Francesco Arturo Saponaro
La scomparsa del Maestro

L’umanesimo di Claudio Abbado

Grande sperimentatore, aperto alla curiosità e alle novità, instancabile nel prodigarsi per la promozione e la diffusione non soltanto della musica, ma di ogni aspetto della cultura e dell’arte moderna. Aveva una visione universale e ogni suo gesto direttoriale esprimeva il suo magistero

Cosa ricordare di lui, anzitutto, nell’emozione e nella confusione del momento? Lungo e alto, l’elenco delle qualità e dei fronti d’impegno culturale e civile. Grande sperimentatore, aperto alla curiosità e alle novità. Promotore e diffusore della musica fra i giovani e gli ambienti popolari. Instancabile fondatore di orchestre, specie giovanili. Testimone e conoscitore della cultura mitteleuropea, e aperto a orizzonti sovranazionali. Ovviamente, grande concertatore e direttore d’orchestra, sorretto da un retroterra di solida e profonda cultura artistica nella severa, consapevole serenità del gesto, e della capacità di dialogo con i musicisti suoi partner. Claudio Abbado (26 giugno 1933-20 gennaio 2014) proviene da un’importante famiglia di musicisti: violinista e vicedirettore del Conservatorio milanese, il padre Michelangelo; pianista appartenente a un’affermata famiglia di musicisti siciliani, la madre Maria Carmela Savagnone. A Milano, una famiglia potente nel mondo musicale già prima di Claudio; un potentato che poi, anche in seguito, eserciterà un ruolo egemone, a volte troppo, specie nella vita musicale contemporanea.

Ma la stella di Claudio brilla di luce tutta propria, in alto, sempre più in alto, fino a condurlo, nel 1969 e a soli 35 anni, all’incarico di direttore musicale del Teatro alla Scala, che si protrae sino al 1986. Nutrito, dopo gli studi in Conservatorio, di approfondimenti ed esperienze maturate soprattutto nel mondo austro-tedesco, ben presto la carriera di Abbado non può non essere internazionale. Invitato a dirigere le più grandi orchestre, nell’autunno 1989 egli è nominato direttore principale e artistico, successore di Karajan, dai professori dell’Orchestra Filarmonica di Berlino, il podio più alto. Un podio che, con lui, cresce ulteriormente di prestigio, per le novità e le sollecitazioni che egli stesso da Berlino promuove per la diffusione non soltanto della musica, ma di ogni aspetto della cultura e dell’arte moderna: letteraria, figurativa, storica, teatrale, etc. etc. Memorabile il suo gesto rivoluzionario, alla vigilia del concerto d’insediamento alla guida dei Berliner Philarmoniker. Caduto da pochi giorni il Muro di Berlino, in segno di pacificazione egli chiede e ottiene che, alla prova generale, sia invitata la popolazione dell’ex-Berlino Est.

Sterminato, poi, l’elenco delle incisioni discografiche, con le etichette più prestigiose, elenco che ne registra anche preferenze ed esclusioni: grande spazio ai compositori mitteleuropei (tre le integrali delle sinfonie di Beethoven, una con i Wiener e due con i Berliner, e poi Wagner, Mahler, Bruckner, e via continuando), nessun titolo di Puccini, soltanto alcuni Verdi (non il Nabucco, non Rigoletto Trovatore Traviata, la trilogia popolare), e poi l’amato Debussy simbolista, Schubert, Čajkovskij, Ravel e così via. Sempre cercando la verità della musica fra le note stesse, dentro la musica, senza pregiudizi di sorta. Indimenticabile il suo Rossini, e, fra gli altri titoli, quella “prima” del Viaggio a Reims, che nel Rossini Opera Festival del 1984 restituì al mondo, in un’edizione irripetibile, quel capolavoro recuperato.

La musica contemporanea deve poi ad Abbado molte prime esecuzioni, e molte energie prodigate per sostenerla e favorirne la diffusione, partecipando a importanti iniziative e prime esecuzioni. Per citarne una sola, il Prometeo di Luigi Nono, su libretto di Massimo Cacciari, alla Biennale Musica del 1985, nell’arca appositamente ideata e progettata da Renzo Piano. Lo stesso Piano con il quale, ultimamente, nell’ottobre 2012, Abbado collabora per inaugurare, alla presenza di Giorgio Napolitano, il gioiello del nuovo, piccolo Auditorium del Parco all’Aquila, progetto donato alla città dall’archistar genovese. Un’occasione nella quale proprio il presidente della Repubblica, salutando il grande direttore, di lì a pochi mesi nominato poi senatore a vita, lo ha definito tra l’altro “grande facitore di orchestre”. E qui l’elenco delle compagini orchestrali da lui varate è altrettanto significativo. Dall’European Community Youth Orchestra, poi Chamber Orchestra of Europe, alla Gustav Mahler Jugendorchester, poi Mahler Chamber Orchestra, fino alle creature più giovani, l’Orchestra del Festival di Lucerna e l’Orchestra Mozart di Bologna. E, ancora, rifulge il contributo all’Orquesta Simòn Bolìvar e al Sistema Venezuelano fondato da Josè Abreu.

Vi sarà occasione per illuminare l’aspetto più importante del dirigere di Abbado: lo stile, il gusto, la tecnica, soprattutto la sua Weltanschaung, la sua visione “universale” della musica, il suo umanesimo musicale. È, musicalmente parlando, il suo contributo più personale e significativo, che affiora da ogni gesto direttoriale: sobrio ma pulsante, teso e fascinoso, ispirato da una visione musicale che riesce ad associare precisione profonda e palpito euforico, tensione drammatica e limpidezza trasognata, intimità del canto e sonorità di energia incontenibile. In ogni caso, una perdita molto, molto grave per la cultura non soltanto italiana.

 

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