Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Vacanze a Minorca

Javier Marías ha la capacità di scrivere un romanzo in 20 pagine, per questo la raccolta dei suoi “sguardi” è imperdibile. Brunella Schisa nello svelare il segreto di una famiglia napoletana scende nel ventre della città partenopea con esattezza documentaria. Infine, un viaggio nel folklore argentino

Sguardi – Questa mirabile raccolta di racconti potremmo definirla “Marías prima di Marías”. Nel senso che la prosa di Javier Marías, uno dei più valenti scrittori europei (e a mio avviso da candidare al Nobel), risale al 1990 e ha una struttura lessicale parzialmente diversa rispetto a quella usata negli ultimi suoi romanzi. Giustamente il Nouvel Observateur annota: «Nello spazio di dieci o venti pagine, Marías riesce a scrivere un romanzo»., che ha tradotto tutti i suoi romanzi, ci regala oggi questa collana di sguardi (Mentre le donne dormono, 190 pagine, 14,50 euro) a completare la parabola letteraria dello spagnolo che con Un cuore così bianco ha mutato registro accentuando molto un modo di scrivere, splendidamente ossessivo sui dettagli, che può a tutti gli effetti costituire un unicum stilistico.

MariasNel racconto che dà il titolo alla raccolta, un uomo madrileno, in vacanza a Minorca con la moglie Luisa, si diverte a osservare i bagnanti. È miope e preferisce analizzare il mondo in costume da bagno attraverso la griglia del cappello di paglia della consorte. «Si dà per scontato» fa dire l’autore al protagonista «che le conversazioni e persino le confidenze estive non debbano portare da nessuna parte». Però sa bene che in futuro gli mancheranno quelle memoires. Che commenta a bassa voce con la moglie. Per esempio su un turista inglese – e a questo punto la stoccata inferta ai britannici è velenosamente condivisibile – «che a ogni momento diceva la sua sulla temperatura, la sabbia, il vento e le onde, con tale enfasi e magniloquenza come se ogni volta stesse enunciando una profonda massima o un aforisma lungamente meditati». E ancora: «Quell’uomo aveva la caratteristica, sempre più rara, di credere che tutto sia importante, tutto ciò che proviene da se stessi, come dire, aveva la caratteristica di ritenersi unico».

Poi c’è la volta di un cinquantenne baffuto e grasso (di Barcellona) che passa il tempo a riprendere con la telecamera la sua ventenne fidanzata, che si crogiola al sole. L’uomo non smette di fissare il suo bel corpo in ogni suo dettaglio (seni abbondanti, inguine depilato, bocca perfetta eccetera). Una sera il protagonista, che non riesce a dormire, lascia il letto matrimoniale, s’affaccia al balcone ed è attratto dal dilettante cineasta, che se ne sta meditabondo su una sedia a sdraio nel giardino dell’hotel. Parlano. Lo raggiunge. Il madrileno è curioso e fa domande. L’altro, senza più baffi, spiega che la telecamera sempre in funzione gli serve per esaltare la sua “adorazione” verso la sua Inés alla quale ha dedicato tutto il suo tempo, modificando le sue abitudini (è un avvocato), sin da quando lei era tredicenne. Specifica: «Non è fissazione, è adorazione». Aspettando la maggiore età della giovane, ha attraversato le sue stagioni vivendole davvero, «ascoltando i dischi che ascoltava lei, imparando giochi, guardando molta televisione e tutte le pubblicità di tutti gli anni, so anche le sigle». Sì, ma perché questa «vita esistenza infanzia parallela alla mia e poi un’esistenza adolescenziale» durata sedici anni? Risposta sbalorditiva: «Piuttosto che ammettere la fine della mia adorazione, la ucciderei… è di una logica stringente». Marías scende nel profondo, con straordinaria intelligenza (elemento chiave per apprezzarlo come autore) e fa dire al cinquantenne: «Ha senso che io la uccida per quello che ho spiegato… nessuno rinuncia alla forza della propria vita se ha un’idea abbastanza chiara di come vuole passarla, e io ce l’ho». Dubbio del protagonista: e se Inès fosse già stata ammazzata? Il taglio dei baffi è un indizio? Per rispetto dei lettori non rivelo, ovviamente, il finale del racconto.

