Michele Lupo

Il professore

Illustrazione di Giulio Catelli

° ° °

Nella piccola aula dalle pareti verde scuro siamo in due; l’altro è il collega di matematica. È un pomeriggio invernale, c’è un freddo umido e non mi tolgo nemmeno il giubbotto.

Il collega, seduto, parla con un genitore. Suppongo che sia al lavoro già da un po’. Pare tranquillo. Io lo sono meno, ho tardato apposta. Quando arrivo, anche sforzandomi di guardare altrove non riesco a evitare un paio di sguardi ostili. Di madri, soprattutto.

Mi metto dietro a un banco ma in piedi. Con la prima coppia di genitori fila liscia. La figlia non è male, i suoi voti sono buoni. Che continui così, non c’è molto da dire. Ah bene. Sorrisi, il mio un po’ nervoso. Congedo i due, mando giù la mezza bottiglietta di minerale, e si affaccia la stronzetta. Con il trio al completo, la mamma (probabilmente convinta di essere una niente male a giudicare dagli stivaletti che chiudono il bordo inferiore dei jeans grigi intorno alle caviglie), e un farlocco occhialuto di marito-padre che arranca subendo – la vita con le due o la vita intera, non saprei. Ma qualcosa so. Me l’ha detta lui in persona, l’estate scorsa: incontrato per caso, l’impudenza di fermarmi per strada per via della stronzetta che ho – dice l’uomo “giustamente” – rimandato per non aver fatto niente tutto l’anno.

Mi aveva trascinato al bar, più forte delle mie resistenze; e si era lasciato andare a un po’ di storia famigliare, non richiesta, da cui lo strapotere della moglie emergeva come una specie di infausto destino, il prezzo da pagare per essere riuscito a sposare a suo tempo una donna ben più attraente e giovane di lui. L’aveva pure costretto a portarla alla Corrida per esibirsi in un ballo da cui era uscito con una figuraccia che i colleghi dell’Inps non gli avrebbero perdonato per anni. L’alleanza fra la donna e la figlia straviziata avrebbe fatto il resto. E il resto era che quella ragazzina non aveva voglia di fare un cazzo, oh lui lo sapeva eccome, era una stronzetta, disse, che a parte truccarsi a diciassette anni come una…

Vabbè, lo fermai, provando una gran pena per entrambi (e perché poi? che c’entravo io?); pensai che un futuro da escort la ragazza non lo avrebbe avuto perché, nonostante la convinzione del contrario e le lampade e le trecce sbarazzine, il fisico non l’aveva.

Ora è lei che sta alzando così la voce. Mentre la bocca mi si secca che mi pare quasi di soffocare, la ragazzina grida che a lei – solo a lei – avrei fatto domande “strategiche” (il simbolismo in Pascoli). Che insomma ce l’ho con lei. Che storia ok, è vero, va male, ma italiano ce l’ho con lei.

“Il saggio breve copiato pari pari da studenti.it ce l’ho con te?”

“Era per non portare il foglio bianco. Io non lo so fa’ il saggio breve.”

La madre annuisce. La ragazza insiste, fa ad alta voce nomi di compagne che invece avrei trattato meglio – non ho modo di capire se ci sono anche loro o i rispettivi genitori fra quelli che si assembrano sulla soglia. Annuisce pure il padre. Io la voce non la posso alzare, il ruolo me lo impedisce, dico qualcosa come vi rendete conto, guardo di nuovo verso il corridoio, saranno soddisfatti di vedermi così in difficoltà, incrocio lo sguardo smorto del collega, mi fa segno che c’è qualcosa per terra, mi accorgo che m’è caduta la sciarpa che nel frattempo ho tolto perché ho preso a sudare.

“Ma vi rendete conto…”

“Eh no professore, è così, la ragazza si sta impegnando ma ormai è demoralizzata…”

“Ma che cosa state dicendo.”

“Solo lei ha avuto da ridire sulla sua vacanza con il fidanzato.”

“Ma era la settimana dello stage,” dico, “lo stage in un professionale è obbligatorio, era previsto da tempo…”

“E perché gli altri professori non hanno detto niente?”

“Non lo so perché, sono il coordinatore della classe, mi toccano incombenze particolari.”

La donna accompagna la frase successiva con un dito strisciato sulla fronte (un’immagine che non vedevo più da decenni): “Lei non sa i sacrifici che ho fatto per premiarla…”

Di che? (lo penso ma non riesco a dirlo).

“Era il suo compleanno e col suo ragazzo sono andati a Sharm, qual è il problema?”

Giulio-Catelli il professoreQual è il problema. Che devo uscire dall’angolo in cui mi hanno cacciato. Guardo il padre dritto negli occhi. “Quando ci siamo incontrati qualche mese fa parlava in maniera molto diversa di sua figlia, non ricorda?”

Vedo passare un’occhiata gelida fra la moglie e la ritardata mentale che ha partorito e il povero cretino che non sa che dire e ovviamente dice che “quello valeva prima: adesso la ragazza studia”.

“Occhei?”, la madre mi stringe la mano con un eccesso di forza. “Occhei professore? Stia attento, valuti bene, La ragazza sta studiando”.

Di quel pomeriggio non ricordo più niente.

Ma non è stato il giorno peggiore della mia vita. Quello è venuto dopo. Non quello in cui l’ho promossa, messo in minoranza dal consiglio di classe. E’ stato un anno e mezzo dopo. L’altro ieri, per l’esattezza. Non so che trasmissione in tv di giovani belli e prestanti che parlavano a ruota libera davanti a una presentatrice famosa.

“E tu nei hai incontrate di persone astruse nella tua vita?”

“Hai voglia”, ha detto lei, “come no. Ma il più coglione di tutti – scusate eh – era il mio professore di italiano. Un coglione infinito”.

* * *

michele lupoMichele Lupo ha esordito con un saggio critico su Boccaccio Elementi carnevaleschi nel Decameron (Loffredo Editore, 1992). Successivamente ha scritto numerosi racconti apparsi su varie riviste italiane e un romanzo L’onda sulla pellicola (Besa, 2003), di forte impronta satirico-grottesca. I fuoriusciti è il titolo della raccolta di racconti per i tipi della Stilo Editrice (2010).

giulio catelliGiulio Catelli (Roma 1982) proviene da una famiglia di pittori e suo padre è scultore. Ha compiuto gli studi storico artistici all’università La Sapienza di Roma, si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Macerata.Vive e lavora a Roma.