Nicola Fano
Omaggio al grande poeta russo

Rivoluzione Renzi

Andrea Renzi recupera in scena, alla sua maniera, la poesia di Vladimir Majakovskij. La biomeccanica del duemila diventa la nuova frontiera del teatro?

Erano tanti anni che non s’ascoltavano le parole di Majakovskij in pubblico, sicché è quasi obbligatorio non perdersi Fuochi a mare per Vladimir Majakovoskij, un piccolo gioiello scritto, diretto e interpretato da Andrea Renzi per Teatri Uniti. Fino a domenica è all’Argot di Roma, ma poi continuerà la sua tournée. Speriamo più lunga possibile, in omaggio al grande poeta russo.

Beh’, sono molte le considerazioni che scaturiscono da questo spettacolo. Intanto vale raccontarlo: poco meno di un’ora; Andrea Renzi solo davanti a un banchetto che talvolta diventa il piedistallo della sua statua (sua di Majakovskij…); un fondale ora bianco, ora scuro picchettato di stelle, ora rosso come il fuoco. Uno spettacolo, dunque, fatto solo di parole. Di parole e della fisicità di Renzi che, nel piccolissimo rettangolo di spazio scenico che si concede, corre, si dimena, urla, spara, arringa le masse. E allora, ecco una considerazione sull’attore: chi lo conosce, sa che la strada percorsa da Renzi è lunga e piena di angoli retti. Dagli esperimenti di Falso Movimento con Mario Martone (come dimenticarlo in Ritorno ad Alphaville?) a quelli più marcatamente poetici di Antonio Neiwiller; poi il cinema d’autore (da Martone a Sorrentino, da Ozpetek a Salvatores, da Muccino a Roberto Andò); fino al grande successo popolare in televisione. Eppure, con questo piccolo grande spettacolo ritorna alle origini: si concede il gusto dell’azzardo, modellandosi addosso i versi pazzi, visionari eppure concreti di Majakovskij. Dimostrando che la strada che ha percorso solo apparentemente è fatta di angoli retti: in realtà segue una linea circolare. Ed è quella stessa della sperimentazione teatrale nata a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta (oltre a Martone, è il caso di Toni Servillo, ma anche Federico Tiezzi e Sandro Lombardi): partita dalla figurazione, è arrivata a una ridefinizione dell’arte dell’attore nel suo complesso, arricchendo la tradizione di una fisicità (direi di una capacità di usare se stesso come un’immagine) che non ha precedenti.

Anzi, no. Un precedente ce l’ha. Ed è proprio nella biomeccanica russa (ossia la più grande avanguardia scenica del Novecento) che Andrea Renzi qui cita e rimodella a suo gusto.

L’altra considerazione che va fatta è nella straordinaria vitalità di Majakovskij. Non è una sorpresa, direte voi, che un poeta visionario del primo Novecento sia ancora attuale. Ed è vero, ma certo colpisce sentire nelle parole di un artista che deliberatamente, generosamente e inutilmente si regalò al comunismo, una vena critica anzi tempo («Non fate di Lenin un dio perché era solo un grande uomo», dice la sua celebre, magnifica orazione omonima che detta da Renzi mi ha ricordato, figuriamoci, quella shakespeariana di Marc’Antonio per Giulio Cesare) e uno scetticismo di fondo che lo rende eccezionalmente moderno («Il futuro di un uomo è qui, al centro delle sue cinque dita»). Sarebbe un poeta da rileggere, Majakovskij, se solo qualche editore lo ripubblicasse. Anche per capire che, in fondo, del Novecento ci siamo persi troppe cose!

Facebooktwitterlinkedin