Danilo Maestosi
Una riflessione e qualche proposta

Che fare dei Fori?

Dopo la chiusura (parziale) e le promesse di un grande progetto urbanistico, tutto è rimasto come prima, nel cuore della Roma imperiale. Eppure molte cose si potrebbero fare, quasi a costo zero: riscoprire volumi, rialzare statue e colonne... basterebbe qualche idea

Che terreno scivoloso la nostalgia per fondarci su il rilancio del Progetto Fori, glorioso cavallo di battaglia inizio anni Ottanta del sindaco Luigi Petroselli che la nuova giunta capitolina vorrebbe rimettere in corsa! Scivoloso perché invece di resuscitarlo rischia di aggiungere altra sabbia alle sabbie in cui si è impantanato. Di polverosa e disaggiornata nostalgia sembra purtroppo intrisa la decisione del sindaco Ignazio Marino di farne uno dei perni della sua vittoriosa campagna elettorale per la riconquista del Campidoglio dopo il buio e disastroso quinquennio di Gianni Alemanno. E poi la parola d’ordine della sua molto più faticosa e stentata regia della città nel primo anno di governo. Una promessa che certo ha scaldato il cuore del popolo di sinistra, o almeno di una generazione che ancora coltiva a ragione ricordo e rimpianti di quella lontana stagione, ma è poi a poco a poco evaporata in una gestione sciatta e malaccorta del quotidiano.
Sbagliata già la prima mossa. Quell’insistere immediatamente a freddo, senza motivare traguardi e vantaggi, su uno dei punti più controversi del vecchio progetto: la pedonalizzazione di via dei Fori e la sua parziale chiusura al traffico privato come prologo di un possibile, ventilato smantellamento. Proprio mentre si stava incagliando uno dei suoi presupposti: la prosecuzione da S. Giovanni verso e oltre il Colosseo della linea C del metrò. Mossa che ha immediatamente resuscitato e ricompattato con l’innesto di nuovi adepti il fronte degli eterni oppositori: prima pregiudiziale, via dei Fori è storia di Roma e non si tocca, seconda pregiudiziale chiuderla anche solo parzialmente scatena disagi ed ingorghi. Così il progetto, non inquadrato in una prospettiva d’ampio respiro, si è trasformato in una banale, opinabile contesa sulla circolazione automobilistica: inutile rammaricarsi di quest’interpretazione riduttiva, un’intimazione d’alt che certo nasconde altri interessi in gioco, come la deregulation che resta nel mirino dei costruttori.

apertura fori imperiali 1930E nostalgie più becere e insidiose: difendere facendo trincea sullo stradone littorio lo sdoganamento della Roma fascista e del fascismo stesso condotto in porto nel ventennio berlusconiano. E sigillato dallo sciagurato vincolo di un soprintendente regionale compiacente sull’assetto anni trenta di via dei Fori.

Una battaglia in campo ostile che poteva essere scongiurata se la giunta Marino, soprattutto dopo l’elezione, non avesse messo in campo solo vaghi propositi ma idee nuove e di presa forte e su quelle avesse chiamato a raccolta la città. Ignorando l’esempio del sindaco Petroselli, che seppe in partenza far leva da politico illuminato su una campagna che smosse l’opinione pubblica di tutto il mondo: il drammatico sos del soprintendente archeologico Adriano La Regina sul degrado dei monumenti marmorei dell’area centrale, tesori che lo smog stava polverizzando. Trovare come avvenne con la legge Biasini, i soldi per risanare quei gioielli in sfacelo, fu la prima mossa.