 

SchisaNapoli – Storia di una famiglia, di una città (Napoli, dove l’autrice è nata) e di un segreto indicibile (e noi lo non diciamo, ovviamente). Questa la rozza sintesi del romanzo di Brunella Schisa (giornalista a Roma), fine saggista e narratrice (La scelta di Giulia, Mondadori, 306 pagine, 16,50 euro). L’incipit si colloca in un caldissimo luglio, quando la ventitreenne Emma riceve la telefonata della zia Carolina, che non frequentava da anni. «Ho un regalo per te, vienilo a prenderlo presto perché sto perdendo la testa e la memoria…». Pur sospettando dell’«inconsueta cordialità» dell’anziana zia, Emma va nell’antico palazzo umbertino della famiglia Cortesi e riceve in dono un prezioso monile (una corniola), appartenuto alla bisnonna Giulia (di qui il titolo del romanzo). È, assieme a lettere e documenti tenuti nei cassetti, il punto di partenza alla scoperta di un segreto imbarazzante di un gruppo familiare che, proprio come in certi romanzi di Simenon, nasconde grovigli sudici dietro il velo sottilissimo del decoro. Una famiglia che ha fatto fortuna nel Corno d’Africa con la produzione di ghiacciaie, da decenni attraversata da scandali sopiti, da adulteri, sopraffazioni. La Schisa ci racconta del gioiello di Giulia «come sigillo del suo imperio sulle cose e sulle persone». Persone che sono anche femmine traditrici e «seduttori pervicaci», al centro di gelosie e tradimenti. La giovane Emma decide di conoscere in profondità la storia familiare, convinta che per crescere, «passo imprescindibile», è necessario misurarsi col proprio passato. L’autrice, nell’andirivieni delle vicende dei Cortesi, fatte anche di alti e bassi economici, ricostruisce con grande esattezza l’ambiente partenopeo, dagli interni di certe case alle cappelle funerarie, dai cibi ai modi di dire dialettali. Gli episodi storici, molti dei quali risalenti ai tempi dei Savoia, sono scrupolosamente documentati.

 

malamboArgentina – Pochi conoscono il paesino della Pampa chiamato Laborde (provincia di Còrdoba), dove dal 1966 si svolge il più importante, ma poco reclamizzato, “Festival Nacional de Malambo”. Le altre competizioni del paese paiono sguaiatamente folkloristiche, al confronto. Ce ne parla Leila Guerriero in Una storia semplice (Feltrinelli106 pagine, 12 euro).  Il Malambo, secondo quanto scritto da un esperto del ‘900, è «un certame fra uomini che zapatean, ovvero ballano battendo i piedi al ritmo di musica». L’accompagnamento lo fa la chitarra. Sul palco di legno i finalisti si sfiancano fisicamente ed emotivamente, per una sfida che esige anni e anni di sacrifici, di allenamenti giornalieri, di dolorose rinunce. Devono comporre una serie di figure, o mudanzas. I vestiti sono strani, variopinti, essi stessi spettacolari. A gareggiare è il gaucho, che è tutt’altra cosa rispetto al grezzo, banale e il più delle volte caricaturale (almeno per noi europei) cow-boy statunitense. Nella sagoma del gaucho sono impresse regole e qualità morali molto rigide: «austerità, coraggio, orgoglio, sincerità, franchezza». La tenzone è faticosissima. Ad assistere accorre la popolazione intera (di antiche origini italiane), e molti della provincia di Còrdoba. Tutti giorno e notte, comprese le ragazze che per l’occasione si acconciano come le vecchie paisanas, con capelli annodati in lunghe trecce. Mentre gli uomini imitano i tradizionali gaucho, portando capelli lunghi e barbe folte. L’importanza di questo Festival sta nell’orgoglio di dichiararsi autenticamente argentino. La vittoria di un giovane che si esibisce nel Malambo è volutamente circoscritta nel tempo, dato che, «diventando campioni a ventuno, ventidue anni, non balleranno mai più». È una sorta di onta, per gli eroi di sere e di notti trepidanti, partecipare nuovamente e arrivare secondi o, addirittura, essere sbrigativamente eliminati nelle semifinali. L’autrice, giornalista argentina che scrive anche per testate americane, ci conduce poco alla volta al profilo, intriso di miseria materiale e di fatiche emotive, di Rodolfo Gonzàles Alcàntara. Al quale, così come a molti altri, viene raccomandato: «Devi entrare in scena senza portarti dietro nulla. Devi svuotarti, è chi sta fuori a portarsi via tutto».

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