 12 aprile 2015. “NATURAL-MENTE”, questo il titolo, è un’ampia selezione di sculture, pitture e fotografie che tracciano un percorso che si snoda in un esauriente complesso tematico, denso di sapienza e sperimentazione, un itinerario che l’artista romano propone alla nostra visione.

Mi viene in mente, a tale proposito, l’esortazione di Giuseppe Ungaretti in una conferenza del 1933, rivolta a pittori e poeti, romanzieri e scultori, quando li invita a «leggere l’invisibile nel visibile». Penso che Palmieri abbia raccolto in qualche modo il messaggio e sollecita il pubblico a liberare i propri sensi e a indagare sotto la superficie; lui dice «a vedere nel buio», convinto che si possa comunque dare immagine anche a ciò che non appare immediatamente allo sguardo.

Torniamo al tema: quale natura ci presenta? La sua non è quieta, né amabile, ma neppure minacciosa; è d’invenzione, ma reale e credibile, composta di minerali, materie e forme organiche. Palmieri interpreta svariati elementi presenti in natura: cieli, ambienti, grandi paesaggi, singoli “oggetti”, di cui interpreta l’energia vitale che vi sottende; componenti a volte segnate dal trascorrere del tempo, nel loro trasformarsi ma originate insieme al mondo. Una natura simbolo universale dell’esistenza cosmica e dell’eterno ciclo di vita e morte, come se l’artista andasse oltre il tempo conosciuto per darne testimonianza.

Claudio Palmieri TRITTICOEcco perché realizza il contenitore Metro cubo di mare nel 1992, con ferro e ceramica smaltata; le stesse componenti adopera nel 1993 per concentrare in un parallelepipedo un Cratere, in cui raccoglie magma informe. Memorie come continui, insistenti rimandi a elementi ormai fossili; e proprio Fossile, del 2012, si intitola un’opera multimaterica su tavola, in polistirene e smalti; ma anche Rosa fossile del 2010, tecnica mista realizzata su metallo o anche Tracce fossili del 2013 e ancora Lago fossile, in cui favorisce una suggestione veramente raggelante.

Claudio Palmieri si esprime nelle forme pittoriche, scultoree, della fotografia e anche della musica; non si accontenta dei caratteri propri di ciascun linguaggio: se è pittura non è solo pittura nel senso di pigmenti, ma acidi, cera, smalti. Sperimenta di continuo, instancabile.

La visita all’antologica non rivela apertamente affinità e parentele artistiche; difficile dire da chi può essere stato influenzato, anche se molti critici lo hanno, negli anni, accostato a pittori attivi in varie epoche e dunque gli poniamo direttamente il quesito. Palmieri ama sottolineare la lezione del suo maestro al Liceo Artistico di via Ripetta, Mino delle Site, il pittore futurista che gli è stato accanto ispirandogli la curiosità e di cui ha imitato la velocità di esecuzione, l’eclettismo e il piacere del fare. Per il resto, racconta, «guardo ai maestri», a Turner e al suo «spazio a vortice», ad esempio. Si sente artista rinascimentale per amore e insieme in lui è vivo il desiderio di attingere a una dose di Barocco, doverosa per un artista di stirpe romana come inconfondibilmente lui è.

Lo ha scoperto Fabio Sargentini all’Attico, e con lui è stato sodalizio costante. Nel 1986 ne conferma doti e versatilità la Biennale di Venezia che lo invita a esporre. Talmente è solida la sua preparazione – ha iniziato a lavorare duramente dall’età di 16 anni a far crescere la sua passione per l’arte – e coerente la sua ricerca, che ama dedicarsi anche a «virtuosismi»; è convincente nella leggerezza applicata a trattare le velature di Fluorescenza,  in cui crea suggestioni visive mediante l’uso di pigmenti fluorescenti affondati  in campo nero. Un impiego antinaturalistico del colore che è al tempo stesso “esalazione” di colore vitale, schietto e pungente in questa come in tutte le altre simili opere in mostra, fosforescenti nell’oscurità.

Claudio Palmieri ALBERO BIANCOPalmieri muta di continuo il processo creativo, si accosta alle piante e compie dei veri prelievi dal vivo; raccoglie fili d’erba per imprimerli direttamente nel pigmento e imprigionarli sotto pellicole di cera naturale. Asporta foglie di felce – una delle piante più antiche affacciatesi al mondo, di cui è particolare anche la riproduzione per spore – invogliato anche da quella forma e da quella struttura così fortemente connotata: architettura e geometria, razionale e emozionale. Questa è la sfida che l’artista raccoglie per sentirsi libero e uscire dalle «gabbie» del vivere contemporaneo. Forte della capacità di saper dosare le sue esperienze, «campiona» strutture, soprattutto di forma triangolare, le isola e le ritrae nelle rappresentazioni floreali e arboree. Sono allora fusti e chiome come «ventagli» semichiusi carichi di pittura; il buio intorno e la luce concentrata sull’albero, fusto generato dalla terra e rami protesi verso l’alto. Sono gli alberi dipinti nel 1985, grandissime tele con i rossi scarlatti ma anche il «perlaceo» Albero bianco del 2014, posto nella sala “a giorno”, quella che si affaccia sullo storico Ninfeo, al quale l’artista ha voluto rendere omaggio ponendovi Cascata, opera recentissima  realizzata per questa occasione espositiva.

Quando Palmieri si pone dei «confini»? Non sembrano esserci esitazioni nella sua voglia di anticipare, così nelle intuizioni espressive come nei linguaggi. Sulle tele, sulle tavole o su qualunque superficie impiegata per accogliere le stesure o i tratti veloci o i gesti controllati, non sembrano esserci neppure limiti spaziali; solo metaforicamente forse, proprio in tre sculture ospitate al cospetto del Ninfeo che sono Glaciale, Trono e Ninfa. Opere in ferro, alluminio e smalti: superfici metalliche strette e costringenti – due alte pareti lisce – all’interno delle quali l’artista imprigiona un coagulo di magma che preme, lucido e riflettente, nell’atto di scaturire con sforzo dalla restrizione imposta.

Assai suggestive le immagini fotografiche cui ricorre Palmieri per dare conto ancora una volta di una realtà che non intende nascondere né edulcorare: la sua raccolta – nel caso dei fiori di bignonia di un cupo color arancio, recisi, in parte decomposti – è simile a un antico erbario, alla maniera delle stampe a matrice naturale del XV secolo, quando la rappresentazione doveva essere assolutamente fedele alla natura.

Il percorso della mostra non segue un andamento cronologico per precisa volontà dell’artista, che vuole in questo modo testimoniare il suo costante interesse – oggi come ieri – per le espressioni del flusso vitale che sempre lo hanno ispirato. L’antologica è accompagnata dal catalogo pubblicato per l’occasione dalla Campisano Editore; lo ha curato, come pure la mostra, Ilaria Schiaffini, che firma il saggio introduttivo insieme ai contributi di Fabio Sargentini, Claudio Spadoni e Flaminio Gualdoni.

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