Rompere l’assedio del traffico per salvare la storia stessa di Roma, la seconda mossa da cui prese avvio, quasi senza incontrare resistenze, l’idea di ripensare non solo la circolazione attorno e davanti al Colosseo, ma il peso stesso della Roma antica come asse portante del buon governo e dei riequilibrio della città che stava avanzando su un’altra direzione parallela non meno importante, il risanamento delle borgate e dei borghetti.

napoleonRilanciare l’area dei Fori diventava così un passo decisivo per iniziare a colmare distanze e fratture con la periferia e il suo popolo umiliato, restituire loro con quartieri più dignitosi anche un orgoglio d’appartenenza, un posto nella storia urbana anche attraverso la riappropriazione del cuore stesso di quella storia. Riappropriazione sancita da un altro campionario di eventi di penetrazione più capillare di straordinaria risonanza mediatica: il boom dell’Estate romana di Renato Nicolini. Un cartellone che all’inizio degli anni Ottanta, il periodo più buio del terrorismo, convocava folle mai viste e celebrava i suoi riti d’incontro tra cultura alta e consumo proprio nei luoghi più prestigiosi, e fino ad allora tabù per la platea nottambula dello spettacolo, dell’area archeologica centrale: la basilica di Massenzio, la zona di via della Consolazione appena smantellata da Petroselli per ricucirla al Foro repubblicano, la piazza del Colosseo, il circo Massimo.

massenzioPetroselli è stato stroncato da un infarto prima di portare al traguardo e rendere irreversibile il suo piano ambizioso sulla Roma antica. Adriano La Regina, angelo custode del ruolo dell’archeologia nella pianificazione urbana, è stato spedito in pensione anzitempo più di un decennio fa. Renato Nicolini è morto, stesso destino che ha colpito Gianni Borgna, suo successore alla guida della cultura capitolina. L’età ha messo fuori causa l’urbanista Leonardo Benevolo, che in due diversi studi aveva dimostrato come era possibile chiudere al traffico l’asse dei Fori senza pesanti ripercussioni. Sono usciti purtroppo di scena Antonio Cederna e Italo Insolera, i profeti e i sostenitori più accaniti e seguiti di quel sogno del grande parco archeologico di Roma, che ammagliava in un unico tessuto continuo l’area dei Fori, le sponde del Circo Massimo e del Colleoppio, il nucleo forte del Campidoglio da restituire interamente a museo di se stesso, con le Terme di Caracalla, e si prolungava ad abbracciare l’intero percorso dell’Appia antica: una dilatazione di confini, strategia ed impegno che la Giunta Marino non ha invece mai esplicitamente inserito tra i suoi obiettivi di rilancio.

Senza questa straordinaria corte di intellettuali che ha stimolato, dato avvio e poi difeso allo strenuo la politica di Petroselli, si è creato un vuoto, un’assenza di ricambi all’altezza, che nessuno è riuscito a colmare e la nostalgia non basta certo a riempire. Impossibile per il salto di generazione, le trasformazioni del tessuto sociale, la degenerazione di quello politico e i disastri che si sono accumulati dagli anni Ottanta in poi ripristinare lo stesso ampio consenso, la stessa rete di appoggi e complicità. Ma almeno bisognava provarci e invece la giunta Marino, travolta dai guai finanziari, ha rinunciato a farlo: la mancanza di soldi come alibi per la mancanza di idee che non costano nulla. Lavorando sotto traccia alla gestione del progetto Fori, piuttosto che studiare qualche leva forte da cui ripartire per riaggregare consensi, far discutere, riportare la questione all’attenzione dei media e della stampa internazionale.

apertura fori imperiali2In un recente convegno , promosso dall’associazione Bianchi Bandinelli, l’assessore all’urbanistica Giovanni Caudo ha fatto il punto della situazione. Un quadro vago e sconsolante dei lavori lasciati in sospeso da due commissioni insediate sotto le giunte Rutelli e Veltroni e di una terza, appena aperta con il ministero della Cultura, nel tentativo di sminare l’ostacolo di quel vincolo su via dei Fori che si è messo di traverso. Ne emerge in positivo una doppia intenzione: quella di procedere al depotenziamento e alla parziale soppressione dello stradone littorio, conservando però la balconata di via Alessandrina e le tracce di altri percorsi nei quali condensare la testimonianza della storia stratificata e secolare dell’area. In negativo la evidente paura di ridestare l’opposizione preconcetta di chi erge lo scudo contro la soppressione della via dei Trionfi voluta da Mussolini con lo sbancamento della collina Velia, la demolizione dei quartieri medievali(tra i tesori distrutti persino la casa di Michelangelo sotto la colonna Traiana), e la creazione dei recinti infossati con i resti delle piazze imperiali.

