Ella Baffoni
Una ricerca di Lorenzo Grassi

I bunker di Roma

Nelle viscere di Roma ci sono decine di rifugi antiaerei costruiti durante la Seconda Guerra. Sono abbandonati e rischiano di sparire; eppure custodiscono brandelli di memoria che non andrebbe smarrita

Via Tiburtina 364. Ora c’è una stazione di servizio, ma il 3 marzo 1944 proprio lì si consumò una strage. Settanta anni dopo, è un episodio scarsamente conosciuto. Molti ricordano i bombardamenti di quei giorni, la guerra che investì Roma, lo sgomento di chi si credeva immune, pensando che gli inglesi non avrebbero osato distruggere la città del Papa, le opere d’arte e di storia della Capitale. Sbagliavano: le devastazioni e i morti furono moltissimi. I “danni collaterali” sulla popolazione civile sono, per chi li visse, un incubo difficile da cancellare.

Molti ricordano la tragedia di san Lorenzo, la macerie a san Paolo e alla Piramide, fin nel cimitero Acattolico. Si sa che i quartieri popolari – collocati per lo più lungo le direttrici ferroviarie, a Pietralata, Prenestino, Portonaccio – pagarono un prezzo altissimo. Pochi ricordano però la storia della Fiorentini, la prima fabbrica italiana a costruire un escavatore progettato interamente in Italia, le cui autogru e benne cingolate parteciparono alle imprese edilizie del secolo scorso. La ricorda nel sito «Bunker di Roma» Lorenzo Grassi, giornalista e appassionato speleologo, che l’ha ricostruita raccogliendo le testimonianze d’epoca.

lapidefiorentiniAlmeno 180 operai e impiegati – ma il Messaggero parla invece di 280 persone – al suono delle sirene antiaeree corsero nel rifugio predisposto dall’azienda, a cui la Commissione prefettizia aveva dato il certificato di idoneità. Forse fu un tiro di precisione ad entrare nel bunker, forse fu un grappolo di bombe che fece collassare i pochi metri di terra sopra la volta, seppellendo sotto la frana gli operai. Sta di fatto che, come molti altri rifugi antiaerei improvvisati o inadeguati, quello della Fiorentini non resse, e fu strage. Con gli operai anche i dirigenti – tra cui Enzo Mariotti, il genero del padrone Filippo Fiorentini che ne morì di crepacuore qualche giorno dopo – lasciarono la vita in quei cunicoli, l’opera di recupero delle salme durò tre giorni. Una tragedia.

La fabbrica non è più lì, ora. Ricostruiti i capannoni più in là, la produzione è proseguita fino agli anni ’70, poi passò all’Imi e alla Gepi prima di venire chiusa. A ricordare il dramma di quelle famiglie, una stele e un non suggestivo monumento in piazza Beltramelli. La lapide che invece riporta i nomi dei morti nel bunker è segregata nella Palazzina rossa della fabbrica. Se i ricostruiti capannoni della Fiorentini sono stati sostituiti dal cantiere della Cittadella della piccola e media impresa e dalla sede del IV Municipio, la Palazzina rossa invece resta ancora in piedi, ma chiusa nel recinto del cantiere.

La vicenda è stata recentemente ricordata alla Cartiera Latina dell’Appia antica da Lorenzo Grassi, che ha censito e descritto molti dei rifugi antiaerei di Roma (http://www.bunkerdiroma.it/documenti/guidabunkeroma.pdf) in una guida puntuale anche se incompleta. Perché in questi anni la trasformazione urbana ha cancellato, a volte smantellato, a volte nascosto le testimonianze del periodo bellico. È stato cancellato così il rifugio di Porta Maggiore e quello vicino nel deposito Atac di via Prenestina. E che fine ha fatto il bunker sotto piazza Dante? Chi abitava in zona durante la guerra ne parla con un’assoluta certezza, una leggenda metropolitana vuole che abbia per anni accolto una centrale Acea. Ora non se ne sa più nulla: l’adiacente palazzo delle Poste sarebbe stato concesso ai servizi segreti, con annessi sotterranei, e di quel cantiere, come è evidente, non si può saper nulla. In via dell’Acqua Bullicante ci dovrebbe essere un altro rifugio, anch’esso crollato sotto un bombardamento: 70 morti che restarono lì, sepolti dalle bombe e poi dimenticati. Ne parla Maurio Ceccaioni (http://www.di-roma.com/index.php/cultura/cinema/item/566-io-cero-al-liberte-di-monte-sacro-1943-il-bombardamento-di-san-lorenzo) ricordando il racconto di sua madre.

bombardamento san lorenzo2È stato visitabile invece – forse a breve lo sarà ancora – il bunker fatto costruire da Mussolini sotto villa Torlonia, durante i cui lavori di ripristino è stato scoperto un locale ipogeo inusuale, una finta tomba etrusca probabilmente fatta costruire dal principe Torlonia appassionato di esoterismo. Singolare il rifugio del ’36 sotto la stazione Termini, che conserva ancora la cabina di controllo d’emergenza, che entrava in funzione allo scattare delle sirene d’allarme: il capostazione, i vice e gli addetti scendevano nei sotterranei, si blindavano e riprendevano il lavoro di gestione degli scambi e del movimento treni. Parzialmente distrutto il rifugio antiaereo nelle cave sotto il Vittoriano, usate anche per rafforzare la stabilità del monumento, di cui sono scomparsi accessi e parte dei percorsi.

Il prezzo che Roma ha pagato alla guerra è stato altissimo. Ma la sua memoria è stata probabilmente travolta dall’esito della guerra in una rimozione che rischia di cancellarne le tracce. A Berlino sono moltissimi i siti che ricordano la II guerra mondiale, ogni ora partono visite guidate di turisti e residenti e i dipendenti di Berlino sotterranea sono almeno 300. In Italia, tutt’Italia, l’incuria rischia di cancellarne le testimonianze. C’è ancora un patrimonio storico che bisognerebbe tutelare, prima che qualche contingenza lo faccia sparire: solo a Roma ci sono dodici rifugi antiaerei che potrebbero essere visitabili, molti altri ancora da esplorare. Magari mostrando l’impreparazione davanti al problema: all’epoca la prefettura aveva stilato una mappa, distribuita ai cittadini, con l’ubicazione dei rifugi e alcuni consigli lapalissiani: «State calmi», «Non impazzite». Almeno la metà dei morti per i bombardamenti rimasero intrappolati nei rifugi, sommariamente allestiti e dunque niente affatto sicuri.

Altra testimonianza del periodo bellico la rete di allarmi antiaerei, fino agli anni Sessanta ancora utilizzati per segnalare il mezzogiorno, che le ristrutturazione dei condominii rischia di spazzare via. Ce ne sono tantissimi, censiti da un’operazione di crowdsourcing lanciata dal giornalista Mario Tedeschini Lalli (qui la mappa https://maps.google.it/maps/ms?msid=212265651998614765165.00000112fc08af761ceba&msa=0&ll=42.795401,10.349121&spn=12.071399,19.753418&dg=feature). Costruita appunto dalle segnalazioni al blog del giornalista (http://mariotedeschini.blog.kataweb.it/giornalismodaltri) arrivate da tutt’Italia. Una ricerca che ha appassionato storici, ricercatori, cittadini che hanno accettato la sfida. E sono andati “a caccia di sirene” urbane.

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