Lidia Lombardi
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Modello Santa Cecilia

Dovrebbe essere studiato prima di tutto dai nostri politici il documentario dedicato all'Orchestra diretta da Antonio Pappano presentato alla kermesse cinematografica romana. Perché è la prova che l'eccellenza culturale italiana vale qualche investimento in più. Come il regista Angelo Bozzolini dimostra benissimo...

Prima di tutti, lo dovrebbero vedere i politici nostrani il docufilm presentato al Festival Internazionale di Roma, in una Sala Santa Cecilia stracolma. Si intitola Il carattere italiano (ma è stato prodotto dalla Germania, e anche questo la dice lunga) ed è l’identikit di una delle istituzioni culturali più blasonate e antiche d’Italia, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che con la sua Orchestra dà vita alla stagione sinfonica e cameristica nella istituzionale sede del Parco della Musica di Roma, sotto le “cupole” di Renzo Piano. Perché dovrebbero vederlo lorsignori i politici, questo film diretto con maestria da Angelo Bozzolini? Perché non è solo il ritratto di un’Orchestra ma è un inno a noi italiani, per quello che abbiamo fatto e potremmo fare, se appunto non ci governassero persone abili perlopiù a spolpare il Bel Paese, a scarnificarlo non soltanto con i sollazzi pro domo sua, alla Fiorito per intenderci (declinati in ogni salsa, da destra a sinistra passando per il centro), ma con il prosciugamento o il pessimo uso dei fondi a disposizione della cultura, dei monumenti, dei parchi archeologici, dell’istruzione scolastica. E, ancora, perché questo film, senza trionfalismo e retorica, rilancia l’orgoglio del nostro fare, un fare con le mani, siano quelle che permettono di vibrare un pianoforte, un violino, un clarinetto, siano quelle che aggiustano un contrabbasso o scelgono in Trentino l’albero più adatto a ricavare la cassa di uno strumento musicale.

Senza agiografia, si diceva. Sir Antonio Pappano, il direttore ceciliano dal 2005, inseguito dalla macchina da presa nel suo paese d’origine, nel Beneventano, mentre le comari sulla pietra degli scalini lo guardano passare in camiciola turchese e sussurrano “ohì, quant’è bello”, è il paradigma di quel che riusciamo a costruire. È nato da Londra da poveri immigrati, ma accompagnando con pianoforte il padre abile a cantare (già, il belcanto italiano…) è diventato eccelso pianista. Negli Usa si è messo a fianco di grandi direttori d’orchestra, li ha seguiti passo passo nelle messinscene dei melodrammi. E, senza aver conseguito titoli in conservatorio, ma da tenace e geniale autodidatta, si è ritrovato a dirigere orchestre prestigiose, dalla Royal Opera House di Londra fino appunto a quella di Santa Cecilia. Della quale dice: «Magari non saremo perfetti, non avremo la tecnica inappuntabile degli americani o dei tedeschi, però io da un brano voglio che esca l’anima».

Di queste passione, instabilità, volubilità, intuizione, flessibilità, generosità e imperfezione, anche, è impastato il Carattere italiano, con quell’imprinting che lo fa umano troppo umano e che scuote in ogni esecuzione. Ecco gli spettatori di Düsseldorf, di Friburgo, di Colonia che escono entusiasti dai concerti in tournée dei Ceciliani. Ecco Yuri Temirkanov , uno dei grandi direttori ospiti, che sentenzia mentre prova con loro: «Alla mia età, se un’orchestra non mi piace non la dirigo». Ed ecco loro, i professori d’orchestra, nei primi piani mentre provano, nelle interviste davanti alla macchina da presa di Bozzolini sullo sfondo rigorosamente nero che tira fuori il loro carattere italiano. Eccoli nella quotidianità: il violino Roberto Saluzzi che s’è comprato un podere a Faleria, nell’ubertoso Lazio, e si prende il miele dalle sue api, accarezza le prugne e i pomodori usciti dalla terra che ha zappato. Il contrabbasso dai riccioli neri che va a ritirare il suo strumento nel laboratorio di Sacrofano, una specie di tempio nel quale gli artigiani sono sacerdoti, aggiustando con paziente e sapiente rito. Il violoncello in abito rosso che suona davanti a una bianca romanica chiesa pugliese. Il clarinetto che va in vacanza in Val di Fiemme e corre in mezzo ai boschi per farsi il fiato da riversare nel suo strumento.

Ecco perfino i sogni dei professori d’orchestra. I più di notte s’affannano nell’incubo di perdere l’aereo che li deve portare all’estero per un’esibizione. Un’altra è tormentata dalla custodia del violoncello che si apre all’improvviso e lo strumento, emanazione di sé, va in mille pezzi. Il più serioso sogna di suonare nella carlinga di un aereo scoperto, mentre lo contornano fauci di squali che nuotano fra le nuvole. Una tromba – per quel carattere italiano individualista che fa un po’ di danni in un’orchestra – vorrebbe ai suoi piedi un intero stadio, osannante come «davanti a Vasco Rossi». E in cima a una nostra montagna innevata fende l’aria tersa con le note di Per un pugno di dollari dell’Oscar Ennio Morricone.

Il carattere italiano, che ha portato per la prima volta sul red carpet di un festival cinematografico i musicisti dell’Orchestra di Santa Cecilia, uscirà in dvd. Buona visione. Per tutti.

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