Giù le mani dall’assetto degli anni Trenta, ha ripetuto durante il convegno l’ex assessore alla cultura di Alemanno Umberto Croppi che non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per le opere del ventennio nero. Nostalgia malriposta, perché difendere via dell’Impero significa ormai difendere il nulla: gli scavi e le raffazzonate sistemazioni successive hanno stravolto completamente il vecchio disegno. Il rettifilo bordato da due doppie file di pini disegnato dall’architetto De Vico, con enfasi retorica ma indubbio fascino, è ormai un percorso segmentato e irriconoscibile; lo spettacolo delle rovine imperiali prima relegate come sipari si è frantumato in un alternarsi di vuoti e relitti inspiegabili di macerie ed emergenze di altre epoche sopravvissute ai picconi del duce , di scalinate, rampe d’accesso, balconate di materiali precari.

Attrezzature da lavori in corso per lavori fermi da un decennio. Gli archeologi hanno acquisito con gli scavi scoperte preziose per ridisegnare con più precisione la mappa delle antiche piazze, ma hanno contrattato il via libera a queste ricerche lasciando forse troppo spazio al partito di chi, ogni esperto pensando al suo orticello, voleva salvare e musealizzare ogni testimonianza storica: dal pavimento di un convento, alle cantine delle case del Seicento e del Settecento, ai terrapieni delle fogne. Ed accantonando da subito l’intervento di architetti e urbanisti che potessero collaborare a reinventare un nuovo accettabile assetto urbano al posto di quello stravolto dagli scavi. Dibattito fermo, nessun bando internazionale, solo qualche coinvolgimento a titolo personale, come la proposta commissionata all’archistar Massimiliano Fuksas e rimasta lettera morta

foro della paceE nessuno che denunci lo scandalo, che si attrezzi a darci riparo. A che serve una nostalgia imbavagliata? Ecco, forse un impulso al progetto Marino dovrebbe partire proprio da questo necessario risarcimento dovuto alla città, aprendo finalmente una stagione di concorsi internazionali; ma, prima ancora, dalla scelta di criteri forti da suggerire agli architetti da chiamare in gara. Il primo potrebbe essere quello di ancorare la futura sistemazione alla possibilità di recuperare allo sguardo, con un’adeguata azione di ripulitura e rimozione dei manufatti di minore rilievo, la dimensione di alcune piazze imperiali, come quella di Traiano, ora praticamente tutta riportata alla luce con nuovi importanti manufatti che ne chiariscono l’impianto, correggendo molti errori e teorie del passato.

Un’opinione? Certo, ma perché non metterla pubblicamente a confronto con altre? E intanto fare quello che già si poteva fare da tanto e che durante gli scavi era stato promesso alla città. Ad esempio restituire dove è possibile volumi in elevato più suggestivi e architetture comprensibili a quelle piazze. Un’anastilosi morbida. Ma la parola stessa è un tabù per molti archeologi. I pochi esperimenti che si sono fatti strappano oggi stupore ma sono confinati in un paio di sale di museo, nei Mercati di Traiano. Un caso che grida vendetta è quello del Foro della Pace. Gli scavi hanno dissepolto con le aiuole del giardino di statue che segnavano il foro, ampi spicchi dell’antico porticato. Ci sono le basi e in terra i rocchi delle colonne crollate. Perché non cominciare a ritirali su?

Partecipazione e consensi si ricostruiscono anche sulla capacità di offrire risarcimento ai disagi attuali e futuri. La forza seduttiva dell’immaginario contro la pigrizia ottusa di chi vuole solo difendere con i sampietrini di via dell’Impero le proprie abitudini e i propri privilegi.

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