La figlia della poetessa
Illustrazione di Andrea Lelario
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La cosa più significativa della poetessa sciantosa era la figlia adolescente, una magrona coi capelli a piangere e due fondi di bottiglia al posto degli occhiali, e sotto due occhietti celesti spenti ma anche antipatici, come antipatico era tutto di lei, soprattutto quel modo di guardarti con sufficienza. La madre, che metteva sempre dei boa d’inverno come d’estate, e aveva i capelli scompigliati dal parrucchiere e, a detta di un mio amico che se l’era fatta, aveva la figa selvaggia, cioè tirava con diversi pettini prima dell’amore i peli neri della figa verso il fuori come se dalla sua spacca fosse cresciuta una pianta acquatica probabilmente carnivora, insomma al pelame basso aveva fatto l’hair stylish, era una donna ancora giovane che non si sapeva se avesse ancora il marito, comunque era una selvaggia in qualsiasi sua manifestazione, e conosceva un sacco di artisti, pittori, cantautori, trombettisti, cantanti, scultori e caso strano erano tutti maschi ed eterosessuali salvo uno che però era un tipo eminente. La figlia della poetessa sciantosa ci stava sempre tra le scatole, durante la riunione e il breve reading. Io parlai di Kenneth Patchen ed ebbi poco ascolto, colpa di quella sciantosa della poetessa che interrompeva sempre con le sue stronzate paradivistiche, nemmeno fosse risorto Strehler e l’avesse chiamata da dove si trovava, La Terra di Nessuno, per allestire una tragedia shakespeariana ma a parole sue, vale a dire con una parafrasi scritta dalla sciantosa poetessa. Invece parlava fitta con un amico – un amico, naturalmente maschio ed eterosessuale che le guardava con occhio cupo d’intenditore nella scollatura – di non capivo bene perché, forse di un sogno che aveva fatto, cadere da una rupe sassosa dentro una Lotus Elan del 98 gialla, la macchina di suo fratello che così s’era sfracellato durante una tragica vacanza all’Isola di Man, morendo sul colpo allo stesso modo di James Dean, col piantone dello sterzo dell’altra auto in pieno dentro di lui. Per questa cosa attribuivo alla sciantosa poetessa un modesto ma anche significativo valore umano, il fatto di aver perso un fratello come me, soltanto un anno dopo, era il dato che me la rendeva più umana e dunque non del tutto detestabile. Però, ogni volta che i miei occhi brutali si soffermavano su quella figlia adolescente alla quale avrei fatto patire tutte le brutture più lerce e terrificanti, ecco che il valore di sua madre, come essere umano, scendeva in picchiata verso lo sfracello totale, perché quella figlia insulsa l’aveva scodellata lei e educata lei e insomma l’aveva fotografata in una finta impiccagione “di serie” un sacco di volte per le sue foto virate in blu scuro che presentava a tutti i concorsi.
La poetessa sciantosa aveva una determinazione da belva, e in effetti sapeva far risuonare le sue parole versificate con un certo senso dell’effettistica, cosicché molti critici la tenevano in palmo di mano. E in più era sempre in prima fila dovunque e cercava appoggi da chiunque, soprattutto da coloro che aveva mostrato di disprezzare. A me non dispiaceva come artista, era l’essere umano che rifiutavo, e ancor di più per colpa di quella figlia indisponente. A fine serata, un minuto prima di andarmene a ubriacarmi come modesta consolazione per aver partecipato a quella penosissima riunione, fui in un mezzo secondo alle spalle della ragazzina; feci partire un buon calcio – né forte né leggero- diretto ai suoi stinchi. Cadde subito, urlando. Nessuno mi vide. Sorridendo a chi incontravo guadagnai comodamente l’uscita, e fui felice, come mai prima in tutta la mia vita.
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Franz Krauspenhaar (Milano, 1960) scrittore e poeta, ha pubblicato ad oggi 12 libri, tra romanzi, libri di poesie e un saggio narrativo. Tra gli altri, i romanzi Le cose come stanno (Baldini & Castoldi, 2003), Era mio padre (Fazi, 2008), L’inquieto vivere segreto (Transeuropa, 2009), Le monetine del Raphael (Gaffi, 2012). Le poesie di Franzwolf (Marco Valerio Editore, 2009), Effekappa (Zona, 2011), Biscotti selvaggi (Marco Saya Edizioni, 2012). Ha fatto parte per quattro anni della redazione del blog Nazione Indiana, ha co-fondato con Fabrizio Centofanti nel 2007 il blog La poesia e lo spirito e nel 2010 la webzine letteraria Tornogiovedì.
Andrea Lelario nasce nel 1965 a Roma. All’Accademia di Belle Arti di Roma ha per maestri gli incisori Pippo Gambino e Duilio Rossoni. Nel 1990 si diploma in Decorazione e nello stesso anno vince il Premio “Accademia di Belle Arti di Roma“ istituito dal direttore Cesare Vivaldi. Progetta un mosaico per la metropolitana di Roma, realizzato nella stazione di Numidio Quadrato. Attualmente è ordinario di Tecniche dell’Incisione e Grafica D’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, in Italia e all’estero. Partecipa a diverse esposizioni, collettive e personali. Nel 2003 è invitato alla XIV Quadriennale di Roma, anteprima di Napoli a Palazzo Reale, dove presenta “Horos”, un’incisione, l’unica esposta, di dimensioni eccezionali; nel 2011 partecipa alla 54° Biennale di Venezia con “Dromos”. Nel 2014 vince il LXV Premio Michetti, ex aequo.