Pier Mario Fasanotti
Esce «Lettere al generale X»

La pace secondo Saint-Exupèry

Tradotti e pubblicati per la prima volta in Italia una serie di preziosi scritti di Antoine de Saint-Exupèry sulla guerra. E sulla perdita di memoria bambina che produce la violenza

Fino a oggi inediti in Italia, arrivano in libreria dei nuovi, preziosi testi di Antoine de Saint-Exupèry, aviatore e scrittore, nato a Lione nel 1900 e morto nel Mar Mediterraneo, abbattuto durante un volo di ricognizione tra Sardegna e Corsica. Qualcuno ha accennato all’ipotesi di un suicidio. Ma il mistero dell’autore de Il piccolo principe (1943), trasformato dagli americani in un best seller mondiale (tradotto in 250 lingue), venne sciolto da Horst Rippert, pilota della Luftwaffe. Questi, dopo così tanti anni fornì la sua versione, in una sorta di imbarazzo emotivo: vide quell’”F-5”, più in basso, e decise di abbatterlo. «Quando ho saputo di chi si trattava – confessò – ho a lungo sperato che non si trattasse di lui». Antoine, per il “Piccolo principe” e anche come autore di brevetti importanti per l’aviazione (congegni sull’atterraggio), era noto in Germania.

Ecco la verità svelata dopo 64 anni, che lascia presupporre un travaglio lungo del solito tedesco che obbedisce agli ordini, evitando il perché. Domanda: se l’avesse riconosciuto, avrebbe fatto tacere la mitraglietta? Basta davvero guardare negli occhi il “nemico” per astenersi?

antoine de saint-exupery3Questo è uno dei temi delle pagine di Saint-Exupèry (Lettere al generale X, edito da Piano B, 147 pagine, 12 euro). Il suo è un ragionamento, complesso e toccante sul senso della guerra. Un “senso” che non dovrebbe esserci, nella sua insanità e nella sua forza distruttiva dell’intera civiltà europea. Superbo l’incipit, non solo letterariamente: «Per guarire da un’inquietudine, bisogna chiarirla. Certamente noi viviamo nell’inquietudine. Ma abbiamo scelto di salvare la pace. Nel salvare la pace, abbiamo mutilato gli amici. È fuor di dubbio che molti di noi erano disposti a dare la vita per i doveri dell’amicizia, ma adesso provano una specie di vergogna. Ma se avessero sacrificato la pace ora conoscerebbero la stessa vergogna, perché allora avrebbero sacrificato l’uomo: avrebbero accettato l’irreparabile crollo della biblioteche, delle cattedrali, dei laboratori d’Europa. Avrebbero accettato la rovina delle sue tradizioni, lasciando il mondo trasformarsi in una nube di cenere. Ecco perché abbiamo oscillato da un’opinione all’altra. Quando la pace ci sembrava minacciata, scoprivamo la vergogna della guerra. Quando ci sembrava di essere risparmiati dalla guerra, sentivamo la vergogna della pace».

Saint-Exupèry invitava a «riprenderci e cercare il motivo di questo disgusto». È la profonda contraddizione dell’uomo, che l’aviatore esamina, anche in maniera contorta e trasversale, ben sapendo che non esistono parole per risolvere l’enorme e fatale dilemma (tema che si ripresenta in questi mesi, in Europa e in Medio Oriente). Le sue sono riflessioni maturate anche quando faceva il “postale” Parigi-Buenos Aires, città nella quale trovò l’amore della sua vita, un’aspirante pittrice, tuttavia più volte tradita: ed ecco ancora l’uomo a metà, tremendamente scombussolato nelle proprie case quando vede «gli uomini ammassati per ascoltare Hitler… si vedevano già ammucchiati nei vagoni merci, poi distribuiti dietro a qualche arnese d’acciaio, al servizio di quella fabbrica che ormai è diventata la guerra».

A Madrid osserva le vie dell’Arguelez, «le cui finestre» sono simili a volti «con gli occhi cavati». Si sgretola l’invenzione del domani, sfuma il senso delle lenzuola. L’aviatore di Lione spiava il crollo inesorabile dell’«invenzione del domani, quei sostegni che tutti avrebbero potuto credere eterni…, mentre le bombe cadevano silenziose…e invece nella notte erano ribaltati come delle benne, riversando il loro carico nella voragine». E ancora l’apparente inservibilità delle parole: «Non voglio indignarmi per questo, quello che qui manca è la chiave di un linguaggio».

antoine de saint-exupery2Entra in ballo il concetto di patria, «parola un po’ pomposa». Saint-Exupèry cerca di superare l’emozione di un’ora, di un giorno, di una settimana: «Ne abbiamo abbastanza di questa retorica sul corso pigro della Loira, sul volonteroso contadino francese e sul miracolo di La Fontaine». Scatta l’accusa: «Vi servite sempre di vecchie urne vuote». Così come non si limita alla “pazzia” di Hitler, come spiegazione universale del precipitare del “senso”, e con esso, della civiltà. Come dire: le bombe micidiali caddero anche in Germania, là dove uno spartito di Mozart viene magari buttato dalla finestra per poi trasformarsi in un grumo di polvere e di ghiaccio, insomma il sublime che diventa un sasso cui dare, inconsapevolmente, un calcio. Il travaglio è infinitamente profondo: «Ci si batte contro le tenebre per l’evidenza che semplifica il mondo. E ci può anche battere per verità opposte, perché due verità possono alla fine semplificare il mondo e risolvere contraddizioni». La Francia, per lui, non è solo un «meraviglioso miscuglio» di tradizioni e fatiche quotidiane, ma anche «un certo modo di pensare».

Viene in mente una delle sue frasi più celebri: «Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». E pure un’altra, risalente al periodo giovanile: «C’è una cosa che mi rattristerà sempre, ed è di essere diventato grande». C’è, egli annota in queste pagine, lo sgomento per brutalità non così appariscenti, eppure basilari: «Costruiamo il recipiente, versiamo il liquido, ma dimentichiamo il fermento. Il tino è ammirevole ma non succede niente dentro». Ditemi voi se questo denso lamento non sia gravemente attuale quando oggi si parla delle nuove generazioni o semplicemente sullo stato depressivo di ogni persona che fa una fatica tremenda ad aspettare il sorgere di un sole pulito e rassicurante. Già: a quale ora l’astro si eleverà nel cielo cupo, pesante, cinereo?

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