Teresa Maresca
All’origine della creazione artistica

Il segno di Lucy

Incontro con Bruno Renzi, psichiatra esperto di medicina Ayurvedica, per indagare, tra intuizione e rivelazione, la data di nascita dell’arte. A partire dalla Sistina della preistoria, la grotta di Chauvet…

Definire il professor Bruno Renzi non è cosa facile, almeno non lo è dal punto di vista di una definizione tipica, comoda. Psichiatra, pregresso dirigente del dipartimento di Salute mentale presso l’Ospedale Universitario Luigi Sacco di Milano, attualmente coordinatore del centro per i disturbi da stress lavoro correlati, e molte altre qualifiche eccelse di questo tipo; ma quello che mi ha portato da lui è la parallela lunga serie di specializzazioni che partono dalla medicina psicosomatica, passando per la sua docenza presso la Maharishi International Vedic University fino al trattamento dei disturbi psichiatrici nel campo della medicina Ayurvedica. Però occorre che io faccia un passo indietro.

Da sempre sono affascinata dall’arte rupestre preistorica, e in particolare da alcune grotte, tra le più belle quella di Altamira o Lascaux. Cavalli viola, bisonti, esseri umani dipinti sulle pareti con grande perizia. Ma dopo aver letto e studiato tutto quello che la paleoantropologia ha scritto sull’argomento, ero arrivata a un punto morto. Lo studio di stones and bones, come è stata definita questa scienza con una notevole sintesi, è di nascita recente. Deriva da una costola della più antica antropologia e studia i resti fossili di uomini e ominidi, quindi le ossa (bones) ma anche il clima, le credenze religiose, la cultura materiale (stones, pietre, come i ciottoli lavorati e appuntiti che servivano per la caccia e per intagliare utensili). Dalla sua nascita, la paleoantropologia ha dovuto cimentarsi con problemi molto discussi, quali la datazione dei reperti. Poi è passata a questioni più interne e interpretative, ad esempio si è posta il problema del motivo del seppellimento dei morti, attività certo complicata in epoca preistorica. Una delle conclusioni più condivise sembra coincidere con la nascita del senso del sacro presso le piccole comunità di ominidi, che dunque seppellivano i propri morti invece che lasciarli allo scempio delle bestie e del tempo.

chauvet 2Esaurita la questione, da pochi anni si studiano le pitture rupestri in relazione al bisogno di comunicare, di ingraziarsi la caccia o di celebrare un rito magico. Sì, perché alcune grotte presentano delle immagini di uomini che volano, o che si stanno tramutando, raffigurati a metà tra l’uomo e l’animale. Gli ultimi studi accettano l’idea che esistesse la figura dello sciamano, guaritore ma anche, stando alle pitture rupestri, capace di andare in trance e di assumere la forma di animali. A questo proposito esiste un saggio che ha fatto storia tra gli studiosi, The mind in the cave di David Lewis Williams e Jean Clottes, dove per la prima volta viene messa in relazione l’arte rupestre di alcuni siti di nativi americani e la pratica dello sciamanesimo. È qui che la mia ricerca si è bloccata. Essendo un pittore, quello che mi attrae è l’elemento evidentemente artistico tra tutti gli altri segni dell’arte rupestre che arte in senso stretto non sono.

La grotta di Altamira in Spagna, del Paleolitico Superiore, circa quindicimila anni fa, presenta dei grandi bisonti realizzati col nero di un pezzo di carbone e col rosso di alcune polverizzazioni di ciottoli ferrosi. Sono talmente belli che Picasso, guardandoli per la prima volta, disse che dopo Altamira l’arte era solo decadenza. Ma quella che mi entusiasma davvero è una sorta di Sistina della preistoria: è la grotta di Chauvet, in Francia, e risale a ben quarantamila anni fa. Una delle grandi pareti, più di due metri e mezzo di lunghezza, contiene molte figure di leonesse, disegnate nell’atto della caccia, tutte con la testa rivolta verso la stessa direzione e con le vibrisse del muso bene in vista. Studiando queste figure mi ero resa conto che esiste una visibile, evidente differenza tra alcuni graffiti o pittogrammi, utilizzati per comunicare specifiche esigenze dei nostri antenati (come tenere il conto di animali o oggetti, ingraziarsi il dio della caccia o decorare imprimendo le mani su una parete) e altri segni che non hanno alcun senso comunicativo ma solo artistico; che insomma le leonesse della grotta di Chauvet, disegnate con grande abilità da un ignoto artista di 40 mila anni fa, sono bellissime e sono state create con un’intenzione né magica né comunicativa, ma prettamente artistica.

Ma allora, se il seppellimento dei morti inaugura la nascita del senso del sacro, se l’immagine volante metà uomo e metà pantera identifica la presenza dello stregone sciamano, quando inizia l’avventura dell’arte? Il punto morto era proprio questo, non riuscire a capire quando potesse essere nata la specializzazione per l’arte nel cervello del nostro antenato, quanto indietro si potesse ipotizzare di andare, oltre gli esempi fortuitamente scoperti come le grotte di 40 mila anni fa. Cioè, l’australopiteco femmina Lucy, vissuta centomila anni fa, sognava, immaginava, pensava già come un’artista?

bruno-renziPer un caso, anch’esso fortuito, ammesso che il caso esista, come direbbe lui stesso, ho conosciuto il professor Renzi. Chi meglio di lui avrebbe potuto tirarmi fuori da questo punto morto? Chi meglio di uno studioso che concilia studi e pratica psichiatrica con l’antica medicina ayurvedica e la fisica quantistica?

