Marco Fiorletta
Tra storia e narrativa

Romanzo di lotta

«Un sogno chiamato rivoluzione» di Filippo Manganaro ricama una storia sullo sfondo dei conflitti operai d'inizio Novecento: un circo dove gli immigrati fanno gli animali e i padroni i domatori

È un buon romanzo Un sogno chiamato rivoluzione di Filippo Manganaro, edito da Nova Delphi, 16€, nel 2012. Un libro che si incunea tra il precedente Senza patto né legge – antagonismo operaio negli Stati Uniti, pubblicato da Odradek, e il successivo Dynamite girl. Gabriella Antolini e gli anarchici italiani in America di cui abbiamo parlato già su queste pagine. Una storia che si inserisce nello stesso filone: l’emigrazione negli Stati Uniti, l’assalto al cielo degli ultimi, l’anarchia, la repressione, le speranze, i sogni, l’emancipazione femminile. Un romanzo storico pensato e fatto sulla mole di documenti e notizie raccolte per la stesura del primo saggio, una storia concepita, verrebbe da dire, con i materiali di risulta. Quasi come si fece con il marmo e il peperino dell’antica Roma.

Una base storica ineccepibile su cui Manganaro ha abilmente inserito le figure inventate delle famiglie Weizman, Tounik e O’Donnel. Le prime due ebree vittime di uno dei tanti pogrom della Russia zarista e l’altra di origine irlandese. Il racconto inizia a Kishinev, Chișinău capitale della Moldavia, dove agli inizi di aprile del 1903 ci fu una violenta caccia all’ebreo che si concluse dopo tre giorni di efferate violenze con 49 morti, 500 feriti e l’incendio e il saccheggio delle case degli ebrei. Il salto di qualità fu che il tutto era stato orchestrato e gestito con l’appoggio delle forze zariste.

un_sogno_chiamato_rivoluzioneDa qui ha inizio l’odissea dei superstiti della famiglia Weizman prima verso gli Usa e poi, con lo svilupparsi della nuova vita, in un mondo completamente diverso. Come dice il vecchio Shlomo alla nipote Chaya: «Poi la libertà d’espressione: pare che un lavoratore abbia il diritto di iscriversi al sindacato o a un partito, ma il padrone ha il diritto di pagare delle guardie private per sparare addosso al lavoratore che sciopera! Il lavoratore ha il diritto di scioperare ma il padrone ha il diritto di sostituirlo immediatamente con un altro. E sono diritti ufficiali, capisci? Non è come da noi dove comanda lo zar e sai fin dall’inizio che di diritti non ne hai. Qui ci sono leggi che ti permettono di scioperare, leggere giornali socialisti e manifestare in piazza con le bandiere e, al tempo stesso, ci sono leggi che permettono agli altri di impedirtelo con la forza. Ci vorrà un po’ di tempo per capire questo circo, ma una cosa me l’hanno spiegata bene: per i primi cinque anni, finché non saremo cittadini americani, dobbiamo fare molta attenzione. Pare che non ci mettano nulla a sbatterti fuori dal paese, con o senza ragione».

Ecco, il “circo” ha delle regole precise, gli operai, gli immigrati fanno sempre la parte degli animali e i padroni quella dei domatori. Per gli uni e gli altri, le belve e gli operai, non c’è possibilità di scampare al proprio destino. È la lotta per sovvertire questo stato di cose che si sviluppa nel romanzo, è la lotta ancora più dura delle prime donne che prendono coscienza dei loro diritti e non più solo dei doveri. È la lotta per l’emancipazione con la nascita di sindacati nuovi fondati sulla reale uguaglianza che metteranno paura al potere costituito che reagirà con violenza dando il via a una lotta sanguinosa.

Scritto bene, ricco di Storia e di storie che si spingono fino alla Guerra di Spagna del 1936, questo romanzo è una lettura piacevole, consci che di “falso”, di costruito artatamente, c’è ben poco.

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