Chiara Tozzi
Le polemiche dentro (e fuori) il Pd

I “renziani” delusi

La politica ormai sembra tifo da stadio. Ma in tanto chiacchierare ed esternare malcontento, si è persa la capacità di focalizzare il fine da raggiungere: ovvero, il benessere del Paese. E chi agisce fuori dal coro diventa subito un nemico

Quello che di tutta questa storia davvero in questi giorni mi stupisce, riguardo alla decisione presa nell’ultima Direzione Pd, non è tanto la reazione sdegnata di coloro che vedono Renzi come il fumo negli occhi, avendolo osteggiato e detestato da sempre. Mi stupisce piuttosto che chi stima Renzi, chi ha avuto da sempre fiducia in lui, oggi si metta a parlare di «tradimento», «scorrettezze», delusione.

Fino a oggi, io credevo che quanti avevano votato Renzi dalle prime primarie fino a quelle di dicembre, lo avessero fatto perché certi di vedere in lui una persona capace, giusta e determinata, a cui affidare senza esitazioni o dubbi l’incarico di fare il bene del paese (oltre che del proprio partito); e credevo dunque che questi elettori e sostenitori di Renzi  reputassero una vittoria per il paese – e dunque per loro stessi – la possibilità, per Renzi, di poter finalmente legiferare, da una carica significativa a tal fine, in Parlamento. Oggi invece scopro che metà dei cosiddetti «renziani» si sente tradita e che accusa Renzi di scorrettezza verso Letta, in quanto compagno di partito.

È davvero uno strano paese, l’Italia: dove una presidente della Camera, ingiurata da un manipolo di parlamentari che si mettono a urlare, dando fisicamente l’assalto ai banchi del Parlamento, si trova a doversi difendere – sotto il fuoco di domande incalzanti di un conduttore televisivo, Fazio, che dice «io devo fare l’avvocato del diavolo con lei» – per giustificarsi dall’essere stata insultata, prima di tutto come figura istituzionale, poi come donna, spiegando in lungo e in largo perché non fosse giusto comportarsi, in Parlamento, come allo stadio. È un paese, il nostro, dove risulta «scorrettezza» porre ai voti due opzioni possibili nella Direzione del Partito (elezioni o presa in carico della Presidenza del Consiglio), quando oltretutto è stato il Presidente della Repubblica a premere per la seconda ipotesi, per il drammatico precipitare della situazione italiana e per gli scarsi risultati ottenuti dal Presidente del Consiglio attuale. È un paese, il nostro, dove se un partito decide a maggioranza pressoché totale di operare una scelta, è reo il Segretario di quel partito, per la decisione votata. È un paese il nostro, dove ci si riunisce e assembra nei Social Network come nei circoli, nei salotti come nei talk show televisivi, per discutere e criticare la mancanza di «bon ton» in un passaggio di cariche fra colleghi dello stesso partito a cui si è arrivati in virtù di una votazione democratica. È un paese, il nostro, che per vent’anni si è tenuto un presidente del consiglio che ha portato l’Italia al disastro economico (oltre che istituzionale), investendo le energie oppositive più nel chiacchierarne in Tv o sui giornali, che tramite energiche e radicali opposizioni.

Mettendo assieme tutte queste stranezze, però, si capisce meglio perché la nostra situazione politica ed economica sia potuta scivolare lentamente ma progressivamente tanto in basso; proprio perché, in tanto chiacchierare ed esternare malcontento, si è persa la capacità di focalizzare il fine da raggiungere: ovvero, il benessere del Paese. Niente va bene a chi abita in questo Paese; e tutto è criticabile; e ciascuno di noi sa sempre meglio di altri (perfino di quelli che abbiamo votato e per cui ci siamo battuti), cosa sia giusto fare; e così si continua a discutere, senza requie;  e a battibeccarsi, e a sentenziare. È una pratica, questa, tipica da Bar dello Sport: dove chi ha poco o niente da fare, può passare ore, giornate e settimane a discutere di un assist, di un calcio d’angolo, di un rigore o di un fuori gioco. Niente di male in questo tipo di passatempo: ogni tifoso che vi si dedichi, sa bene che non è dal suo battibeccare che cambieranno le strategie di gioco di una squadra.

Ben diverso è continuare a impiegare il tempo, per noi cittadini facenti parte di un Paese in pericolo di sopravvivenza, in questa «politica» del bisticcio e della critica continua; e tanto più grave è, se a questa pratica si dedicano anche coloro che, in quanto iscritti a un partito o deputati in Parlamento, non sono più capaci di sacrificare il narcisistico piacere di dire la propria a favore dell’ occuparsi, senza perdere più neanche un minuto di tempo, di quelle riforme e di quelle leggi di cui l’Italia non può fare più a meno per riprendere vita.

Forse non si è capito: oggi, il nostro Paese non sta seduto al tavolino di un Bar dello Sport, in felice attesa di qualcuno che gli faccia compagnia per chiacchierare del più o del meno.  No: il nostro Paese è disteso, privo di coscienza (questo è certo) e in pericolo di vita, sulla lettiga di un Pronto Soccorso; in attesa che un chirurgo, davvero capace, riesca a intervenire al più presto, per salvarlo. Non possiamo permetterci di discutere sui modi con cui un chirurgo, reputato il migliore proprio dal suo staff, raggiunga la sala operatoria. L’importante, è che arrivi, che si piazzi lì davanti al paziente, e che operi.

Al più presto, e bene.

Facebooktwitterlinkedin