Professor Renzi, partendo dalla struttura cerebrale, si può andare a ritroso nella sua specializzazione fino a ipotizzare una data di nascita per l’arte, così come si tenta di fare per il senso del sacro, l’homo religiosus, o per la nascita del linguaggio?

«Non è una questione di tempo. Noi non pensiamo in termini meccanicistici; il cervello integra tutte le sensazioni esterne, le elabora, ne aggiunge altre provenienti dal suo interno, ma questo è ancora un livello meccanico. La mente non è biologica, come vorrebbe un approccio organicista. La nostra memoria non è spiegabile in termini biochimici. E qui è la fisica quantistica ci viene in aiuto, perché il progresso scientifico, aperto a nuove prospettive, parte dalle intuizioni sulla relatività di Einstein per arrivare a nuovi modelli cosmologici. Einstein era convinto che alla base dell’esistenza cosmica e di tutte le leggi di natura esistesse una struttura unificata dalla quale ogni elemento potesse emergere sul piano relativo. Poi le scoperte fisiche sono arrivate a ipotizzare un campo unificato di tutte le leggi di natura che è alla base della nostra stessa coscienza.

La fisica oggi ipotizza l’esistenza del Campo Unificato e indaga sulle sue qualità attraverso un linguaggio matematico; il lagrangiano è un insieme di equazioni matematiche che descrivono le qualità del Campo unificato quali, immortalità, infinita creatività, autoreferenza, infinito potere creativo, infinito potere di armonizzazione, perfetto equilibrio, infinita beatitudine, infinita correlazione, infinito dinamismo, illimitato, infinito silenzio, pura conoscenza, infinite potenzialità evolutive».

Penso al verso di Dylan Thomas: «La forza che guida il fiore/ attraverso il suo stelo/ guida la mia verde età…». L’uomo e il fiore spinti dalla stessa forza. Thomas aveva intuito che ogni essere è parte di un’unica struttura, che nelle minime parti si assomiglia, anche all’interno dell’unicità di ogni essere…

«L’arte e la poesia non sono piccoli campi d’indagine. Questa nuova riorganizzazione della conoscenza, oltre a offrire nuove integrazioni tra le conoscenze filosofiche, religiose e scientifiche, rappresenta la base culturale dell’uomo del terzo millennio, un uomo che grazie al sapere scientifico riscopre il valore primario della coscienza, base originale di ogni forma esistente. L’intuizione di una dimensione unificata, di una matrice primordiale è basilare per chi lavori sulla memoria, sia a livello psichico che artistico. Nel campo morfogenetico dell’umanità esiste la memoria filogenetica degli esseri umani, ed è lì che si possono recuperare, attraverso appropriate tecniche cognitive, le esperienze e i dati, ad esempio, sulla preistoria. Certo l’umanità segue precise linee evolutive, ma nel “divenire di una eternità immutabile” quando essa appare nei suoi albori, ha in sé in potenza tutto ciò che sarà in un eterno presente. Copresente».

chauvet 3Come nella cosmogonia africana, in cui coincidono vivi, antenati e bambini non ancora nati. E si può ipotizzare che l’arte non sia una specializzazione del pensiero, che sia piuttosto una sorta di archetipo, nato con l’essere umano o ominide che dir si voglia, e la sua non-origine antica è là, da qualche parte, copresente attorno a me . Anche Burnt Norton dei Quattro Quartetti di T.S. Eliot sembra andare nella stessa direzione, con quella che sembra una profezia: «Il tempo presente e il tempo passato/ sono forse presenti nel tempo futuro/ e il tempo futuro contenuto nel passato./ Se tutto il tempo è eternamente presente/ ogni tempo è irredimibile».

«Certo. Nella scienza estesa, l’indagine della conoscenza include le peculiarità del flusso di intelligenza creativa che si manifesta nelle varie espressioni umane, come poesia e arte. Possiamo ipotizzare l’esistenza di un mondo immaginifico esteticamente attraente, fantasmaticamente sottile fatto di dimensioni luminose e sonore che non raggiungono la nostra consapevolezza. Ciò che esiste è il riflesso luminoso di ciò che è in potenza».

Anche il mito della caverna di Platone, il mito della conoscenza, ci è rivelato proprio in questi esatti termini. Se Platone fosse vivo oggi sarebbe un fisico quantista…

«Forse. Nella tradizione vedica sono descritte le tecniche che consentono di condurre la consapevolezza di colui che rivolge il proprio sguardo all’interno, verso gli stati più sottili dell’esistenza, fino a una fonte unica della conoscenza, in un continuo palesarsi nella coscienza individuale del gioco della divina bellezza nella danza tra intuizione e rivelazione».

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